"Gravity" ed il senso della vita

Senza gravità e a rischio della morte il film vive di tensione continua ponendo l’uomo di fronte al mistero dell’esistenza.

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La dottoressa Ryan Stone, alla sua prima missione nello spazio, e il pilota Matt Kowalski, prossimo al pensionamento, sono gli unici a sopravvivere quando la loro navicella viene colpita da una pioggia di detriti spaziali. Alla deriva nello spazio e potendo contare solo su loro stessi devono trovare un modo per tornare a casa…

Tornato sul grande schermo a sette anni di distanza dal suggestivo I figli degli uomini (recensito nel libro Scegliere un film 2007), Cuarón firma oltre alla regia anche la sceneggiatura, (insieme al figlio) di un gran ben rientro, valorizzato da un 3D che al cinema permette una visione davvero immersiva e coinvolgente.

Accanto (e quasi “dall’interno”) al veterano chiacchierone Kowalski (George Clooney, che strizza l’occhio a tante sue altre parti e che con i suoi “ho un brutto presentimento su questa missione” annuncia la tragedia fin dal primo minuto) e alla solitaria dottoressa Ryan, lo spettatore sperimenta la confusione e lo spaesamento di un luogo/non-luogo dove le coordinate della vita cessano di esistere (manca il suono, ma anche il senso della distanza e, per l’appunto, la gravità) e che fa sembrare il naufragio in mare qualcosa di più umano e comprensibile.

Questo “naufragio cosmico” è diverso e paradossale, con il nostro pianeta sempre sull’orizzonte a brillare talora come uno splendido e irraggiungibile miraggio, talora come una Terra promessa che fa struggere di nostalgia, ma al tempo stesso con lo spazio vitale ridotto a quello di una tuta o di un minuscolo modulo di viaggio.

È davvero, in questo senso, un’Odissea nello spazio (anche se la storia con il film omonimo ha poco a che fare) quella della dottoressa Ryan (Sandra Bullock, per oltre la metà del film in scena completamente da sola), ma anche una trasparente (talvolta forse anche ridondante) parabola sul senso del nascere, del vivere e del morire, una catartica elaborazione del lutto, tematica quest’ultima non del tutto estranea alla precedente pellicola di Cuarón.

La dottoressa alla prima missione, che sembra apprezzare così tanto il silenzio dello spazio, ha nel suo passato un lutto pesante, che in qualche modo l’ha separata dal mondo e dalla vita ben prima che dei frammenti spaziali impazziti tagliassero fisicamente quei contatti e la costringessero a misurarsi con lo spazio siderale e con se stessa.

È difficile apprezzare fino in fondo la coerenza con cui gli autori portano all’estremo questa lotta senza rivelare gli elementi di una trama che tiene con il fiato sospeso fino all’ultimo e la cui capacità ansiogena (intesa in un senso artistico positivo) fa sembrare più lunga dei suoi novanta minuti essenziali e avvincenti.

Basti dire che a un certo punto diventa quasi un corollario non essenziale scoprire se gli sforzi della protagonista la porteranno di nuovo con i piedi per terra.

Cuarón sembra volerci dire che l’importante è trovare la forza di intraprendere o continuare il viaggio, ancor più che la certezza di raggiungere la meta, anche se l’esistenza di questa meta, conosciuta, invocata, pregata, è la condizione necessaria perché esso possa essere intrapreso. È la meta, fisica ed esistenziale, a definire il centro gravitazionale di ogni essere e a dettarne il movimento.

Pur non essendo un film che pretenda di trattare direttamente di metafisica, Gravity è tuttavia pervaso da un palpabile senso religioso (a partire dalle diverse immagini, cristiane ma anche buddiste, presenti sui moduli spaziali) che si risveglia di fronte alla possibilità concreta della morte, non come reazione animale di paura e di fuga, ma come espressione della più profonda essenza dell’uomo di fronte al mistero dell’esistenza.

Il film vive di tensione continua e di immagini potenti (la fotografia, che meriterebbe un Oscar, è senz’altro uno dei suoi elementi forti), che enfatizzano e quasi “sacralizzano” i gesti dell’afferrare e del lasciare andare (due parole chiave della storia), ma anche e soprattutto del parto e della nascita, quasi che la dottoressa Ryan si trasformasse nell’ipostasi del primo essere umano a lottare per la vita, del primo essere vivente a cercare di respirare l’aria e di posare il piede sulla terra ferma. 

*

Titolo Originale: Gravity
Paese: USA
Anno: 2013
Regia: Alfonso Cuarón
Sceneggiatura: Alfonso Cuarón, Jonás Cuarón
Produzione: ESPERANTO FILMOJ, HEYDAY FILMS
Durata: 92
Interpreti: Sandra Bullock, George Clooney 

Per ogni approfondimento: http://www.familycinematv.it     

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Laura Cotta Ramosino

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