I cattolici e la politica

Lettera di Carlo Costalli, presidente del Movimento cristiano lavoratori (Mcl) ai dirigenti

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La lista Monti è un terzo polo con venature tecnocratiche, non il Ppe italiano: il giudizio di Carlo Costalli, presidente del Movimento cristiano lavoratori, contenuto in una lettera ai dirigenti Mcl, illustra bene le motivazioni della delusione che serpeggia nel mondo cattolico per la piega presa dal movimento del premier.

Costalli parte chiarendo che “nessuno del Forum di Todi si è, in realtà, mai posto l’obiettivo di ricostruire “il partito dei cattolici”, né di resuscitare la loro unità politica” e nega che la cancellazione dell’incontro del 10 gennaio tra i Movimenti di Todi e il Prof. Mario Monti possa essere considerato un fallimento, ma ammette che “buona parte del mondo cattolico, compreso il Forum di Todi, ha guardato, da diversi mesi a questa parte, con interesse, simpatia, disponibilità, partecipazione e grandi aspettative, al progetto di un impegno politico diretto di Monti”, soprattutto “nel periodo immediatamente precedente alla sua decisione di impegnarsi fattivamente in politica”. Costalli, con la consueta franchezza, aggiunge: “è innegabile e accertato che, quando la sua scelta si è configurata concretamente, qualche dubbio e perplessità sono insorte”.

A questo proposito cita il prof. Stefano Zamagni, che il 28 dicembre su Avvenire aveva incitato i cattolici ad “arricchire” l’agenda Monti, definendola “un bel documento senz’anima”, e ricorda di aver invitato Monti a Todi allo scopo di “creare l’occasione per un confronto pacato, ma molto franco, per accertare se vi fosse la disponibilità a colmare questo “vuoto d’anima”: a dare un respiro ben più ampio all’Agenda integrandola con il tema dei valori irrinunciabili, della sussidiarietà, della solidarietà, dell’economia civile e del terzo settore”.

Punti programmatici – e, ancor più, ideologici – che evidentemente segnano lo spartiacque tra cattolici e montiani. Quel che divide non è una concezione alternativa su questi temi ma la sensazione che il premier li consideri estranei alla sua visione politica: “sui temi etici – scrive Costalli – si può magari dissentire, ma non si può tacere: pena il fatto di rinunciare a offrire una “certa idea dell’Italia e dell’Europa”, cioè una visione coerente della nostra identità, della nostra storia e del nostro futuro.

E bisogna avere il coraggio di dirlo: senza una “visione dell’Italia” ci sono solo sacrifici ed emergenza ma non può esserci una vera crescita, per la quale si possono ancora chiedere, ma solo in un quadro di reale giustizia sociale, sacrifici responsabili. Per chiarire su questo punto non basta riaffermare, come fa Monti, di credere personalmente “che i valori etici siano fondamentali e che debbano essere difesi”, preoccupandosi però di precisare, immediatamente dopo, che i temi etici “per ora non saranno al centro del programma … ora bisogna lasciare più spazio alle coscienze individuali e al Parlamento”.

Affermare “la necessità di tutelare sempre la dignità della persona e della vita” e, nel contempo, congelare la dimensione pubblica dei temi etici affidandola alla coscienza individuale, significa fare un’affermazione politicamente non credibile”.

Questa era l’agenda dell’incontro mancato del 10 gennaio, ma questo non è il solo punto di rottura e Costalli lo dice apertamente: “Già nei giorni immediatamente successivi alla sua “salita in campo”, man mano che l’iniziativa politica del presidente Monti prendeva consistenza e forma, diventava sempre più evidente che il suo progetto era cosa radicalmente diversa dall’ipotesi – da noi, come da molti altri, auspicata e perseguita – della costituzione in Italia di una vera e propria sezione del Partito Popolare Europeo: in altre parola dalla creazione, nel nostro Paese, di un centrodestra moderno ed europeo, chiaramente non populista ma fortemente radicato nei valori e nella tradizione del popolarismo.

A questo riguardo bisogna dire che, malgrado la solenne investitura concessagli dal Partito Popolare Europeo, che lo aveva invitato ‘da esterno’ al suo vertice di Bruxelles del 13 dicembre, Monti non si è poi affatto mosso nella direzione di dar vita ad un PPE italiano.

A conferma di ciò, quasi tutti i tentativi di molti esponenti del centrodestra di rompere con la loro parte politica originaria, per aderire all’Agenda Monti, sono stati non solo ignorati ma spesso addirittura scoraggiati. Tranne in quei rarissimi casi come, ad esempio, le candidature di Pietro Ichino e Cazzola, laddove è più che evidente una completa omogeneità a quelle sfumature di tecnocrazia riformista e illuminata che tanto caratterizzano il Montismo”.

Pur ammettendo le difficoltà entro cui si muove il Professore, secondo il presidente del Mcl, “la scelta di Monti finisce con il configurare definitivamente il suo tentativo sulla linea “minimalista” del Terzo Polo con qualche venatura tecnocratica”. E, in cauda venenum, Costalli cita D’Alema: “Sulla valutazione di questa vicenda è difficile non concordare con quanto affermato sugli esiti dell’esperienza politica di Monti, da parte di Massimo D’Alema che, pur dalla sua prospettiva chiaramente di sinistra, descrive incisivamente la situazione: “Monti è un uomo che ha servito bene il Paese, una riserva della Repubblica. Ma ora sciupa se stesso, spreca le sue possibilità fino a qui molto forti di continuare a fare qualcosa di importante e di utile per l’Italia […] Questa operazione non sconvolgerà gli assetti politici, come forse sarebbe avvenuto se Monti fosse entrato in politica come il campione di una destra moderata di stampo europeo che, come è noto, non ha rappresentanza”.

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Paolo Accomo

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