I Padri della Chiesa: il segreto per riscoprire la fede (Prima parte)

Intervista a Padre Vittorino Grossi, docente dell’istituto patristico Augustinianum

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di Giovanni Preziosi

ROMA, venerdì, 23 marzo 2012 (ZENIT.org) – Riportiamo la prima parte dell’intervista a padre Vittorino Grossi, Sacerdote dell’Ordine di Sant’Agostino, scrittore e docente di Patrologia e Patristica presso la Pontificia Università Lateranense e dell’Istituto Patristico Augustinianum.

Padre Vittorino ci attende, come di consueto, nel suo studio immerso tra i suoi libri dove ci accoglie con un caloroso sorriso, aperto e disarmante, che subito apre il cuore alla speranza, tipico della sua terra d’origine, Montefredane – un piccolo paesino alle porte di Avellino – dove è nato 77 anni fa.

In questa piacevole conversazione esploriamo alcune tematiche di stringente attualità per riscoprire, attraverso la regola agostiniana, le ragioni autentiche della nostra fede, soprattutto alla vigilia della festività centrale dell’anno liturgico, la Santa Pasqua.

***

Padre Vittorino, due grandi pontefici, Paolo VI e Benedetto XVI, hanno mostrato grande attenzione all’insegnamento di S. Agostino. Secondo lei, qual è l’aspetto più rilevante del corpus teologico agostiniano di cui dovrebbero far tesoro i cristiani d’oggi?

Padre Grossi: Paolo VI, nell’ambito del Concilio Vaticano II, ha posto molto l’accento sulla ecclesiologia agostiniana che non considera la Chiesa di fronte al mondo, ma la Chiesa che cammina con il mondo umano per aiutarlo. Ecco perché Sant’Agostino scrisse “La Città di Dio”: la dinamica principale non è mettere la Chiesa di fronte alle culture, ma inserirla nel comune progredire della storia dell’umanità. Agostino ha sempre sostenuto che Dio è il sommo e unico bene dell’uomo, ovvero che l’uomo non ha due fini, uno naturale e uno soprannaturale, ma Dio è il fine dell’uomo, per cui se lo smarrisce perde se stesso.

Durante il pontificato di Giovanni Paolo II si è celebrato, nel 1986, il XVI° centenario della conversione di S. Agostino, e in quell’occasione il Papa scrisse la bellissima Lettera Apostolica “Augustinum Hipponensem” in cui affermava che “tutti noi siamo un po’ figli di Agostino”. Benedetto XVI, dal canto suo, si è addirittura laureato discutendo una tesi riguardante la “Casa di Dio in Agostino”.

In una mirabile opera, inoltre, dal titolo “Surnaturel”, scritta nel 1946 da padre Henri-Marie de Lubac, poi divenuto cardinale, si sostiene l’esigenza di restituire S. Agostino al mondo moderno altrimenti rischia di diventare ateo perché per Agostino il primato di Dio – Dio come unico bene dell’uomo – attraversa tutto il suo pensiero fin dal momento della conversione. A mio avviso, credo che oggi bisognerebbe riscoprire il rapporto tra Dio e l’uomo nelle categorie di libertà e grazia, sviluppato da S.Agostino.

Ovvero il fatto che l’uomo, che è libero, non dispone della libertà assoluta, ma la sua è una sorta di libertà “correlata” alla grazia di Dio.     

Negli ambienti romani del tempo, si sviluppò la celebre controversia pelagiana, considerata poi una dottrina eretica dal Concilio di Efeso. S. Agostino cercò di confutarla ricordando ai cristiani che, per agire rettamente, non possiamo fare a meno dell’aiuto della grazia divina. Lei intravede qualche similitudine con i tempi che stiamo vivendo?

Padre Grossi: Il pelagianesimo pensò il rapporto Uomo-Dio ponendo l’uomo di fronte a Dio. Secondo Agostino, invece, questa non era la visione che offriva la Rivelazione: l’uomo creato da Dio a Sua immagine e somiglianza è in riferimento a Dio, non di fronte a Dio. Nel mondo moderno si è sviluppato il discorso dell’autonomia dell’uomo nell’esercizio delle sue libertà, al punto che finisce per essere padre di se stesso. Agostino già contro Celso sosteneva che questa visione era falsa perché non contemplava Dio come punto di riferimento – e Dio è il fine di ognuno di noi – tanto che affermò nelle ‘Confessioni’: “Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore non ha pace finché non riposa in te”.

Perché è importante per i cristiani del terzo millennio conoscere la storia e gli scritti dei Padri della Chiesa?

Padre Grossi: I Padri della Chiesa rappresentano la fascia di trasmissione del cristianesimo. Sono vissuti in un particolare momento di trasformazione dell’umanità – la fine dell’impero romano – dove la società ha dovuto necessariamente trovare nuovi assetti istituzionali e, di conseguenza, anche i cristiani hanno dovuto elaborare un nuovo rapporto tra fede e cultura, tra fede e politica e via dicendo, per cui talvolta si è stati costretti a fare dei compromessi a scapito della rivelazione della fede.

Proprio per questo ritengo che sia estremamente auspicabile riscoprire lo studio dei Padri della Chiesa perché essi rappresentano l’elemento di trasmissione della rivelazione cristiana dove non si sono verificati questi compromessi, in quanto è stato trasmesso autenticamente il Vangelo di Gesù. Perciò oggi li definiamo Padri della Chiesa perché, in un certo senso, noi siamo stati generati culturalmente.

Alla luce degli insegnamenti patristici, secondo lei quale dovrebbe essere il modus vivendi del cristiano e della Chiesa in questo particolare contesto storico?

Padre Grossi: Penso che oggi la Chiesa non è un istituto che si deve porre di fronte alla società, è un’istituzione religiosa che deve camminare insieme con la società. Per cui ciò che si chiede oggi alla Chiesa è piuttosto quale contributo può dare alle grosse questioni che la società moderna attraversa.

Naturalmente la Chiesa ha da sempre avuto un sommo rispetto della vita: si pensi che al tempo dei Padri della Chiesa nessuno poteva abortire. I cristiani mandavano quelle che noi oggi chiamiamo le suore, ovvero le vergini consacrate, nei luoghi dove esponevano i bambini per farli morire e li prendevano sotto la propria custodia per curarli tanto che, dice Sant’Agostino: “non essendo madri, hanno imparato ad essere madri”.

O ancora il fatto che un giudice aveva la possibilità di condannare a morte, mentre un giudice cristiano non poteva farlo o che ai cristiani non era consentito partecipare alla guerra, perché nella guerra si uccide. 

(L’intervista prosegue domani con la seconda ed ultima parte)

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ZENIT Staff

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