I "piccoli" non sono gli ingenui, sono gli intelligenti umili

Lectio Divina per la 14ª Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

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Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la 14ª Domenica del Tempo Ordinario – Anno A.

Come di consueto, il presule offre anche una lettura spirituale.

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LECTIO DIVINA

I “piccoli” non sono gli ingenui, sono gli intelligenti umili.

14ª Domenica del Tempo Ordinario Pentecoste – Anno A – 6 luglio 2014

Rito Romano

Zc 9,9-10; Rm 8,9.11-13; Mt 11,25-30

Rito Ambrosiano

4ª Domenica dopo Pentecoste

Gen 6,1-22; Sal 13; Gal 5,16-25; Lc 17,26-30.33

            1) I miti[1] di cuore.

            Dopo il cammino della Quaresima e della Passione (la Via della Croce) e della Pasqua (la Via della Luce), dopo le solennità della Trinità (Comunione d’Amore e di Luce) e del Corpo di Cristo (il dono della Sua vita per la nostra), la Liturgia riprende i passi del “tempo ordinario”. La Liturgia ci offre la Parola di Dio per continuare il percorso iniziato a gennaio, invitandoci a seguire Gesù e ad ascoltare quello che ha da dirci nella vita ordinaria di oggi.

            Oggi le parole di Cristo sono davvero consolanti: “Venite a me, stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita” (Mt 11, 29-30). All’umiltà del Figlio di Dio che si incarna bisogna rispondere con l’umiltà della nostra fede. L’umiltà di riconoscere che per vivere ci è necessaria la bontà misericordiosa di un Dio che perdona ogni giorno. E noi ci rendiamo simili a Cristo, l’unico Perfetto, nella misura più grande possibile, quando diventiamo come Lui persone di misericordia, imitando Lui che è mite e umile di cuore.

            Non dobbiamo, poi, dimenticare le parole del profeta Zaccaria: “Così dice il Signore: “Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco a te viene il tuo Re. Egli è giusto e vittorioso; umile, cavalca un asino,un puledro, figlio di asina. Farà sparire i carri di Efraim e i cavalli di Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annunzierà la pace alle genti, il suo dominio sarà da mare a mare, e dal fiume ai confini della terra” (Zc 9,9-10 – Prima lettura della Messa di oggi). Parole che fanno da cornice a quelle di Gesù che oggi ci sono proposte, come a quelle della beatitudine in cui Lui dice: “Beati i miti perché possiederanno la terra” (Mt 5,5). Se teniamo unite questa beatitudine all’invito: “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore” (Mt 11, 29), ne deduciamo che le beatitudini non sono solo un bel programma etico che il maestro traccia, per così dire a tavolino, per i suoi seguaci; sono l’autoritratto di Gesù. È lui il vero povero, il mite, il puro di cuore, il perseguitato per la giustizia, è lui il vero re di pace che ristora i suoi sudditi e li protegge con lo scettro della Croce, scettro di potente mitezza.

            In effetti, la prova più alta della mitezza regale di Cristo è la sua passione. Nessun moto d’ira, nessuna minaccia: “Oltraggiato non rispondeva con oltraggi, e soffrendo non minacciava vendetta” (1 Pt 2, 23). Questo tratto della persona di Cristo si era talmente stampato nella memoria dei suoi discepoli che san Paolo, volendo scongiurare i Corinzi per qualcosa di caro e di sacro, scrive loro: “Vi esorto per la mitezza e la benignità di Cristo” (2 Cor 10, 1). Ma Gesù ha fatto ben più che darci un esempio di mitezza e pazienza eroica; ha fatto della mitezza il segno della vera grandezza. Questa non consisterà più nell’elevarsi solitari sugli altri, sulla massa, ma nell’abbassarsi per servire ed elevare gli altri. Sulla Croce, dice Agostino, egli rivela che la vera vittoria non consiste nel fare vittime, ma nel farsi vittima, “Vincitore perché vittima (Victor quia victima)” (Le Confessioni, 10, 43).

            2) Umili di cuore.

            In un mondo in cui tutti dicono che bisogna farsi avanti, il Vangelo invita a farsi indietro. “Imparate da me che sono mite e umile di cuore e ecco troverete ristoro per le vostre anime” (Mt 11, 29). “Mite e umile” sono due termini che Gesù applica a se stesso. E giustamente, perché indicano il suo atteggiamento verso Dio e verso gli uomini. Verso Dio un atteggiamento di confidenza, obbedienza e docilità. Verso gli uomini un atteggiamento di accoglienza, pazienza, discrezione, disponibilità e perdono, addirittura il servizio.  E anche l’aggiunta “di cuore” non è senza importanza. Indica che le disposizioni di Gesù – verso il Padre e verso i fratelli – si radicano nel profondo del suo cuore e coinvolgono tutta la sua Persona.

