Gustare, come San Francesco, il mistero del Natale con occhi commossi e labbra addolcite

Nell’ultima predica d’Avvento, padre Cantalamessa analizza l’umiltà dell’incarnazione secondo la prospettiva del Poverello d’Assisi ed esorta ad “amare, soccorrere ed evangelizzare” i poveri

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Terza e ultima predica di Avvento per padre Raniero Cantalamessa. Dopo aver approfondito la figura di San Francesco e spiegato come attraverso l’umile frate sia stata riformata la Chiesa intera, il predicatore della Casa Pontificia ha oggi analizzato il mistero del Natale, di questo “neonato Re povero” incarnato nella piccola città di Betlemme. Il cappuccino ha rievocato quindi la tradizione del presepio istituita a Greccio dal Santo d’Assisi, e ha sottolineato come egli “ci aiuti a integrare la visione ontologica dell’incarnazione, con quella più esistenziale e religiosa”.

“Non importa, infatti – ha detto Cantalamessa – solo sapere che Dio si è fatto uomo”, ma anche “sapere che tipo di uomo si è fatto”. Già tra Giovanni e Paolo si denota una diversa, seppur complementare, prospettiva dell’evento dell’incarnazione. Per Giovanni, “il Verbo si è fatto uomo”; per Paolo “Cristo, da ricco che era, si è fatto povero”. Francesco “si situa nella linea di san Paolo”, in quanto – ha spiegato il predicatore – “più che sulla realtà ontologica dell’umanità di Cristo, egli insiste, fino alla commozione, sull’umiltà e la povertà di essa”.

Secondo le fonti, “l’umiltà dell’incarnazione e la carità della passione” avevano il potere di commuovere fino alle lacrime il Santo. Addirittura, una volta, un frate gli ricordò durante il pranzo la povertà della Vergine e l’indigenza del Suo Figlio, che Francesco “subito si alzò da mensa, scoppiò in singhiozzi di dolore, e col volto bagnato di lacrime mangiò il resto del pane sulla nuda terra”. Il Patrono d’Italia ha ridato dunque “‘carne e sangue’ ai misteri del cristianesimo spesso ‘disincarnati’ e ridotti a concetti e sillogismi”. E la sua distinzione “tra il fatto dell’incarnazione e il modo di essa” – ha affermato il predicatore della Casa Pontificia – “getta una luce singolare sul problema attuale della povertà e dell’atteggiamento dei cristiani verso di essa”.

Nella sua incarnazione, Cristo “ha assunto, a un titolo tutto particolare, il povero, l’umile, il sofferente, al punto da identificarsi con essi”. Nel povero si ha una presenza “reale” di Cristo, non come nell’Eucarestia certo, ma come Gesù ha detto: “Quella certa persona lacera, bisognosa di un po’ di pane, quell’anziano che moriva intirizzito dal freddo sul marciapiede, ero io!”. Pertanto, ha spiegato Cantalamessa, “non accoglie pienamente Cristo chi non è disposto ad accogliere il povero con cui egli si è identificato”. Il povero, ha sottolineato il cappuccino, è un “vicario” passivo di Cristo, nel senso che “quello che si fa al povero è come se lo si facesse a Cristo”.

Per questo Giovanni XXIII nel Concilio ha coniato l’espressione “Chiesa dei poveri”, per indicare che “tutti i poveri del mondo, siano essi battezzati o meno, le appartengono”. Ne deriva che il Papa sia il “padre dei poveri”, ed è “una gioia” – ha osservato padre Raniero – “vedere quanto questo ruolo è stato preso a cuore dagli ultimi Sommi Pontefici”, in particolare dal Papa regnante.

Tuttavia, ha constatato il predicatore, “noi tendiamo a mettere, tra noi e i poveri, dei doppi vetri”. Infatti, “vediamo i poveri muoversi, agitarsi, urlare dietro lo schermo televisivo, sulle pagine dei giornali e delle riviste missionarie, ma il loro grido ci giunge come da molto lontano. Non ci penetra al cuore”. La parola ‘poveri’, ‘extracomunitari’, “provoca, nei paesi ricchi, quello che provocava nei romani antichi il grido ‘i barbari’: lo sconcerto, il panico”.

“Piangiamo e protestiamo per i bambini a cui si impedisce di nascere – ha domandato Cantalamessa – ma non dovremmo fare altrettanto per i milioni di bambini nati e fatti morire per fame, malattie, costretti a fare la guerra e uccidersi tra loro per interessi a cui non siamo estranei noi dei paesi ricchi?”. Dovremmo protestare non solo “per gli anziani, i malati, i malformati aiutati a morire con l’eutanasia”, ma anche “per gli anziani che muoiono assiderati di freddo o abbandonati soli al loro destino”.

Il primo passo è dunque “superare l’indifferenza e l’insensibilità”, “accorgerci” dei poveri. Sono tre le parole chiave in tal senso: “Amarli, soccorrerli, evangelizzarli”. Amarli nel senso di “rispettarli e riconoscere la loro dignità”, sulla scia di santi come Francesco, Vincenzo de’ Paoli e Madre Teresa di Calcutta, il cui amore per i poveri “è stato la via della loro santità”. I poveri, inoltre – ha aggiunto Cantalamessa – “non meritano soltanto la nostra commiserazione”, ma anche “la nostra ammirazione”, perché “essi sono i veri campioni dell’umanità”. Si distribuiscono tante coppe e medaglie d’oro a chi ha semplicemente saltato un centimetro più in alto degli altri, e non si tiene affatto in considerazione “di quali salti mortali, di quale resistenza, di quali slalom, sono capaci a volte i poveri”.

Oltre al dovere di amare i poveri, segue quello di soccorrerli. “A che serve impietosirsi davanti a un fratello o una sorella privi del vestito e del cibo, dicendo loro: Poveretto, come soffri! Vai, riscàldati, sàziati!, se  tu non gli dai nulla di quanto ha bisogno per riscaldarsi e nutrirsi?”, ha detto padre Cantalamessa, riecheggiando le parole di San Giacomo. “La compassione, come la fede, senza le opere è morta”, ha soggiunto, “Gesù nel giudizio non dirà: Ero nudo e mi avete compatito; ma Ero nudo e mi avete vestito”. Pertanto, “non bisogna prendersela con Dio davanti alla miseria del mondo, ma con noi stessi”.

Oggi, poi, non basta più “la semplice elemosina”: si possano fare tante cose “per soccorrere” i poveri e “promuoverne l’elevazione”. Tra queste, evangelizzarli: “Non dobbiamo permettere che la nostra cattiva coscienza ci spinga a commettere l’enorme ingiustizia di privare della buona notizia coloro che ne sono i primi e più naturali destinatari”, ha sottolineato Cantalamessa. “L’azione sociale deve accompagnare l’evangelizzazione, mai sostituirla”, e i poveri – ha affermato – “hanno il sacrosanto diritto di udire il Vangelo integrale, non in edizione ridotta o polemica”.

In conclusione, padre Raniero è tornato a riflettere su Francesco d’Assisi, e ha spiegato che per lui il Natale “non era solo l’occasione per piangere sulla povertà di Cristo”, ma la festa “che aveva il potere di fare esplodere tutta la capacità di gioia che c’era nel suo cuore”. “A Natale egli faceva letteralmente pazzie; diventava come uno di quei bambini che stanno con gli occhi pieni di stupore davanti al presepio” – ha raccontato – e “ogni volta che diceva Bambino di Betlemme o Gesú, passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole”. Anche noi – ha concluso Cantalamessa – possiamo assaporare i sentimenti di Francesco ascoltando il tradizionale e noto canto natalizio del Tu scendi dalle stelle... “Lasciamoci commuovere dal suo messaggio semplice ma essenziale” ha esortato il cappuccino, per poi recitare davanti al Papa e i presenti i dolci versi musicati da sant’Alfonso Maria de Liguori.

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione