«Grazia, misericordia e pace saranno con noi» (2 Gv 1,3)

Relazione di mons. Vincenzo Bertolone al Convegno pastorale diocesano

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Riprendiamo il testo della relazione tenuta ieri, giovedì 19 settembre, da monsignor Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro-Squillace, al Convegno pastorale diocesano  sul tema “La misericordia e le sue opere”.  

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«Grazia, misericordia e pace saranno con noi» (2 Gv 1,3)
Pensare e praticare la misericordia e le sue opere,
alla luce della Lettera pastorale 2013-2014

Saluti

dell’Arcivescovo di Catanzaro-Squillace

Perché le opere di misericordia

Carissimi,

un benvenuto agli illustri relatori e un grazie per aver essi accettato il nostro invito a commentare e proporre le loro riflessioni alla luce della Lettera pastorale per l’anno 2013-2014. Un benvenuto a tutti coloro che svolgono un servizio di particolare collaborazione col Vescovo. Un saluto cordiale ai presbiteri, ai diaconi, alle persone di vita consacrata, ai laici specialmente i catechisti parrocchiali, sui quali conto moltissimo per l’opportuna opera di “centellinamento”, – come amo definirla – ovvero di mediazione e approfondimento delle proposte della Lettera pastorale! Il 20 giugno scorso, effettuando la nostra “verifica” annuale, abbiamo assaporato il tono da conferire al nostro nuovo anno pastorale: quello dell’amore, da concepire in tutta la sua vastissima gamma di espressioni e forme, che va dall’aspetto più materiale (perciò da purificare) dell’eros e dell’attrazione sessuale, alle espressioni sublimi dell’amore, della misericordia, della dedizione gratuita, della carità – che è Dio -, anzi – come ci ricorda san Francesco di Paola – della charitas, che unisce in un sol termine  amore e grazia, dedizione e gratuità. Ora, quasi a rimarcare i 500 anni dei monaci certosini a Serra san Bruno (come ricorderemo il 6 ottobre ed in un convegno il prossimo 10 maggio 2014 a cui sta lavorando don Leonardo Calabretta), siamo arrivati tutti sulla soglia dell’anno che intendiamo dedicare all’amore e alla misericordia, sulla scia della Lettera pastorale che ho indirizzato a tutta la Chiesa archidiocesana, ma anche a ciascuno dei fedeli e delle persone che Dio ama, e che mostrano attenzione a lui anche in forme di partecipazione non istituzionale e ufficiale alla Chiesa.

Ho iniziato il mio servizio episcopale tra voi, ponendomi in una prospettiva escatologica, descritta nella mia prima Lettera pastorale. L’éschaton è il mistero di Cristo morto e risorto, quindi un mistero già realizzato con l’incarnazione del Verbo, che inaugura nella storia ciò che appunto sta per venire e viene per noi uomini e per la nostra salvezza. Ogni volta che gridiamo: “Vieni, Signore Gesù” oppure ogni volta che proclamiamo nell’eucaristia  “nell’attesa della tua venuta”, lo confessiamo pubblicamente.

La medesima prospettiva escatologica, quella che stavolta ho mutuato da un versetto dell’Apocalisse («Conosco le tue opere: la carità… il servizio», Ap 2,19), mi ha spinto ora a guardare le cose  escatologiche nell’orizzonte dell’amore e della misericordia come lo sono l’amore di sangue che lega  i membri di una famiglia. L’Apocalisse parla della Chiesa scomparsa di Tiàtira, la quale potrebbe far pensare alla nostra chiesa particolare, come ad ogni chiesa occidentale in questi anni di crisi, di paura per il futuro, di angoscia serpeggiante anche tra i più giovani. Stando gli Atti (At 16,14), a Tiàtira doveva esserci anche una comunità ebraica, dalla quale vennero fuori i primi convertiti a Gesù il Nazareno.

Questo costituisce un pregio, un’eccellenza. Ma anche le nostre comunità presentano dei pregi: l’amore nei rapporti fraterni e l’amore verso Dio; la fede, cioè ascolto e pratica della Parola di Dio, come le parrocchie hanno fatto particolarmente nel corso di quest’anno della fede; il servizio nella vigna (cioè la chiesa oggi); la costanza, cioè la capacità di dare un impulso sempre nuovo a ciò che pastoralmente potrebbe diventare abitudine e routine. Però ci sono anche i difetti, come  nell’antica Tiàtira.   Sono di due tipi: morale (allontanarsi dalla fede, ad esempio); religioso (persecuzione dei veri profeti e protezione concessa  per contro, a falsi profeti, i quali dicono di parlare a nome di Dio).

A Tiàtira, soprattutto alla regina, fu concesso da Dio un tempo per il ravvedimento. Ma non è un tempo senza senso quello che Dio concede: è il tempo per riconoscere gli errori e riconciliarci con  lui grazie al sacramento della Confessione).

