"Hannah Arendt" il film della memoria

Il lungometraggio, proiettato nei cinema italiani nel Giorno della Memoria, è una riflessione sul linguaggio e sulla giustizia alla luce dell’opera “La banalità del male”

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In alcune sale cinematografiche italiane, il 27 gennaio Giorno della Memoria, è stata avviata, in ricordo della Shoah, la proiezione del film “Hannah Arendt” in lingua originale con sottotitoli in italiano. Con la regia di Margarethe Von Trotta e l’attrice Barbara Sukowa nelle vesti della filosofa tedesca di origine ebrea, il film tratteggia il periodo dal 1960 al 1964, durante il quale la protagonista, poco più che cinquantenne, prese la decisione di trasferirsi a Gerusalemme per seguire il processo ad Adolf Eichmann per la rivista “New Yorker”. Seguono poi i mesi durante i quali la Arendt dovette difendersi di fronte ai suoi amici e ad un ostile mondo accademico, per le sue riflessioni che diedero vita all’opera “La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme” (1).

Un film di interni newyorkesi e di viste sul paesaggio israeliano o dei vicoli di Gerusalemme, con quei lunghi silenzi della Arendt che offrono il senso della meditazione storica e filosofica sugli straordinari accadimenti poi divenuti articoli e libri. E ancora i ricordi con il maestro Heidegger, i dissidi con l’altro filosofo Jonas, l’apprezzamento degli studenti. Nonché la vita privata fatta anche di amorevole complicità con il secondo marito Heinrich, l’amicizia con la scrittrice Mary McCarthy, la collaborazione lavorativa e non solo, con la segretaria Lotte.

Principalmente, diremmo, le scene del processo e dell’ufficiale delle SS Eichmann, riprese dall’originale in bianco e nero, sia per suggellare l’impossibilità di interpretare alcuni ruoli o alcuni eventi e sia per amplificarne la drammatica realtà.   

Il processo Eichmann, che vide l’imputato accusato di crimini contro il popolo ebraico, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, consentì alla Arendt di parlare del male e di come questo potesse essere compiuto in maniera impersonale, non da uomini demoniaci ma da persone semplici, burocrati del male appunto, eseguendo banalmente degli ordini, quasi senza consapevolezza.

Scrive la Arendt, nelle pagine conclusive della sua opera: “Tra i più grandi problemi del processo Eichmann, uno supera per importanza tutti gli altri. Tutti i sistemi giuridici moderni partono dal presupposto che per commettere un crimine occorre l’intenzione di fare del male. Se c’è una cosa di cui la giurisprudenza del mondo civile si vanta è proprio di tenere conto di questo fattore soggettivo. Quando manca questa intenzione, quando per qualsiasi ragione (anche di alterazione mentale) la capacità di distinguere il bene dal male è compromessa, noi sentiamo che non possiamo parlare di crimine”.

Quel processo Eichmann che, come afferma Elena Loewenthal nel suo ultimo libro (2), è stato lo spartiacque che ha “imposto” il dovere della memoria dopo che, nell’immediato dopoguerra, la Shoah era un silenzioso, dolorosissimo ricordo del solo popolo ebraico.

Nelle scene finali, dove la Arendt spiega, dinanzi ai suoi allievi (ed anche ai suoi oppositori accademici) il significato più compiuto del concetto di “banalità” del male, non si può non essere rimandati alla potenza del linguaggio, alla forza dirompente della parola che difficilmente, può essere ingabbiata nella terminologia e nella interpretazione giuridica.   

Domenica 26 gennaio, nel corso del Festival delle Scienze 2014, il Professore Lawrence Solan (3) ha svolto una Lectio Magistralis su “Linguaggio e Giustizia” approfondendo il tema della vaghezza o dell’ambiguità delle parole all’interno dell’analisi giuridica.

Mezzo secolo dopo, la combinazione di questo film e di questa lectio ha permesso, soprattutto ai cittadini di Roma, di poter capire ancora meglio grazie alla forza evocativa dell’ascolto delle parole, quanto fosse ineludibile che i termini della questione, sollevati dalla Arendt, rimanessero attuali nel corso dei decenni e, perché no, fornissero, entrambi gli eventi, strumenti ulteriori per riflettere nel Giorno della Memoria.

*

NOTE

1) Sull’argomento si può fare riferimento all’articolo di Bruno Forte del 5 gennaio 2014 intitolato – La nuova “banalità del male” – pubblicato dal Sole24ore e ripreso da Zenit lo stesso giorno.

2) “Contro il Giorno della Memoria”, Add editore, pp.93, € 10, gennaio 2014.

3) Lawrence M. Solan ha conseguito il Ph.D. in linguistica presso l’Università del Massachusetts e il dottorato in Legge presso la Harward Law School.

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Antonio D'Angiò

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