I principi della Dottrina Sociale e i cattolici in politica


Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

di monsignor Giampaolo Crepaldi*

ROMA, giovedì, 28 ottobre 2010 (ZENIT.org).- La Dottrina Sociale della Chiesa svolge anche il compito di indicazione dei principi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione per i cattolici impegnati in politica. Tra questi:  la  trascendente dignità della persona,  il bene comune, la destinazione universale dei beni, la sussidiarietà e la solidarietà, il primato del lavoro sul capitale, la scelta preferenziale per  i poveri. È chiaro che  si  tratta  solo di estrapolazioni di alcuni elementi, certamente importanti ma non unici.  Si  pensi  per  esempio  al  principio  della giustizia. Di  recente la Caritas  in  veritate  di  Benedetto XVI sembra aver indicato  i principi della verità e della carità e quello del dono e della gratuità nella vita economica. Inoltre, più che di solidarietà essa ha parlato di fraternità.

Sono principi di ragione ed anche di fede; sono frutto dell’indagine che la ragione umana fa della realtà, dell’essere e contemporaneamente sono stati  rivelati nella loro ultima  sorgente da Dio. Questo  comporta  che  la  ragione  sia  in grado di  conoscere la realtà, ossia sia capace di conoscenza metafisica.

Con questa parola intendiamo un sapere di tipo filosofico capace di andare oltre gli aspetti quantitativi e misurabili della realtà e di cogliere le strutture fondamentali dell’essere che  sono  immateriali:  l’uomo è più dei suoi connotati fisici e materiali. Se non si assegna alla ragione

questa capacità non potrà mai avvenire l’incontro della ragione e della  fede nei  principi della dottrina  sociale. Pensiamo per esempio al concetto della dignità della persona umana. Se io penso che non sia possibile per la mia  ragione conoscere  la natura dell’uomo, il  suo ‘che cos’è’ o, come dicevano una volta, la sua ‘essenza’, ma sia solo possibile conoscere i  suoi  fenomeni, vale a dire  la circolazione del sangue, i nessi biochimici del suo corpo, le interrelazioni tra gli organi, il funzionamento di suoi neuroni e così via … se così fosse che significato avrebbe fare appello alla dignità della persona umana? Infatti,  tutti  si  appellano  a  questa  dignità,  sia  chi  combatte l’aborto sia chi lo ammette; sia chi è contro l’eutanasia sia chi la promuove. Ora: alla domanda “cos’è la persona?” rispondono sia la ragione metafisica sia la rivelazione cristiana e le due fonti convergono perché la fede cristiana presuppone una metafisica e la ragione, in armonia con la fede, la sviluppa. Ma se questa ragione metafisica viene negata, come potranno conciliarsi tra loro la visione razionale della persona umana e quella biblico-religiosa?

Il cristianesimo esprime una visione della persona umana di tipo metafisico e quindi non potrà mai incontrarsi fino in fondo con filosofie che negano questo sapere, come per esempio le filosofie materialiste.

Lo  stesso  vale  per  il  concetto  del  bene  comune. Anch’esso è un concetto metafisico, in quanto presuppone che la realtà dell’uomo sia originariamente socievole e che la comunità sia per la persona un luogo di umanizzazione in un rapporto tale che la persona e la comunità si relazionano come un tutto rispetto ad un altro tutto. di questo bene comune fa parte anche la dimensione spirituale della persona? La dottrina sociale della Chiesa non ha nessun dubbio a riguardo, ma altre dottrine lo escludono. Ecco  allora  che  si  deve  fare  riferimento  ad  una metafisica della persona e della comunità umana affinché questa non sia  ridotta solo ad  una  giustapposizione di individui che rivendicano ognuno i propri interessi particolari. I principi della dottrina sociale, in altre parole, vanno qualificati, altrimenti si prestano ad interpretazioni generiche e scivolano verso un inconcludente e vago umanesimo adatto per tutte le stagioni. Questo pericolo è sempre in agguato ed è una delle principali tentazioni del cattolico impegnato in politica. Seguire il mondo anche nelle sue semplificazioni interessate dà la sensazione di essere al passo con  i  tempi e che  il cristianesimo sia di moda, mentre proprio così facendo esso perde la capacità di incidere sulla realtà e viene reso inservibile ed innocuo.

C’è  un  criterio  per  non  cadere  in  queste  trappole?

Proviamo a  fare  l’esempio dell’ambiente e dell’ambientalismo. Nella dottrina  sociale,  soprattutto  nell’ultima enciclica Caritas in veritate, viene esaminato il tema della  tutela  dell’ambiente  in ottica  cristiana. La  difesa  del creato è considerato un  dovere  importante  che  va  assunto  con  responsabilità,  però  esso  va  inteso  senza  riduzionismi: del creato fa parte anche la persona umana, che  anzi ne  è  il  vertice. Spesso  sembra  che da un  lato ci  sia  la natura da  salvaguardare e dall’altro ci  sia  l’uomo che deve salvaguardarla invece che sfruttarla. Si dimentica che anche  l’uomo  fa parte del creato e che c’è una  ecologia umana  e non  solo una  ecologia naturale.

