I cattolici e la politica (Seconda parte)

I caratteri di una “spiritualità politica” cristianamente ispirata

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di padre Paolo Scarafoni, L.C.
Rettore della Università Europea di Roma

ROMA, giovedì, 20 settembre 2012 (ZENIT.org).- La ripresa dei principi ispiratori è necessaria più che mai ora perché questo spirito è stato mortificato nei decenni appena trascorsi. Ronald Reagan e Margaret Thacher hanno segnato un cambio epocale che è coinciso con la caduta del comunismo. Hanno introdotto nella democrazia principi e procedure liberali; la sinistra europea (compresa quella italiana) è andata dietro alle loro proposte. Possiamo dire che in quegli anni è stata adottata la scelta del liberalismo, anzi tutto educativo (nel modo di educare i bambini e i giovani). Questa scelta educativa ha inciso molto nella gioventù. La Chiesa è rimasta sola a difendere i poveri. Oggi la nostra democrazia intrisa di procedure liberali rischia di morire per un processo fisiologicamente oligarchico e per mancanza di ideali forti. In questa situazione è indispensabile formulare un invito pressante a continuare a puntare sulla democrazia. Siamo di fronte ad una crisi prima di tutto della democrazia. Bisogna tornare a puntare sulla democrazia e a riorganizzarla.

I cristiani anche in Italia dagli anni 80-90 in poi non si sono organizzati bene, non hanno saputo rispondere bene alla vittoria del liberalismo nel mondo. Hanno lasciato penetrare la mentalità egoistica nell’organizzazione sociale e politica e nella vita quotidiana delle famiglie; hanno perso la battaglia nel campo educativo.

Anche la sinistra europea ha ceduto al liberalismo e si è limitata a difendere i privilegi di alcuni gruppi, ma non ha difeso i poveri nel mondo, pensando anch’essa che lo sviluppo sarebbe venuto soltanto dal capitalismo liberale. Di fatto la sinistra ormai ha perso il contatto vero con il popolo. Si è buttata sulle battaglie minoritarie, per lo più contro natura, e per lo più frutto di gruppi di pressione e di élites culturali nei confronti delle quali si è messa in atteggiamento di soggezione e dipendenza culturale (fecondazione artificiale, questioni di genere e matrimoni omosessuali, ecc.). Queste questioni in Italia sono state messe alla prova popolare per la prima volta con il referendum sulla legge 40 e la sinistra è stata battuta, dimostrando di essere ormai lontano dal sentire popolare, perché il popolo non va contro natura in genere. Bisogna ringraziare molto il Cardinale Camillo Ruini che ha colto l’opportunità di far collaborare i cristiani con tutti coloro che difendono le posizioni a favore della natura umana.

Tuttavia la Chiesa cattolica in Italia, ma anche in altre parti, nella confusione generale non ha perso tempo del tutto. In questi ultimi venti anni, con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, il Cardinale Camillo Ruini e il cardinale Angelo Bagnasco, ha elaborato un approfondimento sui temi della vita, della famiglia, e della dottrina sociale, per poter affrontare meglio le nuove sfide.

Inoltre nel suo insieme e dovunque nel mondo la Chiesa cattolica è rimasta l’unica voce in difesa dei poveri e dei più deboli, e di questo ha preso chiara coscienza. I cristiani immersi nella maggioranza pagana non sono chiamati a realizzare progetti di potere, in modo prioritario; devono soprattutto esprimere “il primato dello spirituale” e forti identità culturali che mettano al centro la persona umana, difesa, rispettata e promossa sin dal concepimento. Devono ripartire dalle iniziative sociali, del lavoro, dell’impresa, e della cultura. Non debbono permettere che la crisi delle democrazie occidentali degenerate in oligarchie diventi la crisi definitiva degli ideali democratici. In questi ideali è presente il vero sviluppo umano integrale, che non è l’edonismo, che ora invece viene proposto come forma dello sviluppo (cfr. Caritas in veritate 76: “Una società del benessere, materialmente sviluppata, ma opprimente per l’anima, non è di per sé orientata all’autentico sviluppo. … Non ci sono sviluppo plenario e bene comune universale senza il bene spirituale e morale delle persone, considerate nella loro interezza di anima e di corpo”).

