I giovani continuano a sognare il matrimonio

La convivenza forse legata a condizioni di povertà

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di padre John Flynn, L.C.

ROMA, domenica, 24 settembre 2008 (ZENIT.org).- Il desiderio di sposare l’uomo o la donna dei nostri sogni continua ad essere ancora molto forte, nonostante il crescente numero di coppie conviventi sembri dimostrare il contrario.

Elementi a sostegno di questa tesi sono contenuti in un libro pubblicato di recente dall’Institute for the Study of Civil Society di Londra. Il volume “Second Thoughts on the Family“, di Anastasia de Waal, riporta i dati risultanti di un sondaggio appositamente commissionato, oltre a interviste con 27 “opinion makers“.

Il sondaggio rivela che circa il 70% dei giovani vorrebbe sposarsi. Questo dato, come evidenzia il testo, si contrappone alla posizione sostenuta da entrambi i principali partiti politici, laburisti e conservatori.

I partiti elaborano le loro linee politiche sull’assunto che se la gente non vive più in famiglie sposate è semplicemente perché sceglie di non farlo. E questa scelta, prosegue de Waal, viene interpretata da alcuni come un segno positivo di diversità, da altri come un declino dei valori della famiglia

Entrambe le interpretazioni, prosegue il libro, non colgono il punto fondamentale. Esiste infatti una chiara relazione fra il tasso di povertà e il tipo di struttura familiare, tanto che il matrimonio è più diffuso nelle classi media e alta.

Lo studio dimostra che oggi il vero spartiacque relativo alla famiglia è di natura economica, poiché i tassi di convivenza e di divorzio sono molto più alti nelle famiglie a basso reddito.

Mentre il mondo socio-economico più elevato avanza spiegazioni di tipo intellettuale per giustificare la frammentazione della famiglia, pertanto, la grande diffusione della convivenza e delle famiglie monogenitoriali avviene soprattutto ai livelli economici più bassi.

Nel frattempo, le nuove tendenze intellettuali delle classi media e alta non considerano più la famiglia con due genitori incompatibile con le istanze femministe o di eguaglianza. Molte femministe dichiarate sono sposate, sottolinea de Waal, e lo sono anche i loro figli.

Purtroppo, prosegue l’autrice, sostenere pubblicamente il matrimonio continua ad essere un atteggiamento fuori moda.

La linea di demarcazione

Nelle conclusioni della sua ricerca, de Waal cita i dati del Millennium Cohort Study, un sondaggio che prende in esame la situazione di famiglie nate intorno all’anno 2000. Secondo lo studio:

— tra coloro che erano genitori single al momento della nascita di un figlio, il 28% non aveva titoli di studio qualificati. Tra le coppie conviventi tale livello era del 13%, mentre tra le persone sposate solo l’8% non aveva un’istruzione qualificata.

— Per contro, il 43% delle madri che al momento della nascita di un figlio erano sposate era in possesso di titoli di studio qualificati. Tra le persone conviventi questo dato era del 24%, mentre tra i genitori single solo del 10%.

— Al momento della nascita di un figlio, il 68% dei genitori sposati vivevano in zone economicamente abbienti, mentre per le coppie conviventi questo era vero per il 56% e solo per il 35% dei genitori single.

Di fronte a questo tipo di informazioni, de Waal sostiene che tutti i partiti dello spettro politico dovrebbero preoccuparsi della famiglia e del matrimonio. I fenomeni del basso tasso di matrimonio nelle aree a basso reddito e dell’alto tasso di divorzio e famiglie monogenitoriale tra le popolazioni meno abbienti sono strettamente connessi con il grado di povertà strutturale.

Le cause

Il rapporto tra la struttura familiare e la condizione economica è un elemento centrale anche del fenomeno della povertà infantile, che risulta molto più diffuso nelle famiglie con un solo genitore. Il Governo laburista ha adottato misure per alleviare la povertà infantile, ammette de Waal, ma è necessario affrontare anche le cause delle separazioni oltre a cercare di gestirne le conseguenze.

In questo senso, politiche più efficaci potrebbero assicurare maggiore stabilità alle famiglie, con misure relative al lavoro, ai bambini e ad aiutare i genitori nelle loro responsabilità. Lavorare in questa direzione non significa costringere alle famiglie che non funzionano a rimanere unite, spiega de Waal. Significa piuttosto sostenere le famiglie che funzionano.