Questo concetto vale anche per la nostra Chiesa, carissimi: occorre salvare e custodire quanto di buono è stato  fatto e rompere definitivamente con quanto c’è ancora di negativo, soprattutto nei due ambiti ricordati (morale e religioso); che oggi, per noi, per quanto riguarda la sfera etica, sono il superamento delle derive riguardanti la concezione di famiglia, la fedeltà e la stabilità della vita di coppia, l’accettazione responsabile delle nuove vite, la costruzione della propria identità sessuata. Per quanto riguarda, invece, la sfera religiosa il ravvedimento impone di emarginare ogni pratica occulta, magica, spiritistica o, più generalmente New Age; la volontà di emarginare chi ci mostra come desiderabili gli idoli di questa società (ed invece sono dei profeti di sventure); di resistere con ogni forza alle lusinghe dei facili guadagni, come quelli che vengono da un’economia basata sull’illegalità e sulle pratiche criminali e mafiose.

Ma come salvare e custodire quanto c’è di buono, come ci viene suggerito dal veggente dell’Apocalisse? Puntare più sull’annuncio, sul celebrativo, sul solidale? Dico che il modo più cristologico (ovvero, profetico, regale e sacerdotale insieme) per salvare e custodire il buono ed il bene, è fare opere di misericordia, cioè opere a vantaggio dell’uomo fatto di carne e di sangue, ma fatto anche di spirito, di anima, di desideri, passioni, gusto del bello… IlGesù storico, come ci ricorda particolarmente il quarto evangelo, sta lì ad attestarci l’amore misericordioso e viscerale del Padre per il mondo e per ciascuna creatura. Per questo ne invochiamo la pietà misericordiosa in ogni messa: Kyrie, eléison! Christe, eléison! (o Signore, abbi pietà; Cristo, abbi pietà!). Le opere di misericordia hanno e trovano la loro ragion d’essere in Dio-Padre che è grande nell’amore e ricco di misericordia, che non vuole sacrifici, ma solo un cuore contrito. In un Dio che è charitas, che ha compiuto il primo passo, entrando docilmente nel nostro mondo, spogliando se stesso perché noi ci potessimo vestire della sua Grazia ed essere elevati dal suo Amore. Solo l’inginocchiarci dinanzi a Lui può consentire di chinarci verso gli altri. Le nostre opere saranno di misericordia solo se ci sentiremo bisognosi della misericordia divina.

Ed ecco che l’antica tradizione cristiana delle opere di misericordia corporale e spirituale – come le chiama il Catechismo – mi è balenata di fronte agli occhi dell’anima come la riva plausibile e concreta, con tutte le accentuazioni proprie dell’escatologia e della speranza e, insieme, con tutte le risonanze ascetiche e spirituali idonee, nonché con tutta la fantasia dell’operare a vantaggio del fratello che è nel bisogno, per salvare e custodire quanto c’è di buono nella nostra comunità ecclesiale. Fare le opere di misericordia è essere come il buon Samaritano, nel quale si identifica Gesù: è lui che, senza fare distinzioni tra peccatore e giusto, nemico o amico, correligionario o non, l’uomo che si china, soccorre, lenisce le ferite, mette a disposizione il proprio denaro, rinvia affari urgenti e importanti… per essere misericordioso verso “il prossimo”, ovvero “l’altro”, per il quale giova perdersi, se lo si vuole ritrovare per la cui fame c’è da preparare ogni giorno il boccone, perché soltanto così si
comprende che mangiamo per vivere, non l’inverso!

Chi vince sul terreno delle opere di misericordia corporale e spirituale regnerà con Cristo, come viene promesso dall’angelo che parlava alla chiesa di Tiàtira. Il Signore ci dà del tempo per operare come ho detto. Però questo tempo non è illimitato. Due volte sette: tante sono le opere di misericordia. Questo numero indica la pienezza e la completezza del tempo che ci resta e di ciò che dobbiamo fare in quanto ogni opera, sommata alle altre, completa ogni aspetto della vita umana e cristiana, dal nascere al transito, dal benessere al malessere, dalle condizioni economiche buone a quelle precarie o addirittura disperate. Ci ammonisce l’apostolo Giacomo: «Il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia; la misericordia invece ha sempre la meglio sul giudizio» (Gc 2,13). 

«Carissimi, costruite voi stessi sopra la vostra santissima fede, pregate nello Spirito santo, conservatevi nell’amore di Dio, attendendo la misericordia del Signore nostro Gesù Cristo per la vita eterna»! (Gd 1,20-21).

Con questi sentimenti e prima di salutarvi e augurarvi un buon ascolto, consentitemi di porgere il mio più sentito, vivo e sincero ringraziamento a coloro senza dei quali ogni nostro dire sarebbe vacuo e inutile e che fanno della misericordia e della carità divina il fulcro della loro vita.. A tutti coloro che a diverso titolo, con la parola del silenzio e l’azione dell’umiltà ogni giorno già asciugano lacrime e leniscono ferite, facendo sì che grazia, pace e misericordia siano già tra noi.. Un accorato grazie a don Mimmo Battaglia, a don Piero Puglisi, a don Biagio Amato, a don Dino direttore della Caritas.. l’elenco, per Grazia di Dio non termina qui e spero possa ulteriormente arricchirsi di “volti umani” che pervasi della misericordia divina siano trasparenza di Cristo.

Buon convegno!

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ZENIT Staff

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