I 150 anni del Monastero delle Clarisse alla Giudecca

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di Mirko Testa

ROMA, martedì, 9 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Una vita “in pienezza” nella “circolarità della carità”: così definisce l’esperienza delle Clarisse del Monastero alla Giudecca di Venezia la badessa, suor Giovanna Zoletto.

La religiosa, di 65 anni, ha parlato a ZENIT della famiglia religiosa, che questo martedì celebra 150 anni e vive nel carisma di Santa Chiara d’Assisi.

L’anniversario è stato festeggiato, tra le altre iniziative, con una Messa celebrata insieme al Patriarca di Venezia, il Cardinale Angelo Scola. Le suore, ha confessato la badessa, sperano e pregano che questo evento sia un'”interiore di ripresa di vigore. Sappiamo che il Signore ha il suo progetto e quindi viviamo questo momento come la natura che vive nell’attesa della Primavera”.

La fondatrice della comunità è Madre Augusta Nicola, una giovane proveniente da Murano che voleva consacrarsi al Signore e si recò nella chiesa del Redentore chiedendo la direzione spirituale di un padre cappuccino, manifestando il desiderio di vivere da religiosa.

Insieme all’amica Elisabetta Fantini lasciò la famiglia per condurre una vita semplice e aprire un piccolo convento. L’erezione canonica della comunità con il voto di clausura avvenne il 9 febbraio 1860 con rito presieduto dall’allora Patriarca di Venezia, il Cardinale Angelo Ramazzotti.

“Da lì la comunità è cresciuta e nel tempo ha conosciuto momenti belli ma anche di fatica, di povertà – ha ricordato suor Giovanna a ZENIT -. In tempi di guerra, la prima, le religiose hanno trovato accoglienza nella comunità di Tortona da don Luigi Orione. Nell’ultima guerra sono andate ad Asolo perché rimanere qui era troppo pericoloso”.

“Il desiderio di vita evangelica è sempre stato alimentato da una particolare spiritualità: oltre a quella di Clarisse, anche quella di servizio al Mistero della Santissima Trinità che riceviamo nel Battesimo e che viene sviluppato nella vita”.

L’importanza della comunità

Suor Giovanna, originaria di Adria, in provincia di Rovigo, è entrata nella Congregazione a 22 anni. “Ho vissuto in un crescendo. Agli inizi sei portato anche dall’entusiasmo, però poi con il passare degli anni arrivano una maggiore consapevolezza e un ringraziamento al Signore per questa vocazione”.

“All’inizio non si capisce tutto, ci si arriva anche con il crescere e con il contatto con le sorelle. Santa Chiara dice che le sorelle devono essere lo specchio le une delle altre. Vivere insieme aiuta a completarsi, in un arricchimento e aiuto reciproco”.

“Come tutti si condividono i momenti di fatica, ma anche di gioia e di fraternità”, ha aggiunto. “Nonostante la fatica c’è anche un bel clima di aiuto, di comprensione, e si sente la circolarità della carità”. “La nostra vita la viviamo in pienezza”.

Fecondità della preghiera

In una comunità formata attualmente da 7 religiose tra i 65 e gli 80 anni, suor Giovanna ha ammesso che “si sente la mancanza di giovani sorelle”. “E’ vero che la comunità è del Signore e quindi lui ha i suoi disegni, ma il non vedere giovani che entrano non ci permette a volte di scorgere una prospettiva di continuità, di futuro”.

Il fatto di essere “poche e un po’ anziane” non ostacola tuttavia l’apostolato delle suore. “Ci sono tante persone che si avvicinano a noi, che ci chiedono l’aiuto della preghiera”, ha rivelato.

“La nostra eredità quindi va a tante persone che vengono in contatto con noi, che ci comunicano le loro situazioni. Dare l’aiuto della preghiera e il sostegno della nostra solidarietà: credo che quella sia una eredità”.

“Sia per lettera che al telefono riceviamo molte richieste di preghiera, per le famiglie e le coppie di sposi che hanno difficoltà, anche economiche. Recentemente un papà ha scritto chiedendo preghiere per un figlio che sta perdendo la fede”.

“Portiamo al Signore i problemi di chi ci sta a cuore – ha continuato suor Giovanna -. Sentiamo che facciamo parte di una società e quindi nella nostra preghiera portiamo davanti al Signore questa società, non delle cose astratte. Portiamo davanti al Signore anche la nostra stessa fragilità. E’ un modo di solidarizzare con chi è fragile”.

“Santa Chiara, in una sua lettera alla beata Agnese di Praga, diceva: ‘ti stimo collaboratrice delle membra deboli del corpo di coloro che soffrono’. E’ questo sentirsi partecipi delle sofferenze, portare la sofferenza in comunione con chi soffre”.

La missione discreta dei consacrati

L’importanza di questa vicinanza spirituale è stata sottolineata dal Cardinale Franc Rodé, prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, che ha ricordato alla “Radio Vaticana” che “oggi, in un mondo così movimentato come il nostro la preghiera diventa certamente più difficile”.

“Dobbiamo mettere l’accento sulla assoluta necessità della preghiera nella vita spirituale di un consacrato e di una consacrata”.

Per questo, ha annunciato la pubblicazione di un documento “interdicasteriale”, insieme al tema della formazione liturgica, proposto dal prefetto per il Culto Divino, il Cardinale Antonio Cañizares.

Anche Papa Benedetto XVI, nell’omelia pronunciata nella XIV Giornata della Vita Consacrata, il 2 febbraio scorso, ha voluto ricordare l’umiltà e la discrezione della vita consacrata, non sempre debitamente compresa.

“Penso alle persone consacrate che sentono il peso della fatica quotidiana scarsa di gratificazioni umane”, ha affermato.

<i>[ha collaborato Roberta Sciamplicotti]

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ZENIT Staff

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