Lo studio dell’Institute propone una serie di misure che potrebbero aiutare le famiglie:

— ovviare alle debolezze del sistema educativo che hanno portato a più elevati tassi di inattività nell’istruzione e nel lavoro tra i giovani del Regno Unito.

— Separare le dichiarazioni dei redditi dei genitori per ridurre l’imponibile e introdurre un sistema fiscale che prenda in considerazione la condizione di dipendenza dei bambini, oltre alla disoccupazione e alla sottoccupazione dei genitori.

— Rendere più semplice e universale il sistema di assistenza relativa ai figli.

— Promuovere la mediazione tra i genitori che stanno divorziando come elemento centrale per definire le questioni pratiche ed economiche. Questo aiuterebbe non solo a migliorare la cura de bambini dopo la separazione, ma anche ad aprire ad una eventuale riconciliazione.

Divisioni di classe

II tema del rapporto tra le condizioni economiche e di istruzione è stato oggetto anche di un articolo dell’editorialista Miranda Devine, pubblicato sul Sydney Morning Herald del 10 aprile.

In Australia, nel 1996, una donna di 30-34 anni con un titolo di studio universitario, aveva minori probabilità di avere un marito rispetto alla sua coetanea meno istruita. Nel 2006, ha osservato Devine, questo rapporto si era invertito.

Commentando i risultati pubblicati nello studio “Partnerships At The 2006 Census“, di Genevieve Heard, research fellow presso il Monash’s Centre for Population and Urban Research, Devine ha detto: “Mentre prima il matrimonio veniva trascurato come logica conseguenza dell’indipendenza economica acquisita dalle donne più istruite, per i figli delle classi più povere è stato un disastro”.

La ricerca di Heard dimostra che nel 2006 tra le donne sposate tra i 30 e i 34 anni il 61% era in possesso della laurea e il 53% del diploma.

Civiltà

Nel frattempo, qualche mese fa è stato ripubblicato da ISI Books il classico del 1947 “Family and Civilization“, del sociologo di Harvard, Carle C. Zimmerman. Nell’introduzione alla nuova edizione, Allan C. Carlson, presidente dello Howard Center for Family, Religion and Society, ha commentato che Zimmerman non era ottimista sul futuro della famiglia nella civiltà occidentale.

La famiglia, secondo Zimmerman, era minacciata non solo dagli attacchi intellettuali dei fautori di un modello atomistico, ma anche dalla decadenza dovuta ai cambiamenti nei valori religiosi e morali.

Carlson osserva che Zimmerman non aveva previsto il baby boom del secondo dopoguerra, ma che era stato comunque profetico nell’immaginare una grande crisi della famiglia per la fine del XX secolo.

Nel suo libro, Zimmerman aveva tracciato la storia della famiglia in una panoramica che abbraccia almeno gli ultimi due millenni. Uno dei temi centrali che ricorrono nel volume è lo stretto rapporto tra lo stato di salute della famiglia e quello della stessa civiltà.

Le difficoltà della famiglia che Zimmerman aveva previsto per la fine del XX secolo sarebbero state caratterizzate dalla fine del ruolo dello Stato nel mantenere e indirizzare il sistema basato sulla famiglia.

Questo tipo di crisi era già avvenuto in precedenza nei periodi finali delle civiltà greca e romana, aveva osservato. La famiglia è stata recuperata con l’avvento del cristianesimo, ma a sua volta il cristianesimo oggi non gode di buona reputazione tra coloro che guidano l’attuale civiltà, scriveva Zimmerman.

La comunità

Il documento del Concilio Vaticano II
Gaudium et Spes” riporta parole sorprendentemente simili a quelle di Zimmerman. “Il bene della persona e della società umana e cristiana è strettamente connesso con una felice situazione della comunità coniugale e familiare”, afferma il documento (n. 47).

“Però la dignità di questa istituzione non brilla dappertutto con identica chiarezza poiché è oscurata dalla poligamia, dalla piaga del divorzio, dal cosiddetto libero amore e da altre deformazioni”, prosegue.

La famiglia, secondo i padri conciliari, è il fondamento della società. “Tutti coloro che hanno influenza sulla società e sulle sue diverse categorie, quindi, devono collaborare efficacemente alla promozione del matrimonio e della famiglia” (n. 52). Un’esortazione che vale la pena ripetere di fronte alle continue sfide che minacciano la famiglia.

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ZENIT Staff

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