I Consultori servono a favorire le nascite non ad autorizzare aborti

di Marina Casini*

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ROMA, domenica, 26 settembre 2010 (ZENIT.org).- Dagli articoli 1, 2, 5, 9 della L. 194/1978 si ricava che il compito essenziale dei Consultori è operare affinché la donna in difficoltà per una gravidanza problematica o indesiderata prosegua la gestazione e non ricorra all’IVG.

L’art. 2, al primo comma, precisa che resta fermo quanto stabilito dalla Legge 405/1975 che ha istituito i Consultori[1]. L’ art. 1 lettera c) di tale normativa dichiara che lo scopo dei Consultori è tutelare la salute non solo della madre, ma anche del concepito. Se ne deduce che lo scopo di “tutela anche del concepito” è attualmente in vigore.

Inoltre, i compiti di “assistenza della donna in stato di gravidanza” assegnati ai Consultori dall’art. 2 lasciano chiaramente supporre l’obiettivo di evitare l’aborto. Essi riguardano:

a. l’informazione “sui diritti a lei spettanti in base alla legislazione statale e regionale, e sui servizi sociali, sanitari e assistenziali concretamente offerti dalle strutture operanti nel territorio”;

b. l’informazione “sulle modalità idonee a ottenere il rispetto delle norme della legislazione sul lavoro a tutela della gestante”;

c. l’impegno ad attuare “direttamente o proponendo all’ente locale competente o alle strutture sociali operanti nel territorio speciali interventi, quando la gravidanza o la maternità creino problemi per risolvere i quali risultino inadeguati i normali interventi di cui alla lettera a;

d. offrire collaborazione per “far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza. I Consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita. La somministrazione su prescrizione medica, nelle strutture sanitarie e nei Consultori, dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte in ordine alla procreazione responsabile è consentita anche ai minori”.

Dunque, il ruolo specifico del Consultorio non è quello di allinearsi con il percorso abortivo, ma soprattutto quello di offrire, da parte dello Stato, alternative all’aborto a concepimento avvenuto.

Questa interpretazione è presente anche nella sentenza costituzionale n. 35 del 1997[2]. La Consulta, dopo aver affermato il significato normativo dei principi contenuti nell’art. 1 L. 194/78 (dunque anche della “tutela della vita umana fin dal suo inizio”) aggiunge, al paragrafo n. 4, che “gli articoli 4 e 5 sono diretta espressione non solo del diritto del concepito alla vita, ma anche di quella tutela della maternità che pure è iscritta tra gli impegni fondamentali dello Stato (art. 31, comma 2, Cost.)”.

Altrimenti: perché introdurre i Consultori familiari nella Legge che permette l’aborto sulla base di un “documento” o di un “certificato”, che qualsiasi medico può rilasciare? Sembrerebbe chiaro che il ruolo dei Consultori dovrebbe essere quello di porre a disposizione della donna in difficoltà strumenti a favore della prosecuzione della gravidanza, offrendole ogni opportuno aiuto per raggiungere questo obiettivo.

Inesistenza di un obbligo dei Consultori di rilasciare il “titolo” che autorizza ad effettuare l’IVG

D’altra parte, quando il legislatore ha voluto porre a carico delle strutture pubbliche l’obbligo di attuare la decisione della donna di abortire, lo ha stabilito espressamente.

Ne viene conferma dall’art. 9, che prevede il diritto di sollevare obiezione di coscienza. Esso, infatti, al comma 4 si preoccupa degli effetti di tale obiezione prevedendo che: “gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate, sono tenuti in ogni caso, ad assicurare l’espletamento delle procedure previste dall’art. 7, e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli art. 5, 7 e 8. La Regione ne controlla e ne garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale”. Con riferimento all’attività consultoriale, manca del tutto una disposizione di analogo tenore circa l’obbligo a carico del Consultorio di rilasciare il documento o il certificato finalizzato all’aborto.

Si potrebbe osservare che un obbligo per i Consultori si rintraccia nell’art. 5 al terzo e al quinto comma, quando si afferma che, al termine del colloquio il medico del consultorio “rilascia” alla donna il “certificato attestante l’urgenza” o il “documento attestante lo stato di gravidanza e l’avvenuta richiesta”. Tuttavia, si replica che tale disposizione riguarda anche il medico di fiducia e il medico della struttura socio-sanitaria, per i quali, nel caso in cui abbiano sollevato obiezione di coscienza, non esiste affatto l’obbligo di rilasciare il “titolo” per l’aborto, Perché, dunque, il medico del consultorio dovrebbe essere trattato diversamente rispetto alle altre figure di medici?

Inoltre, il rilascio del “titolo” è compito del medico del consultorio, ma non del consultorio come tale. Pertanto, al consultorio possono partecipare sia medici non obiettori, tenuti perciò al rilascio del documento o del certificato che autorizza l’aborto, sia medici obiettori. Certamente, questo duplicità rende ambigua la “preferenza per la nascita” affidata ai Consultori ed è perciò auspicabile una riforma che renda questo compito più limpido e lineare[3],ma allo stato attuale dovrebbe essere comunque lasciato al medico che opera in un consultorio lo stesso diritto di sollevare obiezione di coscienza che ha il medico di fiducia o il medico inserito un un’altra struttura. Se il medico accetta l’incarico nel consultorio, non deve essere costretto a rinunciare all’obiezione di coscienza, e, se si avvale di questo diritto, non deve vedersi decaduto dall’incarico, in quanto non costituisce compito specifico dei consultori rilasciare le autorizzazioni all’aborto.

1) Legge n. 405 del 29 luglio 1975 n. 405, Istituzione dei consultori familiari. Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 227 del 27.08.1975.

2) CORTE COSTITUZIONALE. Sentenza n. 35 del 10 febbraio 1997. Giurisprudenza costituzio-

nale 1997; 1: 281-293.

3) CASINI C. Possibili cambiamenti della legge sull’aborto oggi in Italia. Studia Bioetica

2008; 2-3: 121-132.

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*Marina Casini è ricercatore all’Istituto di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.

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ZENIT Staff

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