I dilemmi sulla Transustanziazione

Con la consacrazione avviene un cambiamento di tutta la sostanza del pane e del vino

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Nella sua rubrica di liturgia, padre Edward McNamara LC, professore di Liturgia e Decano di Teologia presso  l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma, risponde oggi a un lettore in Canada.
Ho una domanda sulla transustanziazione. Sto cercando di capire più a fondo l’insegnamento della Chiesa secondo il quale, dopo la consacrazione, la sostanza del pane e del vino cessa di esistere, ma ne rimangono gli accidenti. Se ho capito bene, dopo la consacrazione la sostanza dell’ostia diventa Gesù, ma restano gli accidenti del pane (sapore/consistenza/odore)? Pensavo che il glutine nell’ostia fosse una sostanza del pane ma dal momento che esso persiste dopo la consacrazione, allora significa che è un accidente del pane? Allo stesso modo, pensavo che l’alcool nel vino fosse una sostanza, ma dal momento che persiste dopo la consacrazione, allora deve essere un accidente del vino?  — C.M., Beaverton, Ontario (Canada)
Il nostro lettore non è il primo a cimentarsi con i concetti di sostanza e accidenti, in particolare riferiti all’Eucarestia. Molti altri fedeli, a volte persino vescovi e teologi, hanno difficoltà ad afferrare il concetto.
Questa difficoltà ha parzialmente origine dal fatto che il concetto sembra derivare dalla metafisica aristotelica. Coloro che hanno ricevuto una formazione in filosofia aristotelica tomista sanno benissimo quanto questa rigorosa ricerca di comprensione della verità dell’essere possa rivelarsi un compito molto impegnativo.
E tuttavia, nonostante la similarità dei termini, è necessario affermare che, in riferimento all’Eucarestia, la Chiesa non fa uso dei termini “sostanza” e “accidente” nei loro contesti filosofici bensì nel senso comune ed ordinario in cui essi vennero primariamente usati secoli fa. Il dogma della transustanziazione non abbraccia alcuna teoria filosofica particolare.
I primi usi del termine “sostanza” riferito all’Eucarestia precedono di molti secoli l’introduzione del pensiero aristotelico nella teologia del XIII secolo. Il più antico utilizzo del termine risale infatti al V o VI secolo. Le parole “transustanziare” e “transustanziazione” si trovano nell’XI e XII secolo nei dibattiti teologici. Nel magistero il termine appare per la prima volta nella professione di fede circa la presenza reale, imposta nel 1078 da papa Gregorio VII a un teologo di nome Berengario, il quale sosteneva convinzioni errate:
“Credo con il cuore e professo apertamente che il pane e il vino offerti sull’altare, mediante la preghiera e le parole del Redentore, sono cambiati sostanzialmente nella vera e propria vivificante carne e sangue di Gesù Cristo, nostro Signore, e che dopo la consacrazione, sono il vero corpo di Cristo nato dalla Vergine e appeso alla croce in immolazione per la salvezza del mondo, così come il sangue di Cristo uscito dal Suo fianco, non solo come segno e in ragione della potenza del sacramento, ma nella verità e realtà della loro sostanza e in ciò che è proprio alla loro natura”.
Troviamo qui una chiara formulazione della dottrina fondamentale riguardo la trasformazione eucaristica, anche se i successivi sviluppi teologici abbiano introdotto un linguaggio più esatto. Il punto chiave rispetto alla nostra domanda sulla sostanza è come il termine non venga preso nel suo significato tecnico aristotelico ma si riferisca invece più semplicemente alla realtà del pane e del vino, non più presenti e sostituiti completamente dalla realtà di Cristo nella sua interezza.
L’uso della parola “accidente” venne invece introdotto più tardi dai teologi scolastici. Uno dei primi usi del termine nel magistero fu durante il Concilio di Costanza. Fra gli altri temi, questo Concilio condannò nel 1415 la dottrina di John Wyclif. Delle 45 tesi condannate, le proposizioni circa l’Eucarestia erano:
“1. La sostanza materiale del pane, come pure la sostanza materiale del vino rimangono nel sacramento dell’altare.
“2. Gli accidenti del pane non rimangono nello stesso sacramento senza il (loro) soggetto.
“3. Cristo non è presente nello stesso sacramento identicamente e realmente con la sua persona corporale”.
Il Concilio utilizzò la parola “accidenti” principalmente perché Wyclif, in linea con la teologia scolastica del tempo, usava comunemente questo termine. Non costituiva un’adozione ufficiale da parte della Chiesa della filosofia aristotelica. Questo non significa che il termine “accidente” non possa essere legittimamente usato nella teologia eucaristica. Piuttosto, significa che esso non è usato nel suo significato tecnico relativo alla metafisica aristotelica.
Infatti, anche il Concilio di Trento (1545-1563) quando si riferiva alla trasformazione eucaristica non ha utilizzato la parola “accidenti” ma “specie” (apparenza). La sostanza è la realtà basilare del pane in quanto opposta all’apparenza. La dottrina tridentina è presente nel Catechismo della Chiesa Cattolica al punto n. 1376:
“Il Concilio di Trento riassume la fede cattolica dichiarando: «Poiché il Cristo, nostro Redentore, ha detto che ciò che offriva sotto la specie del pane era veramente il suo Corpo, nella Chiesa di Dio vi fu sempre la convinzione, e questo santo Concilio lo dichiara ora di nuovo, che con la consacrazione del pane e del vino si opera la conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo del Cristo, nostro Signore, e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo Sangue. Questa conversione, quindi, in modo conveniente e appropriato è chiamata dalla santa Chiesa cattolica ‘transustanziazione’”.
Di conseguenza, il Concilio di Trento dichiara che il pane e il vino cessano di essere pane e vino nonostante ciò che noi percepiamo direttamente, le apparenze, resti lo stesso, in modo che il cambiamento non sia percepibile.
Quando si parla delle specie (apparenze) o accidenti, la Chiesa non si riferisce solamente a ciò che è visibile ma a tutto ciò che possa essere in alcun modo in quanto aspetto esteriore del pane e del vino come il tatto, il gusto, la dimensione e l’odore. Comprende anche gli effetti che pane e vino hanno sul corpo. Cioè un sacerdote a cui sia capitato di usare troppo vino all’altare la mattina presto verosimilmente si sentirà un po’ stordito, e chi soffre di celiachia potrà sentirsi male prendendo l’ostia.
Affrontando la domanda del nostro lettore, possiamo dire che abbiamo visto come sia superfluo entrare in una lunga discussione circa cosa costituisca la sostanza e cosa gli accidenti del pane e del vino, in quanto si tratta di questioni filosofiche. Tuttavia, poiché la Chiesa afferma che tutto ciò che contribuisce a rendere il pane e il vino ciò che sono viene trasformato nel Corpo e nel Sangue di Cristo, allora, almeno dal punto di vista della teologia eucaristica, il contenuto alcolico del vino e il glutine nel pane fanno parte delle apparenze o accidenti.
Questa è una questione, seppur correlata, distinta da ciò che costituisce materia valida per il sacramento.
[Traduzione dall’inglese a cura di Maria Irene De Maeyer]
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I lettori possono inviare domande all’indirizzo liturgia.zenit@zenit.org. Si chiede gentilmente di menzionare la parola “Liturgia” nel campo dell’oggetto. Il testo dovrebbe includere le iniziali, il nome della città e stato, provincia o nazione. Padre McNamara potrà rispondere solo ad una piccola selezione delle numerosissime domande che ci pervengono.
 

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Fr. Edward McNamara

Padre Edward McNamara, L.C., è professore di Teologia e direttore spirituale

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