I canoni bizantini nell’iconografia di san Paolo

Come la tradizione orientale ha dipinto l’Apostolo

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ROMA, lunedì, 23 febbraio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito un articolo di Giuseppe Lombardo e Mirella Roccasalva, dell’Associazione Russia Cristiana “San Vladimir” (Siracusa), apparso sull’ottavo numero della rivista “Paulus” (febbraio 2009), dedicato al tema della bellezza.

 

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«Mentre il mio corpo era debilitato per il digiuno, a me che non dormivo ma ero in estasi essi apparvero insieme ad una persona che rassomigliava al beato apostolo Paolo, così come la pittura mostra chiaramente nelle immagini la figura di lui». Dalla citazione del breve passo di sant’Ambrogio nell’Epistola a tutta l’Italia, si evince la forza evocativa delle immagini; l’evocazione diventa più forte se si considera che sant’Ambrogio, citato da Giovanni Damasceno nel secondo discorso in “Difesa delle immagini sacre”, si riferisce a un’icona.

I canoni iconografici, dettati da Bisanzio, si individuano nelle raffigurazioni iconografiche dei vari personaggi dell’Antico e del Nuovo Testamento con l’intento di sollecitare alla contemplazione e alla preghiera e di accompagnare nella conoscenza del personaggio raffigurato, considerando che lo stesso viene proposto nel piano, proprio dell’icona, della raffigurazione visibile del Dio invisibile.

L’iconografia dell’apostolo Paolo entra a pieno titolo nel profondo linguaggio della pittura delle icone che non può prescindere dalla sua triplice genesi teologica, estetica e tecnica.

La tipologia raffigurativa, con la quale giunge a noi l’iconografia paolina, propone nei diversi modelli la figura di un uomo che ha acconsentito all’amore di Cristo di toccarlo per sempre. Un primo approccio, alla ricerca delle fonti, presenta pochi esempi di arte canonica dedicati all’Apostolo, ma uno studio più attento ne evidenzia le peculiari caratteristiche con le quali si può entrare in dialogo per penetrare aspetti singolari della profonda umanità di Paolo. Ogni tipologia iconografica, nel corso del tempo, ha conosciuto progressive trasformazioni dovute a cambiamenti epocali, evoluzioni artistiche, approfondimenti teologici.

Le raffigurazioni più antiche di san Paolo, con le quali lo studioso entra in relazione, sono quelle proposte dalle vetuste icone in avorio e smalto e dalla maestosità della rappresentazione musiva. Dallo studio delle varie fonti dell’iconografia paolina si può affermare che ci si trova di fronte a quattro tipologie figurative dominanti: il ritratto, la figura in piedi, l’abbraccio di Pietro e Paolo, alcune scene della vita.

Il ritratto presenta l’Apostolo con caratteristiche canoniche comuni alle varie interpretazioni degli artisti (fronte alta e stempiata, naso aquilino, barba lunga inanellata nella parte finale, collo robusto e ben visibile), ma con due caratteristiche espressive differenti. La prima è quella del pastore rigoroso, fermo nelle sue indicazioni, preoccupato per le comunità a lui affidate e la cui severità è sottolineata dal sopracciglio sinistro fortemente inarcato; un esempio è l’icona di Teofane il Greco. La seconda peculiarità espressiva è quella dell’uomo di Dio, del teologo profondamente immerso nel mistero della sua esistenza trasfigurata dall’amore di Dio. In questo ruolo è stupenda l’interpretazione iconografica di Andrej Rublёv che ne rilegge i tratti e, si può anche asserire, ne reinterpreta i canoni più antichi.

Lo studioso Michail Alpatov, nel famoso saggio Le icone russe, offre un’interpretazione del linguaggio di Rublёv degna di attenzione, soprattutto se la si legge nell’ottica della necessaria evoluzione di tipologie figurative più arcaiche: «L’originalità del San Paolo di Rublёv non sta nel fatto che il volto è già espressivamente russo, che ha la carnagione meno olivastra e il naso meno aquilino di quello greco, che i suoi capelli non sono neri ma biondi: bisogna notare come sia stata raggiunta una felice congiunzione tra morbida modellatura della testa e rughe arrotondate sulla fronte e sulle guance. Questo dà un senso di rilievo e, contemporaneamente, la testa è ben strutturata sul corpo; i contorni sono disposti organicamente sul volto, tutta la testa si arrotonda a partire dalla fronte, le sopracciglia si innalzano, lo zigomo sporge, il naso è modellato, la vigorosa e morbida disposizione della testa corrisponde a quella del corpo, l’arrotondamento della testa all’arrotondamento della spalla. L’immagine si distingue per integrità del volume: il rapporto reciproco delle forme costituisce quel fascino, quell’armonia che emana dall’Apostolo di Rublёv».