            E’ vero che l’umiltà, come la povertà, appare una condizione perché l’uomo possa vivere un rapporto con Dio, anzi è la condizione essenziale a viverlo. Ma, come San Francesco d’’Assisi l’intuì, è altrettanto vero che l’umiltà è una caratteristica di Dio,

            Quando un essere umano s’inginocchia davanti a Dio, il Signore del cielo, non è umiltà, è soltanto realismo. Quando Dio si china sul malato, sul peccatore, quando s’inchina per lavare i piedi all’uomo, questa è umiltà divina. Incarnandosi, il Figlio di Dio non rinnega la sua dignità infinita, la manifesta in un modo sublime, delicato e pieno di amore. Dio si abbassa per donarsi totalmente all’uomo, per salvarlo. Si fa “nulla”, perché l’uomo sia tutto.

            E ciò non avvenne solamente una volta più di duemila anni fa, avviene ogni volta che Egli si fa presente nella Messa sotto le specie del pane e del vino per donarsi, per essere mangiato: la Messa trova il suo compimento nella comunione eucaristica nella quale Egli totalmente si dà, cosi da sparire. E tutto per ciascuno di noi e in ciascuno di noi.

            Dio è umiltà perché amore, insegna San Francesco d’Assisi, che conosceva Dio in modo sublime, sia perché ne aveva esperienza, sia perché meditava nella Chiesa le Sacre Scritture. In effetti, già nell’Antico Testamento Dio afferma che “le sue delizie (di Dio) sono nell’essere coi figli degli uomini”. Pensiamo alla gioia del Padre di essere nel cuore di Gesù, pensiamo alla gioia di Gesù per il fatto che  Dio si è compiaciuto di nascondere la sua grandezza ai grandi per rivelarla invece ai piccoli e ai dimenticati fino al punto di farsi garante di questa nostra povera, fragile vita umana, e subirne la sorte. San Paolo accenna a questo mistero quando dice: “Lui che sussistendo in forma di Dio, non ritenne come geloso possesso l’essere a pari con Dio, ma spogliò se stesso, prese forma di servo in somiglianza di uomini ridotto, e all’aspetto trovato come uomo… Per questo Dio lo sopraesaltò e gli diede un nome che è sopra ogni nome” (cfr. Fil 2, 6-9). Ecco l’umiltà di Dio, cioè la sua Condiscendenza a ciò che al suo cospetto è nulla; possibile solo, perché egli è l’Onnipotente. Ecco l’umiltà di Gesù Cristo “Anche Lui, il Figlio di Dio, si abbassa per ricevere l’amore del Padre” (Papa Francesco, omelia del 27 giugno 2014).

            Insomma, l’amor cristiano, quell’amore che la vita di Gesù porta, e che secondo San Giovanni è Dio stesso, riposa sull’umiltà.

            3) Umiltà fondamento della vita spirituale.

            Concludiamo accennando al fatto che l’umiltà è il fondamento della vita spirituale in particolare per le Vergini consacrate n
el mondo.

            La vita spirituale implica sempre il sentimento del proprio nulla nei confronti di Dio, un nulla che non esclude il fatto che la creatura esista. Esclude però ogni sentimento di opposizione, ogni sentimento di alterità, ogni sentimento che dia all’uomo la coscienza di essere qualche cosa indipendentemente da Lui e non in Lui e per Lui. La creatura per tutto quello che è, è da Dio ed è in Dio.

            Con il riconoscimento di Dio come Signor è implicato dunque un certo annientamento interiore del nostro io. Nella luce infinita di Dio, l’uomo scompare; come il sole, che non appena sale all’orizzonte, eclissa le stelle.

            Dio si rivela a noi attraverso la creazione, ma la sua rivelazione più perfetta è Gesù Cristo. E Cristo, per Francesco d’Assisi, è umiltà. Egli non sa riaversi dallo stupore provocato da una sua contemplazione del mistero cristiano come mistero di suprema umiltà: l’umiltà del Cristo nella sua nascita, nella sua passione, nell’Eucaristia.