Ci troviamo in un misto di maturazione e stagnazione. Siamo arrivati all’obsolescenza di un modello di sviluppo basato sul petrolio. Andiamo verso uno stile di vita meno consumistico. E’ tutto il ciclo della globalizzazione – cioè quella prima ed iniziale fase di internazionalizzazione dei commerci, dei prodotti, dei processi tecnologici e finanziari che aspiravano ad una crescita mondiale – ad aver ceduto.

C’è una strana situazione: il processo di crisi che da vari anni si verifica sotto i nostri occhi è caratterizzato da una doppia tendenza, apparentemente schizofrenica. Da una parte cogliamo, specialmente in tutti i paesi dell’Occidente, un processo di “maturità dello sviluppo”. Vale a dire che un intero ciclo dello sviluppo delle forze produttive ha raggiunto un livello di automazione nelle tecnologie dei processi e dei prodotti. Dall’altra assistiamo alla crescita della “stagnazione economica”. Nel meccanismo della globalizzazione non è solo la dinamica delle reti ad imporsi, ma contemporaneamente avviene  l’estenuarsi di una crescita produttiva che trova nell’astrattezza dello scambio solo di denaro attraverso denaro una sua ferrea logica di eliminazione della forza lavoro sia manuale che intellettuale. Non c’è il rilancio. Bisogna pensare un nuovo modello sociale. La gente non deve disperare se non ha tre pellicce e tre televisioni. Questo ciclo è finito.

Comprendere il significato profondo di questa crisi internazionale significa comprendere una radicale questione di emergenza antropologica che richiede nuove riflessioni e nuovi impegni pratici e un nuovo impegno educativo. Crisi profonda, che non è prima di tutto finanziaria, ma crisi dell’antropologia che è dietro al capitalismo che è in crisi. Questo modello antropologico ha portato alle sperimentazioni disumane. Si postula la possibilità che ci siano vite umane che non hanno dignità di esserci.

La considerazione della persona umana esclusivamente come soggetto individuale è entrata in crisi. Ha portato al pensiero debole, alla giustificazione dell’egoismo morale, dell’utilitarismo economico e dell’indifferentismo sociale. Ci sono state molte conseguenze gravi nel campo della biogenetica. In questo contesto però ci sono state due novità provenienti dalla Chiesa cattolica. Giovanni Paolo II e l’allora cardinal Joseph Ratzinger, verso la fine degli anni ottanta del passato secolo, elaborarono un nuovo concetto di persona, che rispondesse adeguatamente all’enorme crescita delle forze scientifiche biogenetiche collegate agli interventi di manipolazione artificiale fortemente lesivi della dignità del genere donna e uomo; e delle forti ingiustizie sociali che segnavano una crescita di differenza fra ricchi e poveri, forti e deboli.

A partire da quelle riflessioni, che possiamo dire “dei due Pontefici” si è andato precisando un Progetto Culturale specialmente nel nostro Paese, che ha offerto una visione della relazionalità umana straordinariamente utile per l’impegno culturale e politico dei cristiani; una concezione relazionale della persona che ha aperto nuove strade. È doveroso ripetere un ringraziamento particolare al Cardinale Camillo Ruini, vicario di Roma e presidente della Conferenza Episcopale Italiana durante buona parte del pontificato di Giovanni Paolo II e all’inizio del pontificato di Benedetto XVI.

La nozione di persona così elaborata è una nozione analogica e relazionale, che viene maturando in gradi diversi e su piani essenzialmente differenti. Così si sostiene nella Enciclica Evangelium Vitae nn. 1 e 18-20.

[La terza parte verrà pubblicata giovedì 27 settembre. La prima parte è stata pubblicata giovedì 13 settembre]

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ZENIT Staff

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