Il ritratto dell’Apostolo viene compreso con maggiore chiarezza se ci si ferma alla lettura del disegno di base delle varie icone. Infatti, il tratto essenziale del segno, madre di ogni opera d’arte che meriti questa definizione, assegna all’intera opera il tratto distintivo che viene completato dall’uso del colore. Riguardo a quest’ultimo elemento, l’iconografia bizantina raffigura l’Apostolo coperto da una veste di tonalità blu o blu-verde sulla quale vi è sempre un manto rosso. Esistono tuttavia delle varianti di colore proposte anche da grandi maestri, ma si può affermare che i colori canonici siano i primi.

Le icone che raffigurano san Paolo in piedi, lo presentano sempre nella bellezza della sua energia interiore e ogni gesto sembra accompagnare i passi del Santo verso la costruzione della Chiesa: le mani che stringono e ,nel contempo, propongono la Parola, le mani che ammoniscono o benedicono, i piedi sempre posti su due livelli diversi per indicare la dinamica dell’azione. Dal punto di vista della struttura del corpo si nota il rispetto dei canoni bizantini: il corpo umano viene raffigurato nella dimensione della trasfigurazione e quindi privato dalle imperfezioni cui in natura è soggetto; è questa la ragione per cui le icone non rispondono facilmente ai princìpi naturali e, pertanto, qualsiasi modello appare stilizzato. Sia nella raffigurazione del volto (frontale o a tre quarti) che in quella del corpo, ci si trova di fronte al canone bizantino per cui non esiste profondità prospettica. La grandezza della testa, anch’essa costruita su rigorosi canoni elaborati con il principio della concentricità dei cerchi o del movimento  degli stessi su assi inclinati secondo misure dettate dall’armonia dell’insieme, assegna al corpo (generalmente misurato in sette o otto teste) l’eleganza necessaria alla raffigurazione e caratterizza il disegno con la precisione di linee che servono a dare finezza al movimento dell’insieme. Regola inequivocabile per la rappresentazione dell’apostolo Paolo, come per tutta l’arte delle icone, è che le linee del disegno, accompagnate poi dalle lumeggiature e rifinite dai dettagli, creino un’armonia particolare dell’insieme, deputata a dichiarare la regalità  del personaggio.

Con la tipologia iconografica dell’Abbraccio di san Pietro e san Paolo, conosciuta anche con il titolo di Incontro tra Pietro e Paolo e più raramente con quello di Bacio tra Pietro e Paolo, si è di fronte a un tema di grande attualità nella vita delle comunità cristiane. È di notevole interesse la forza dell’abbraccio, la spinta dei corpi dei Santi che si legge facilmente anche nelle raffigurazioni dei particolari dei due volti. Sembra la tappa conclusiva di un cammino vissuto nella ricerca di una reciprocità che possa parlare ai cristiani per rivolgere loro l’invito giovanneo: «Perché siano una cosa sola, come noi» (Gv 17,11). Quest’immagine può essere considerata un invito all’unità dei cristiani. Lo slancio dei corpi, sempre presente nel modello dell’Abbraccio, diventa canone della raffigurazione stessa, perché non venga meno il senso della stessa.

La tradizione iconografica propone anche dei modelli che evocano scene della vita di san Paolo, di cui le più d
iffuse sono quelle del battesimo, della predicazione, del naufragio e del martirio, ma non mancano anche episodi poco noti come quello della visione della Gerusalemme Celeste. Ci si trova sempre di fronte alle caratteristiche precipue dell’arte bizantina: assenza prospettica, sostituita dal principio della prospettiva rovesciata o inversa, che ha la forza di condurre il personaggio o l’intera scena verso lo sguardo dello spettatore; luce sullo sfondo perché possa essere data una spinta maggiore all’insieme verso l’esterno; disegno netto e pulito che sappia giocare con le sue tre dimensioni: verticale, orizzontale e diagonale e con il dinamismo del segno sorretto dalla progressione e dal ritmo. Tutto è completato dal linguaggio del colore. Studi approfonditi hanno dimostrato che l’arte delle icone è l’arte della luce, pertanto viene meno l’idea di immagini buie e prive di luce.

L’intensità della policromia bizantina, che utilizza abilmente i contrasti cromatici, consente di trovare una vibrazione che, dal punto di vista tecnico, serve per affermare gli equilibri e le armonie necessarie all’arte bizantina, ma, dall’altro, è necessaria per toccare la sensibilità del fedele che ad essa si accosta. L’iconografia delle scene della vita dell’Apostolo, nel rispetto della tradizione bizantina, fa riferimento ai testi biblici, alle fonti liturgiche, alla tradizione della Chiesa, ma anche alla testimonianza dei vangeli apocrifi.  Dalla  nascita dell’arte delle icone, gli artisti si sono ispirati,  per esigenze date dall’elaborazione scenica dell’insieme, ai testi apocrifi.  Ciò non svilisce la verità stessa dell’icona.

Analizzando il percorso dell’iconografia paolina, si legge anche il cammino della comunità cristiana accompagnata dalla parola di Dio, si avverte la presenza dell’Apostolo delle genti, se ne gusta l’avventura umana e cristiana che ha ispirato la creatività degli artisti.

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ZENIT Staff

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