Giornata Mondiale della Popolazione: cosa fa l'ONU?

Miliardi di dollari per la riduzione delle nascite, mentre decine di nazioni devono affrontare l’inverno demografico

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di padre John Flynn

ROMA, lunedì, 16 luglio 2012 (ZENIT.org) – Mercoledì 11 luglio è stata la Giornata Mondiale della Popolazione. Come era prevedibile ilFondo per le Attività sulla Popolazione delle Nazioni Unite (UNFPA) ha colto l’occasione per invocare più fondi per la pianificazione familiare.

Mercoledì scorso è stata anche la giornata di chiusura del summit, organizzato a Londra dal governo inglese e dalla Fondazione Bill e Melissa Gates, assieme ad UNFPA e ad altri partner.

I partecipanti al summit si sono impegnati a reperire 4,6 miliardi per finanziare la pianificazione familiare per i prossimi anni, secondo quanto dichiarato da UNFPA in una nota stampa.

“I contraccettivi sono uno dei migliori investimenti che un paese possa fare per il suo futuro”, si legge nel sito del Summit di Londra.

Un’opinione non condivisa da Austin Ruse, che venerdì scorso ha criticato il summit in un post su National Review Online. Ruse è presidente del Catholic Family and Human Rights Institute (C-FAM), un istituto no-profit, che segue da vicino le Nazioni Unite e altre organizzazioni su temi come la famiglia e la popolazione. Ruse afferma che i tassi di fertilità sono a picco e che “il mondo si trova di fronte alla realtà di un inverno demografico”.

Ruse inoltre osserva che “ogni dollaro speso nella coercitiva pianificazione familiare delle Nazioni Unite, sarà un dollaro rubato ai reali bisogni delle donne povere: assistenza sanitaria di base, qualificati assistenti al parto, educazione, acqua pulita e nutrizione”.

Inverno

Il punto di vista di Ruse sull’inverno demografico è ben fondato. Lo scorso 2 luglio la Reuters ha riportato che alla fine dell’anno scorso, il numero delle nascite in Germania è sceso a quello del dopoguerra. Il tutto nonostante gli incentivi del governo a ribaltare il trend in quella che è la più fiorente economia d’Europa.

I dati preliminari diffusi dall’Ufficio Federale di Statistica tedesco certificano 663mila bambini nati durante il 2011, contro i 678mila del 2010. Infatti ogni anno, dal 1972, il numero dei decessi è sempre stato superiore al numero delle nascite. Nel 2011 la differenza tra i due tassi è stato di 190mila persone.

Mentre comunemente si pensa che le famiglie musulmane abbiano molti figli, in un articolo pubblicato a giugno dalla rivista Policy Review e firmato da Nicholas Eberstadt e Apoorva Shah, si afferma che i livelli di fertilità sono drammaticamente scesi anche nella comunità musulmana.

Gli autori ammettono che mancano dati affidabili su alcuni stati Musulmani (ad esempio l’Afghanistan), tuttavia le loro stime coprono dagli 1,42 miliardi agli 1,57 miliardi, quindi circa il 22-23% della popolazione mondiale.

Tutti i 48 paesi a maggioranza musulmana hanno conosciuto un declino della fertilità negli ultimi decenni. Inoltre tale declino è stato superiore alla media mondiale.

“Il notevole declino della fertilità che si ora riscontra nel mondo musulmano, è una delle più importanti svolte demografiche della nostra era”, si legge nell’articolo.

Gli ultimi dati confermano gli argomenti in un recente saggio dal titolo Population Decline and the Remaking of Great Power Politics, scritto da Susan Yoshihara e da Douglas Sylva, che lavorano entrambi per C-FAM.

Il declino demografico in molte nazioni può essere severo, spiegano gli autori nell’introduzione, al punto che alcuni paesi potrebbero non realizzare alcuna crescita economica, né mettere a punto programmi di welfare o pensionistici.

Negli ultimi decenni si è verificato un crollo dei tassi di fertilità pari al 60% a livello mondiale e il numero degli ultrasessantenni è 3 volte e mezza superiore. La percentuale di lavoratori rispetto ai pensionati è scesa del 25% negli ultimi 50 anni e si prevede che scenda del 55% entro il 2050.

Destino

“La demografia non è destino – spiegano gli autori – ma delinea le frontiere del possibile”.

La popolazione lavoratrice o in età da lavoro di tutti i paesi sviluppati, con l’eccezione degli Stati Uniti, smetterà di crescere per i prossimi cinque anni, osserva Philip Longman nel suo saggio. Longman, stimato scrittore di tematiche demografiche, aggiunge che il fenomeno non coinvolge solo i paesi sviluppati. Entro la metà di questo secolo, Brasile, Cina e Messico avranno probabilmente una popolazione più vecchia degli Stati Uniti.

Le ultime proiezioni stimano che, entro il 2050, il 75% di tutti i paesi, anche nelle aree sottosviluppate, non avranno abbastanza figli per evitare il decremento demografico.

Anche l’Europa è particolarmente affetta, con 18 dei 20 paesi con il più basso tasso di natalità. La popolazione europea, inclusa la Russia, si prevede che perderà 128 milioni di abitanti entro il 2050.

Il giornalista e scrittore Gordon G. Chang ha esaminato le conseguenze del cambiamento demografico in Cina.

Il paese più popoloso del mondo ha determinato anomalie demografiche che non potranno essere sanate per decenni, ha osservato. In Cina, infatti, ci sono 51,3 milioni di maschi in più rispetto alle femmine, a causa dell’aborto selettivo, sulla base del sesso.

Il paese sarà presto investito da una “ondata di vecchiaia”, afferma Chang. La percentuale di ultrasessantenni, attualmente al 12,5%, raddoppierà entro il 2030.

La Cina ha già pochi lavoratori e la popolazione in età lavorativa è destinato a diminuire da un miliardo del 2015 ai 789 milioni del 2050. Ciò produrrà serie conseguenze sia per la Cina che per il resto del mondo, prevede Chang.

Eppure, nonostante tutti i fenomeni in corso, le Nazioni Unite e i loro sodali continuano nella loro propaganda per la riduzione ulteriore delle nascite in futuro.

[Traduzione dall’inglese a cura di Luca Marcolivio]

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ZENIT Staff

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