            Con particolare affetto e devozione le Vergini consacrate nel mondo coltivano con la Vergine Maria, modello di ogni sequela e di ogni consacrazione, l’umile confidenza filiale, la preghiera di intercessione, la contemplazione dei misteri del suo Figlio Gesù. Esse testimoniano nella Chiesa che la fedeltà del cristiano ha il suo nido nella fedeltà di Dio, che manifesta l’umiltà del suo cuore: Gesù non è venuto a conquistare gli uomini come i re e i potenti di questo mondo, ma è venuto ad offrire amore con mitezza e umiltà.

            Queste donne si lasciano avvolgere dalla fedeltà umile e dalla mitezza dell’amore di Cristo, rivelazione della misericordia del Padre. La loro vocazione è quella di servire Dio nel mondo con umile coraggio, con tutta la forza del loro cuore, realizzando nella vita quotidiana la preghiera di consacrazione che il Vescovo da su di lor.o: “Con la grazia dello Spirito Santo, ci siano sempre in loro prudenza e semplicità, mitezza e delicatezza, umiltà e libertà” (Rituale della Consacrazione della Vergini, n 24)

*

LETTURA SPIRITUALE

San Francesco d’Assisi

Lettera al Capitolo Generale e a tutti i Frati

Invece della lettura patristica questa volta propongo uno dei testi più belli degli scritti francescani:

“Badate alla vostra dignità, frati sacerdoti, e siate santi perché Egli è santo. E come il Signore Dio onorò voi sopra tutti gli uomini, per questo mistero, cosi voi più di ogni altro uomo amate, riverite e onorate Lui.

Grande miseria sarebbe, e miserevole male se, avendo lui così presente, vi curaste di ogni altra cosa che fosse nell’universo intero!

L’umanità trepidi, l’universo intero tremi, e il cielo esulti, quando sull’altare, nelle mani del sacerdote, è il Cristo Figlio di Dio vivo.

O ammirabile altezza, o degnazione stupenda! o umiltà sublime! o sublimità umile, che il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, così si umili da nascondersi, per la nostra salvezza, in poca apparenza di pane.

Guardate, frati, L’umiltà di Dio, e aprite davanti a lui i vostri cuori; umiliatevi anche voi, perché egli vi esalti. Nulla, dunque, di voi, tenete per voi; affinché vi accolga tutti colui che a voi si da tutto” (Fonti Francescane 220).

*
NOTE 

[1] Per scoprire chi sono i miti proclamati beati da Gesù, è utile passare brevemente in rassegna i vari termini con cui la parola miti (praeis) è resa nelle traduzioni moderne. L’italiano ha due termini: miti e mansueti. Quest’ultimo è anche il termine usato nelle traduzioni spagnole, los mansos, i mansueti. In francese la parola è tradotta con doux, alla lettera “i dolci”, coloro che possiedono la virtù della dolcezza. (Non esiste in francese un termine specifico per dire mitezza; nel “Dictionnaire de spiritualité” questa virtù è trattata alla voce douceur, dolcezza).

In tedesco si alternano diverse traduzioni. Lutero traduceva il termine con Sanftmuetigen, cioè miti, dolci; nella traduzione ecumenica della Bibbia, la Eineits Bibel, i miti sono coloro che non fanno alcuna violenza – die keine Gewalt anwenden-, dunque i non-violenti; alcuni autori accentuano la dimensione oggettiva e sociologica e traducono praeis con Machtlosen, gli inermi, i senza potere. L’inglese rende di solito praeis con the gentle, introducendo nella beatitudine la sfumatura di gentilezza e di cortesia.

Ognuna di queste traduzioni mette in luce una componente vera ma parziale della beatitudine. Bisogna tenerle insieme e non isolarne nessuna, per avere un’idea della ricchezza originaria del termine evangelico. Due associazioni costanti, nella Bibbia e nella predicazione cristiana antica, aiutano a cogliere il “senso pieno” di mitezza: una è quella che accosta tra loro mitezza e umiltà, l’altra quella che accosta mitezza e pazienza; l’una mette in luce le disposizioni interiori da cui scaturisce la mitezza, l’altra gli atteggiamenti che spinge ad avere nei confronti del prossimo: affabilità, dolcezza, gentilezza. Sono gli stessi tratti che l’Apostolo mette in luce parlando della carità: “La carità è paziente, è benigna, non manca di rispetto, non si adira…” (1 Cor 13, 4-5).

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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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