Salvaguardare  la natura vuol dire  allora prima di  tutto salvaguardare l’uomo. Salvaguardare i koala è degno di rispetto, ma  ancor più  salvaguardare  la vita umana del concepito. Ecco un evidente caso di  riduzionismo  ideologico: si fa appello sì alla persona umana, ma di fatto

le si assegna un ruolo addirittura inferiore a quello degli animali. L’ecologismo (assolutizzazione della natura fisica) e il biocentrismo (indifferente dignità di ogni forma di vita) non rispettano l’incondizionatezza della persona umana. Questo è il criterio per qualificare la nozione di

persona e, di conseguenza, di comunità politica. Incondizionatezza significa che il valore e la dignità della persona non sono soggetti a condizioni e quindi sono indisponibili, non se ne può disporre, nessuno è in posizione tale da decidere sulle persone e stabilire condizioni a cui

esse  dovrebbero  sottostare  in  quanto  persone. È  come dire che la persona non può mai essere considerata uno strumento ma sempre e solo un fine. L’incondizionatezza della persona però ha bisogno di essere adeguatamente fondata. Sul piano razionale il suo fondamento non può

essere  che  ontologico,  legato  cioè  al  suo  essere,  ad  un valore e ad una dignità che  le appartengono  in quanto tale. La persona è sul piano dell’essere qualcosa di unico ed  assolutamente eminente. Sul piano della  rivelazione essa  si  fonda  sulla elezione divina: Dio ha  fatto  l’uomo

a sua  immagine e somiglianza, Cristo ha assunto carne umana, il risorto ha unito a sé tutti gli uomini aprendo loro una vita eterna conforme alla dignità della loro anima spirituale. La comunità umana è unita quindi da un comune destino sia sul piano naturale che in quello soprannaturale. Il  cattolico  in politica dovrà  tenere presente questa concezione di persona e di comunità, altrimenti diventa facilmente preda delle  ideologie politiche che riducono queste dimensioni ad elementi superficiali. Possiamo ora riprendere in estrema sintesi i principi della dottrina sociale della Chiesa cercando di mostrare il substrato culturale con cui vanno intesi. Qualcuno dirà che in questo

modo si assegna una importanza fondamentale alla cultura più che alla politica. Non voglio stabilire gerarchie, ma certamente  i cattolici  in politica non possono  stare senza una loro cultura della politica e credo che la dottrina sociale della Chiesa possa svolgere un ruolo fondamentale in questo campo. Il primo principio è, come si diceva, quello della trascendente dignità della persona umana.

Ho già detto come questo comporti una filosofia realistica della persona, una metafisica dell’essere personale.

Sottolineo qui  l’aggettivo  trascendente. Il cattolico  impegnato in politica non dimentichi mai questo agge
ttivo, senza il quale la dignità della persona diventa a disposizione delle varie  forme del potere. C’è poi  il  concetto del bene comune, che pure è un concetto metafisico, non riducibile alla convergenza degli interessi. Il principio di solidarietà  viene  privato  dei  suoi  fondamenti  se  non  ha alle  spalle  la  fraternità. Ma  come  si  può  essere  fratelli senza essere figli di uno stesso Padre? La solidarietà viene deviata dal suo giusto corso se non illuminata con la trascendente dignità della persona umana. Una  solidarietà appaltata  solo allo Stato e non anche alla  responsabilità

personale  e  dei  gruppi  della  società  civile  produce  nichilismo. Si crea un corto circuito  tra  solidarietà e  responsabilità se si affida la solidarietà a delle strutture con un impoverimento motivazionale dell’intera società. Lo stesso dicasi della sussidiarietà, su cui si accumulano varie deformazioni. Senza  la concezione della persona di cui abbiamo parlato sopra, la sussidiarietà si riduce ad essere una rivendicazione di spazi individuali dall’ingerenza del pubblico. Solidarietà e sussidiarietà vanno sempre tenute insieme. La scelta preferenziale per i poveri non va intesa in senso sociologico. Bisogna intendere la povertà in senso globale, come una dimensione di tutta la persona, senza amputazioni. La lotta alla povertà non va intesa in modo solo assistenzialistico. Posto che “c’è qualcosa di dovuto all’uomo in quanto uomo”, la lotta alla povertà fa attuare mobilitando la libertà e la responsabilità e valorizzando le multiformi espressioni della società civile.

Si potrebbe dire: ma il cattolico impegnato in politica deve collaborare con gli altri anche se essi non condividono fino in fondo questa visione densa e pregnante di persona  e di bene  comune? Molti pensano  che  egli possa fare con gli altri almeno un tratto di strada, e poi semmai proseguire da  solo. Per esempio:  se ci  sono associazioni  ambientaliste  che  promuovono  la  ripulitura volontaria del bosco inquinato, il politico cattolico le appoggi anche se poi quelle stesse associazioni propongono in altri campi riforme contrarie alla vita o alla famiglia.

