I matrimoni omosessuali, sintomo di "una depressione culturale"

Attraverso un editoriale uscito su “Bologna sette”, la Curia bolognese stigmatizza la “scelta infelice” del sindaco di trascrivere i matrimoni omosessuali avvenuti all’estero

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“La scelta infelice del sindaco Virginio Merola” merita “la più ferma e risoluta opposizione di chi vuole preservare i diritti della famiglia, e con essi, il bene comune”. È uno dei duri passaggi dell’editoriale uscito domenica scorsa, 27 luglio, sulla prima pagina di Bologna Sette, il settimanale dell’arcidiocesi guidata dal card. Carlo Caffarra.

L’editoriale – firmato da Filippo Savarese, portavoce della Manif Pour Tous Italia – si scaglia contro la direttiva emanata dal sindaco di Bologna che permetterà, dal prossimo 15 settembre, di trascrivere nei registri di stato civile del capoluogo emiliano anche i matrimoni omosessuali celebrati all’estero.

Secondo la Curia, questa “scelta infelice” del sindaco bolognese è solo il primo passaggio di un processo di “depressione culturale fortemente autolesionista”. Si legge infatti su Bologna Sette che “oggi si chiede di rimuovere il requisito della diversità sessuale, domani si chiederà di rimuovere, ampliandolo, quello del numero dei coniugi”. Dietro simili decisioni, si cela un’impronta ideologica chiara, poiché “gli effetti pratici sono pressoché nulli, ma quelli simbolici mirano ad essere decisamente drastici, incisivi e senza dubbio deleteri”.

La Chiesa bolognese contesta poi l’interpretazione del “diritto al matrimonio come il diritto di ogni individuo di veder pubblicamente riconosciuto qualsiasi tipo di legame sentimentale o in senso lato familiare che lo lega ad altre persone”. Invece “il senso del matrimonio non ha nulla a che vedere col riconoscimento dei ‘diritti sentimentali’ e la Consulta ha ribadito che è la potenziale capacità procreativa dell’unione tra un uomo e una donna a differenziare il matrimonio dalle convivenze tra persone omosessuali”.

Questa omologazione è a discapito della famiglia. “Annacquare e alterare il matrimonio – prosegue l’editoriale – significa manomettere l’intero sistema di protezione e promozione della famiglia”. Inoltre, “smettere di riconoscere nell’unione tra uomo e donna il paradigma dell’intera esperienza umana è il sintomo di una depressione culturale gravemente autolesionista, che non ha nulla a che vedere con il rispetto delle scelte di vita delle persone, dei loro affetti e dei loro sentimenti”.

Nonostante “la nuova frontiera del progresso sarebbe ora negare che ogni figlio ha naturalmente bisogno e diritto di crescere con un papà e una mamma”, la Curia precisa che insistere sulla “diversità sessuale non è una prova di una mentalità retrograda e omofoba”.

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ZENIT Staff

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