I classici dei Padri della Chiesa per la Nuova Evangelizzazione

“La dottrina dei dodici apostoli” riproposta dalle Edizioni Studio Domenicano

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di A.G.

ROMA, sabato, 11 febbraio 2012 (ZENIT.org).- Sono molte le affinità dei nostri tempi con il periodo storico che vide la decadenza dell’impero romano.

Nel suo discorso alla Curia nel 2010 il Pontefice Benedetto XVI ha detto: “Viviamo la crisi che fu dell’Impero Romano”.

Ed è in questo contesto che la scelta delle Edizioni Studio Domenicano (http://www.esd-domenicani.it/sito/home.asp) e delle Edizioni San Clemente (http://www.istitutosanclemente.it/) di pubblicare i testi dei Padri della Chiesa secondo la versione critica delle edizioni Sources Chretiennes, è stata lungimirante.

La Nuova Evangelizzazione ha infatti la necessità di riproporre le ragioni originarie del Cristianesimo, le stesse che portarono alla conversione del mondo pagano.

“La Dottrina dei dodici apostoli” (Didachè), per esempio è uno dei testi più suggestivi dell’Antichità cristiana.

Un manuale catechetico, liturgico e disciplinare, che risale alla Chiesa primitiva, e occupa uno spazio intermedio tra il Nuovo Testamento e i Padri apostolici.

L’Edizioni Studio Domenicano l’ha ripubblicato in una edizione con testo greco a fronte e con introduzione e testo critico di Willy Rordorf, già professore onorario alla Facoltà di Teologia dell’Università di Neuchatel.

La versione italiana è la traduzione del volume pubblicato da Sources Chretiennes (Les Editions du Cerf: La doctrine des douze apotres”

“La dottrina dei dodici apostoli” (meglio conosciuta come Didachè) èun testo antichissimo, antecedente ai Vangeli redatto forse in Siria verso il 50-60 d. C.

Il testo fornisce informazioni preziosissime sulle prime comunità cristiane. Tratta della formazione dei catecumeni e dei missionari; della scelta dei vescovi e dei diaconi; dei rapporti interni alle giovani e piccole Chiese; dell’importanza del lavoro svolto con serietà e impegno; della responsabilità data e richiesta all’assemblea dei fedeli.

Di massima importanza sono i brani relativi al battesimo, all’eucaristia – che aveva una forma molto diversa dall’attuale – e all’agape fraterna, che all’epoca precedeva l’eucaristia.

Non si consoce l’autore. Il testo integrale è stato scoperto solo alla fine del 1800, all’interno di un manoscritto ritrovato a Gerusalemme. Ma l’Opera era già nota a causa delle citazioni che ne avevano fatto i Padri della Chiesa; segno che essa era, già nei primi secoli, molto diffusa per la sua autorevolezza.

Il vescovo egiziano Sant’Atanasio di Alessandria ( 295 ca – 373) è in modo particolare un testimone della venerazione che la Chiesa antica aveva per la Didachè.

La sua recensione originale è oggi esclusivamente rappresentata da un unico testimone, lo Hierosolymitanus 54, della Biblioteca del Patriarcato ortodosso di Gerusalemme.

Il libro delle ESD racconta che “era andato perduto persino il ricordo di questo prezioso manoscritto quando, nel 1873, il metropolita Filoteo Bryennios ebbe la singolare fortuna di scoprirlo nella Biblioteca dell’Ospizio del Santo Sepolcro di Costantinopoli, dove si trovava prima di essere portato a Gerusalemme”.

Approfittando della sua scoperta, Filoteo Bryennios pubblicò nel 1883 l’edizione princeps della Didachè. Da allora la critica non cessò più di interessarsi a questo testo che prima era conosciuto solo per tradizione indiretta e dalle citazioni patristiche.

Senza risolvere tutti i problemi posti dalla vita delle prime Chiese, la Didachè spiega il come le prime comunità di cristiani celebravano il mistero di Cristo.

L’opera comprende quattro parti di diversa lunghezza: una parte catechetica e morale fondata sull’insegnamento giudeo-cristiano delle Due vie, la Via della vita e la Via della morte (capp. 1-6), una parte liturgica che riguarda in particolare il battesimo, il digiuno, la preghiera e l’eucaristia (capp. 7-10), una parte disciplinare che dà indicazioni preziose sulla struttura delle comunità cristiane primitive (capp. 11-15) e una parte escatologica che costituisce la conclusione del libro nella sua redazione attuale (cap. 16).

Così, come si presenta nel manoscritto di Gerusalemme, la Didachè sembra priva di unità letteraria. Essa comprende infatti parecchie parti di lunghezza ineguale, che appartengono a generi diversi.

Ogni parte del libro possiede una struttura particolare che presuppone origini diverse. Non sembra esserci un unico autore , anche se sembra che un redattore abbia eventualmente posto l’ultima mano all’opera prima che essa rivestisse la forma che presenta nello Hierosolymitanus 54.

Anche se le diverse ricerche nonb hanno permesso di identificare i diversi autori della Didachè. È tuttavia certo che costoro godevano di grande autorità nelle comunità cristiane alle quali si rivolgevano, e che essi si aspettavano di essere ascoltati e seguiti nel loro insegnamento.

In merito all’importanza del testo il curatore del volume ha scritto: “La Didachè contiene preghiere eucaristiche antichissime che costituiscono per noi un tesoro inestimabile.

Pur ispirandosi alla tradizione giudaica e pur restando molto vicine ad essa, queste orazioni esprimono in modo caratteristico il compimento della salvezza nella persona di Gesù e l’attesa della parusia del Cristo risuscitato.

Esse proclamano che questa parusia non è propria solo della fine dei tempi, ma è già realizzata nella sinassi eucaristica. Le prospettive di questa concezione escatologica sono sottolineate con vigore e rivelano con ampiezza tutte le ricchezze teologiche dell’istituzione eucaristica”.

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ZENIT Staff

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