Bisogna però  tenere conto che  il politico cattolico non può agire parcellizzando le cose, perché in questo modo diventa preda dell’ideologia. Egli, anzi, deve dare il proprio contributo a far uscire dalle ideologie. A quelle associazioni il cattolico in politica proporrà una riflessione sulla ecologia umana e sul principio di coerenza: come si può rispettare la natura quando si parla di uccelli o di biodiversità e non rispettare la natura umana quando si parla del diritto del concepito a vivere? La Caritas in veritate invita a non separare mai i programmi di sviluppo dal diritto alla vita e il principio di coerenza vuole che come si denuncia la mortalità infantile a causa della malaria si denuncino anche la selezione eugenetica femminile e la pianificazione forzata delle nascite con l’utilizzo anche  dell’aborto. Quando Amnesty  International  si  è dichiarata favorevole all’aborto, alcuni uomini di Chiesa avevano chiesto che i cattolici sospendessero i contributi economici  e di  altro genere  a questa organizzazione.  I singoli  obiettivi  possono  sembrare  buoni  se  estrapolati dal contesto programmatico e culturale generale, ma di fatto vengono perseguiti dentro quel contesto. Chi crede che l’ecologia naturale richieda anche il rispetto della ecologia umana ripulirà in modo diverso anche il fiume inquinato  e,  soprattutto,  ripulirà  poi molte  altre  cose.

Il cattolico  in politica quindi collaborerà dentro questa chiarezza. Non è necessario che ogni progetto da attuare con gli altri contempli sempre tutti i presupposti, è però necessario che il cattolico in politica li abbia presenti e li renda noti.

Nasce qui un tema di grande interesse: è meglio che i  cattolici  abbiano  le  loro organizzazioni  ed  istituzioni di  presenza,  oppure  è meglio  che  agiscano  all’interno di quelle pubbliche e indistinte? Il tema riguarda anche i  partiti, ma  di  questo  ci  occuperemo  in  seguito. Qui atteniamoci per il momento ad associazioni, scuole, università,  cooperative,  strutture di  assistenza  eccetera. Ci devono essere scuole cattoliche oppure i cattolici devono essere presenti nelle  scuole pubbliche? È bene che  i cattolici abbiamo i loro ospedali dichiaratamente cattolici oppure che operino negli ospedali pubblici o privati che siano ma comunque non dichiaratamente cattolici?

L’argomento  è di  grande  interesse non  solo  sociale ma anche politico, dato che il cattolico in politica deve avere  delle  idee  su  che  tipo  di  società  costruire  ed  eventualmente anche se ci sono motivi politici per sostenere forme di presenza sociale dichiaratamente cattoliche. A mio  parere  i  cattolici  devono  essere  presenti ovunque, sia personalmente che collegati tra loro e sempre in collaborazione aperta a chiunque abbia desiderio di collaborare al bene comune. Ciò non  toglie però che  siano anche  necessarie  istituzioni  dichiaratamente  cattoliche, come  scuole, università, ospedali o altro. Questo per  il motivo detto sopra. C’è bisogno che l’incondizionatezza

della persona sia tenuta ferma e proposta come modalità di agire globale, senza riduzionismi. In questo senso c’è bisogno di istituzioni animate da questa apertura totale verso la trascendente dignità della persona umana. Non per motivi di esclusiva, ma per garantire luoghi e situazioni  in cui  sia permessa una  testimonianza  integrale a chi la vuole vivere ed attuare. Credo che del resto questo sia un bene anche per la società stessa e una cosa che la politica dovrebbe promuovere e sostenere non per motivi confessionali ma per il bene comune. Certo è una grossa responsabilità per chi opera  in queste  istituzioni. Un ospedale, una cooperativa sociale, una comunità di recupero, una università che si dicano cattoliche si assumono una forte responsabilità di coerenza e di     testimonianza.

La cosa è  importante  anche per  la concretizzazione dei principi della dottrina  sociale della Chiesa. Affinché questi siano applicati nella loro totalità e senza amputazioni  e,  soprattutto,  perché  i motivi  di  ragione  si saldino con quelli di fede, perché il rispetto dei diritti e della giustizia  si  alimenti di  fraternità  cristiana, perché le direttive di  azioni di  carattere economico e politico siano animate dalla preghiera, dalla liturgia e dalla partecipazione alla vita di fede è molto utile che si attuino esperienze che esplicitamente si rifacciano alla religione.       

Ciò nulla toglie all’importanza della testimonianza personale ed aggregata in tutti gli ambiti e non intende minimamente stabilire gerarchie, ma solo evidenziare una grande utilità.

 *Mons. Giampaolo Crepaldi è Arcivescovo di Trieste, Presidente della Commissione “Caritas in veritate” del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE) e Presidente dell’Osservatorio Internazionale “Cardinale Van Thuan” sulla Dottrina Sociale della Chiesa.ì

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

ZENIT Staff

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione