Monte Tabor / Wikimedia Commons - אלי זהבי, CC BY 2.5

Guardare il Volto di Cristo, icona di Dio, per esserne trasfigurati

Lectio Divina sulle letture per la II Domenica di Quaresima 2016 – Anno C – 21 febbraio 2016

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Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture per la II Domenica di Quaresima 2016 – Anno C – 21 febbraio 2016.
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Rito Romano
II Domenica di Quaresima – Anno C – 21 febbraio 2016
Gn 15,5-12.17-18; Sal 26; Fil 3,17-4,1; Lc 9,28b-36
Rito Ambrosiano
II Domenica di Quaresima
Gen 15,5-12.17-18; Sal 26; Fil 3,17- 4,1; Lc 9,28-36
1) Ecco mio Figlio – Ecco l’Uomo.
Domenica scorsa, la Liturgia quaresimale ci ha invitato alla conversione, facendoci rivivere il mistero della tentazione di Gesù e la sua vittoria per compiere con Lui il viaggio di ritorno. Questo cammino di liberazione, nel Vangelo “esodo”, ci fa passare dalla schiavitù del peccato, dalla condizione di prigionieri dell’errore e del male alla libertà di figli nel Figlio, alla verità e bellezza di essere in Cristo, alla bellezza di un amore che sempre accoglie tutto e tutti.
Oggi, la seconda tappa del nostro esodo penitenziale, la Parola di Dio ci introduce in una nuova dimensione della nostra partecipazione al mistero di Cristo, invitandoci a rivivere la trasfigurazione di Cristo, che si manifesta nella sua gloria, cioè nella sua bellezza divina. Durante la Passione, Pilato dirà: “Ecco l’uomo”, mostrando Cristo sfigurato dalla flagellazione. Oggi, Dio Padre dice: “Ecco mio Figlio, l’eletto”, il Dio-uomo che mostra il vero volto dell’uomo.
Se, da una parte, camminare con Cristo significa rinnegare il nostro egoismo, vincendo le tentazioni della vita, dall’altra, compiere l’esodo con Cristo ci fa salire sul monte Tabor, per essere trasfigurati in Cristo e come Cristo.
La Trasfigurazione riguarda anche noi, che siamo chiamati non solo ad assistere alla gloria del Figlio di Dio, ma a viverla. Infatti, poiché siamo con Cristo, la sua gloria investe anche noi, trasformando il nostro corpo, la nostra anima e così viviamo nel suo amore, il quale è luce che illumina e trasforma noi, le nostre relazioni umane e il nostro sguardo alla vita quotidiana.
Dunque, nell’esodo quaresimale verso la Pasqua – itinerario della nostra identificazione con Cristo risorto – la trasfigurazione di Gesù è una tappa particolarmente significativa, perché Gli permettiamo di trasfigurarci a sua immagine e somiglianza, accettando come Lui la Croce.
Nel Vangelo di oggi c’è un particolare, che aiuta a capire che la Croce è la chiave che apre la porta della gloria. In effetti, San Luca non si limita a parlare della presenza di Mosè e di Elia accanto a Gesù trasfigurato. Questo Evangelista narra – ed è il solo a farlo – il contenuto della conversazione di Gesù con questi due grandi personaggi dell’Antico Testamento, che simbolizzano la Legge e i Profeti, e dice che parlano con Cristo del suo esodo, cioè del suo cammino di redenzione attraverso la morte in Croce a Gerusalemme per noi (cfr. Lc 9,31). Gesù ascolta la Legge e i Profeti che Gli parlano della sua morte e risurrezione. Il Figlio di Dio non sfugge alla missione di “Trasfiguratore”, per la quale è venuto nel mondo, anche se sa che per arrivare alla gloria dovrà andare in Croce e morire.
2) Due elementi importanti: il monte e la preghiera.
La Trasfigurazione si svolge su un monte, luogo usato spesso da Dio per manifestarsi, come la Bibbia insegna e come la vita di Cristo mostra1. A questo luogo fisico, San Luca aggiunge un “luogo” spirituale: la preghiera, che va considerata come il vero “luogo” della Trasfigurazione. Nel racconto della Trasfigurazione, questo Evangelista è l’unico a sottolineare che “Gesù salì sul monte a pregare e, mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante” (Lc 9, 28-29). Per questo è davvero giusto affermare che “la trasfigurazione è un avvenimento di preghiera; diventa visibile ciò che accade nel dialogo di Gesù con il Padre: l’intima compenetrazione del suo essere con Dio, che diventa pura luce. Nel suo essere uno con il Padre, Gesù stesso è Luce da Luce” (Benedetto XVI).
Con Pietro, Giacomo e Giovanni “saliamo anche noi oggi sul monte della Trasfigurazione e sostiamo in contemplazione del volto di Gesù, per raccoglierne il messaggio e tradurlo nella nostra vita; perché anche noi possiamo essere trasfigurati dall’Amore. In realtà l’amore è capace di trasfigurare tutto” (Papa Francesco).
Oltre ad essere per gli Apostoli un anticipo della Pasqua che arriverà attraverso la passione e la morte in Croce di Cristo, la Trasfigurazione fu per loro un dono, perché cominciassero a vivere l’esperienza della comunione con Dio presente nella storia, nella carne umana di Gesù.
La Trasfigurazione del Cristo, splendore di Verità e d’Amore, è per noi sorgente di speranza e invito ad accogliere nel nostro cuore sempre, anche nella notte più oscura, Gesù Cristo: lampada che non si spegne mai, perché “ciò che per gli occhi del corpo è il sole che vediamo, lo è [Cristo] per gli occhi del cuore” (Sant’Agostino d’Ippona, Sermo 78, 2: PL 38, 490). Senza la sua luce che illumina e trasfigura i cuori, la Croce sarebbe scandalo e follia.
In breve: la trasfigurazione di Cristo è avvenuta nel silenzio della montagna dopo una lunga preghiera che Gesù ha avuto con gli amici scelti: gli Apostoli Pietro, Giovanni e Giacomo, ed ha avuto come scopo principale quello di svelare che Gesù è il Figlio di Dio, l’eletto e l’amato, che sta per morire per fedeltà al Padre perché il mondo creda che Dio è solo Amore e accolga questo Amore.
3) La verginità consacrata e la Trasfigurazione.
Pregare questo Amore non è solamente parlare al proprio Padre, è “uno slancio del cuore, è un semplice sguardo gettato verso il cielo, è un grido di riconoscenza e di amore, nella prova come nella gioia” (Santa Teresa di Gesù Bambino, Manoscritto C, 25r). In effetti, la preghiera è prima di tutto, relazione amorosa dei figli di Dio con il loro Padre infinitamente buono, con il Figlio suo Gesù Cristo e con lo Spirito Santo (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2565).
La vita di preghiera o la vita di pietà consiste nel vivere in una consuetudine d’amore obbediente a Dio. Certo questa vita si traduce in esercizi o pratiche di pietà, e implica vivere in comunione con Dio come si vivono i rapporti abituali della nostra vita, quelli con i familiari e gli amici più cari e veri. Anzi è la comunione con il Signore che dona luce a tutte le altre nostre relazioni.
Questa comunione con Dio è vissuta e testimoniata un modo particolare dalle Vergini nel mondo che si sono consacrate con Cristo in modo sponsale. Cosa vuol dire essere “sposa di Cristo”?. “Essere sposa di Cristo – scrive Santa Elisabetta della Trinità – vuol dire avere tutti i diritti sul suo Cuore. E’ un cuore per tutta la vita. È un vivere… sempre con. E’ riposare totalmente in lui e permettergli di riposare totalmente nella nostra anima. E’ non sapere altro che amare; amare adorando, amare riparando, amare pregando, domandando, dimenticandosi; amare sempre sotto tutte le forme. Essere sposa è avere gli occhi nei suoi occhi, il pensiero affascinato da Lui, il cuore tutto preso, tutto invaso, come fuori di sé e passato in Lui, l’anima piena della sua anima, piena della sua preghiera, tutto l’essere catturato e donato. E’ fissarlo sempre con lo sguardo, per sorprendere il minimo desiderio; è entrare in tutte le sue gioie, condividere tutte le sue tristezze. Vuol dire essere feconda, corredentrice, generare anime alla grazia, moltiplicare figli adottivi del Padre, i riscattati da Cristo, i coeredi della sua gloria”.
Nel contesto del Vangelo di oggi, verginità consacrata indica il completo dono di sé a Cristo, il quale mostra che la vera preghiera consiste nell’unire la nostra volontà a quella del Padre, lasciarsi trasfigurare da Lui e non evadere dalla realtà del mondo e dalle responsabilità che ciò comporta, ma assumerle fino in fondo, confidando nell’amore fedele e inesauribile del Signore.
Le Vergini consacrate sono, infine, chiamate ad essere testimoni speciali di Cristo trasfigurato, mediante una vita di preghiera e di lavoro carica di silenzio per non soffocare con le proprie parole e i rumori della vita, la Parola trasfigurante di Dio, per non rivestire di falsa gloria la Gloria di Colui che si manifesta nello scandalo della Croce, per annunciare l’Amore di Colui che si dona al mondo per trasfigurarlo con la sua misericordia.
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NOTE

1  Il monte come luogo della particolare vicinanza di Dio; di nuovo dobbiamo pensare ai vari monti della vita di Gesù come a un tutt’uno: il monte della tentazione, il monte della sua grande predicazione, il monte della preghiera, il monte della trasfigurazione, il monte dell’angoscia, il monte della croce e infine il monte dell’a­scensione; su di esso il Signore – in contrasto con l’of­ferta del dominio sul mondo in virtù del potere del de­monio – dichiara: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra» (Mt 28,18). Sullo sfondo si stagliano però anche il Sinai, l’Oreb, il Moria – i monti della rivela­zione dell’Antico Testamento, che sono tutti al tempo stesso monti della passione e monti della rivelazione e, dal canto loro, rimandano, anche al monte del tempio su cui la rivelazione diventa liturgica. (Benedetto XVI – Joseph Ratzinger, Gesù di Nazareth, Cap. sulla Trasfigurazione)
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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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