I diritti umani in Cina

Il controllo demografico continua a mietere vittime

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di padre John Flynn, LC

ROMA, domenica, 14 giugno 2009 (ZENIT.org).- La situazione dei diritti umani in Cina è stata ancora una volta al centro dell’attenzione il 4 giugno scorso, in occasione del 20° anniversario della sanguinosa repressione delle manifestazioni in favore della democrazia in piazza Tienanmen a Pechino.

I principali organi di informazione si sono incentrati sui diritti civili e politici, ma la negazione del diritto delle famiglie di poter scegliere quanti figli avere continua ad opprimere molti cinesi.

Il 7 maggio, LifeNews.com ha pubblicato un servizio che illustra le conclusioni di un’indagine svolta segretamente in Cina da Colin Mason.

Le sanzioni previste per chi ha figli oltre il limite legale ammontano oggi a tre/cinque volte il reddito delle famiglie stesse, secondo LifeNews. Non sorprende che quando le coppie si vedono imporre simili multe molte acconsentano ad abortire o a lasciarsi sterilizzare.

Secondo Mason, nella provincia del Guangxi i figli nati oltre i limiti consentiti sono posti sotto custodia dalle autorità statali, che li trattengono finché i genitori non riescono a pagare le esorbitanti multe.

Il 15 febbraio, il quotidiano Times di Londra ha riferito che le forti restrizioni del Governo stanno provocando diffuse proteste.

Secondo il servizio, i media cinesi e i commentatori su Internet stanno violando le restrizioni alle informazioni sugli abusi compiuti nell’ambito del controllo delle nascite.

Tra questi abusi, il Times ha citato i casi delle donne che avendo già un figlio rischiano di subire regolari test di gravidanza, nonché pressioni per farsi sterilizzare. I mezzi utilizzati per obbligare le donne variano da misure di penalizzazione economica a minacce di licenziamento.

Aborti forzati

Un caso citato dal Times è quello di Zhang Linla, che ha commesso l’errore di rimanere incinta pur avendo già una figlia. Solo sei giorni prima della data prevista per il parto è stata sottoposta ad un aborto forzato.

L’articolo ha citato anche altri esempi, come quelli di sterilizzazioni forzate e di neonati lasciati morire.

Il 17 novembre, il sito Internet di Christian Post ha riferito del caso di Arzigul Tursun, una donna musulmana di etnia uigur a cui è stato minacciato un aborto forzato. Al tempo in cui è stato scritto l’articolo, era incinta da più di sei mesi e aveva subito pressioni dalle autorità per abortire, avendo già due figli.

Il 5 ottobre, il quotidiano South China Morning Post ha pubblicato un lungo articolo sulle misure coercitive con cui si confrontano le coppie che non si attengono alle rigide norme della pianificazione familiare.

L’articolo ha specificato la natura invasiva delle restrizioni imposte alle famiglie. Ogni coppia sposata deve rispondere alla National Population and Family Planning Commission (NPFPC). Ogni villaggio e ogni strada cittadina viene monitorato da una clinica per la pianificazione familiare controllata dal NPFPC.

Secondo il giornale, vi sono ufficialmente 650.000 persone impiegate in questo sistema, con il compito di far rispettare la normativa sulla pianificazione familiare. Tuttavia, stime ufficiose sostengono che il numero reale sia superiore a un milione.

Il South China Morning Post ha portato l’esempio di Jin Yani, che è stata sottoposta ad aborto forzato avendo superato i limiti previsti. L’aborto è stato eseguito in maniera così brutale da metterla in pericolo di morte, tanto che è dovuta rimanere in ospedale per 44 giorni. A causa di quanto è avvenuto, non potrà più avere figli.

Secondo l’articolo, le autorità possono agire liberamente nelle zone rurali, usando metodi brutali come la distruzione delle abitazioni e le sterilizzazioni forzate.

Il quotidiano ha citato Mark Allison, che si occupa di Estremo Oriente per Amnesty International, secondo cui gli aborti forzati continuano ad essere frequenti.

Incentivi e penalizzazioni

Il 22 maggio, il South China Morning Post ha riferito che le autorità statali hanno rinnovato la loro determinazione a far rispettare le stringenti limitazioni della pianificazione familiare. Tra le misure recenti annunciate vi sono la distribuzione di contraccettivi tra i lavoratori migranti e l’aumento delle sanzioni per chi fa figli oltre i limiti previsti.

Secondo la nuova regolamentazione sulla pianificazione familiare, emanata dal Consiglio di Stato, le multe comminate ai lavoratori migranti responsabili di aver violato la politica del figlio unico verranno quantificate in base al reddito derivante dal proprio lavoro, anziché in base ai livelli reddituali del luogo di provenienza.

Stabilire la multa per violazione della regola sulla pianificazione familiare prendendo come parametro la città di residenza provocherà sanzioni pecuniarie più elevate.

Per contro, tra gli incentivi diretti a incoraggiare il rispetto delle restrizioni figurano anche l’attribuzione di giorni di ferie aggiuntivi per coloro che rimandano la procreazione o che si sottopongono volontariamente alla sterilizzazione. Le coppie adempienti potranno ricevere anche trattamenti preferenziali per le proprie imprese familiari o per ricevere assistenza sociale.

Queste restrizioni vanno contro il desiderio della maggioranza delle donne cinesi, cosa che è ammessa anche dai funzionari pubblici. Secondo un servizio della BBC del 16 gennaio, i funzionari della pianificazione familiare sostengono che il 70% delle donne desidera avere almeno due figli.

Questo dato sarebbe tratto da un’indagine ufficiale svolta nel 2006 ma resa nota solo adesso, come riferito dalla BBC. Secondo questo sondaggio, la maggior parte delle donne – l’83% – vorrebbe avere un figlio e una figlia.

Scarsità di donne

Oltre agli abusi commessi dalle autorità, un altro grave problema è quello della preoccupante asimmetria nelle nascite di maschi e femmine. Il tradizionale desiderio di avere almeno un figlio maschio, sommato alle restrizioni sulle nascite, ha portato a milioni di aborti di bambine.

Secondo un servizio dell’Associated Press del 10 aprile, dagli ultimi dati risulta che la Cina ha 32 milioni di giovani maschi in più rispetto alle femmine.

La stima deriva da un rapporto pubblicato sul British Medical Journal. Peraltro, si stima che questo squilibrio sia destinato a peggiorare nei prossimi anni.

Secondo lo studio, in Cina nascono 119 maschi ogni 100 femmine, rispetto ai 107/100 dei Paesi industrializzati.

Lo squilibrio maggiore tra maschi e femmine si trova nella fascia di età tra 1 e 4 anni, il che significa che la Cina dovrà affrontarne gli effetti tra 15/20 anni, quando questi bambini avranno raggiunto l’età riproduttiva.

Sebbene il Governo abbia vietato l’uso dello strumento ecografico per determinare il sesso del feto, questo in realtà viene diffusamente utilizzato a tale scopo.

Le conseguenze derivanti da una scarsità di donne sono già evidenti, come riferito dal Sunday Times il 31 maggio. Per esempio, è aumentato il tasso di rapimento delle ragazze, che vengono prelevate per fare da mogli di uomini in regioni in cui vi è una maggiore scarsità di donne.

Secondo l’articolo, il Ministero per la Pubblica Sicurezza ammette che tra le 2.000 e le 3.000 bambine e ragazze vengono rapite ogni anno, ma i media locali sostengono che in realtà si tratti di circa 20.000.

Un sito Internet dedicato ai genitori che vogliono pubblicare informazioni sulle proprie figlie scomparse contiene dati di più di 2.000 famiglie. Le speranze di ritrovarle sono tuttavia molto basse. Nell’arco di due anni, questo sito è riuscito a risolvere positivamente solo sette casi.

Principi essenziali

L’anniversario di Tienanmen cade poco dopo la commemorazione, da parte delle Nazioni Unite, del 60° anniversario della Dichiarazio
ne Universale dei Diritti dell’Uomo.

L’Arcivescovo Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso gli uffici di Ginevra delle Nazioni Unite, si è espresso sulla questione dei diritti umani in un discorso del 12 dicembre.

“Parlando del diritto alla vita, del rispetto della famiglia, del matrimonio come unione tra un uomo e una donna, della libertà di religione e di coscienza, dei limiti dell’autorità dello Stato rispetto ai valori e ai diritti fondamentali, non si dice nulla di nuovo o di rivoluzionario”, ha osservato.

La possibilità di godere dei diritti umani non deve essere considerata un privilegio, ha sottolineato il rappresentante del Vaticano. Purtroppo in Cina, come in altri Paesi, i diritti fondamentali riguardanti la famiglia ancora oggi non vengono garantiti. Una situazione che grida giustizia.

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ZENIT Staff

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