"Gesù mi ha chiesto di fare questo lavoro"

Intervista con monsignor Sebastian Kallupura, vescovo di Buxar, nello Stato indiano del Bihar

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ROMA, venerdì, 20 gennaio 2012 (ZENIT.org) – L’India è la più grande democrazia del mondo e la seconda Nazione più popolosa, una popolazione stimata intorno ai 1,21 miliardi di abitanti. È un Paese molto eterogeneo, con molte lingue, culture e religioni diverse, anche se persiste l’influenza esercitata dal sistema delle caste indù. La maggior parte dei convertiti al cristianesimo sono dalit, persone cioè che appartengono allo strato più basso della società indiana, i cosiddetti fuori casta o intoccabili.

In collaborazione con Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), Marie-Pauline Meyer ha intervistato per Where God Weeps (Dove Dio Piange) monsignor Sebastian Kallupura, vescovo della diocesi di Buxar, nello Stato indiano del Bihar.

Lei è il vescovo della diocesi di Buxar. Dove è situata?

Mons. Kallupura: L’India è un Paese grande, suddiviso in 25 stati. Uno dei più grandi stati del Nord è il Bihar. Abbiamo circa 25.000 cattolici e forse altri 20.000 appartenenti ad altri gruppi cristiani. Quindi siamo una minoranza microscopica. È una zona tranquilla. Gli indù sono forti nelle loro credenze e la gente ha un’indole molto mite. Persino il loro idioma locale, che si chiama Bhojpuri – la lingua ufficiale è, naturalmente, l’hindi – suona molto musicale, come la lingua italiana. La gente è generalmente molto affettuosa e non c’è conflitto.

L’India ha ancora il sistema delle caste. I cristiani della vostra diocesi appartengono ad una casta?

Mons. Kallupura: Una volta diventati cristiani, naturalmente, non appartengono più ad alcuna casta. La popolazione locale, prima di abbracciare il cristianesimo, di solito apparteneva ad una casta, spesso quella del gradino più basso: i cosiddetti dalit, sono quelli che rispondono di più alla nostra fede. A livello sociale, economico ed educativo sono piuttosto indietro. Noi portiamo loro il messaggio di Cristo e li aiutiamo per quanto possiamo educativamente, socialmente ed economicamente attraverso i nostri programmi di sensibilizzazione sociale. I dalit rispondono e abbracciano volentieri la nostra fede.

Ci può spiegare il sistema delle caste?

Mons. Kallupura: Nella religione indù, i membri sono suddivisi in diversi gruppi o caste. Le persone vengono suddivise in base al modo in cui vanno trattate. La più alta è quella dei brahmani, cioè la classe sacerdotale nei templi. La classe guerriera, impegnata nelle guerre, specialmente nei tempi antichi, si chiama kshatriya. Altri gruppi appartengono alla casta vaishya, che include oggi gli uomini d’affari o industriali. Poi ci sono gli shùdra, gli artigiani ed agricoltori e, infine, i dalit, il gradino più basso nel sistema delle caste. Anche all’interno di ciascuna di queste caste, ci sono sottocaste che rendono difficile per gli individui di uscire da questo sistema. Chi appartiene alla casta più alta, tuttavia, non si disfa dalla sua appartenenza alla casta a causa dei benefici. Quelli del gradino più basso, i dalit, possono raggiungere una certa mobilità sociale verso l’alto attraverso l’educazione, ma portano comunque lo stigma della loro casta e così vanno spesso nelle zone urbane dove, attraverso la loro educazione, possono lavorare e mantenere un certo grado di anonimato.

Lei non appartiene ad una casta. Questo fatto influisce, ad esempio, sul suo rapporto con il governo?

Mons. Kallupura: Sì, io non appartengo ad una casta. La Costituzione indiana non riconosce il sistema delle caste ed è illegale discriminare sulla base di appartenenza di casta, ma in realtà, la gente lo fa. Non ho problemi con il governo e neppure con la gente. Nelle zone di missione, la gente pensa che noi cristiani apparteniamo ad una casta, la casta cristiana. Alcune persone hanno difficoltà a pensare ad una società senza un sistema di caste: questa è la loro forma mentis. Una volta che i dalit abbracciano il cristianesimo, abbandonano l’induismo e la loro appartenenza di casta ufficialmente, costituzionalmente, e naturalmente. La Chiesa non riconosce il carattere di casta.

Se la Chiesa si impegna per l’educazione dei poveri, significa che non c’è un’educazione generale, specialmente per chi appartiene allo strato più basso della società?

Mons. Kallupura: Questo è il problema. Non c’è nessuno che educhi questa gente, soprattutto i dalit, per i quali ci stiamo impegnando. Ci sono scuole statali, ma lo sono solo di nome. Gli insegnanti non si presentano e i bambini neppure si preoccupano di presentarsi in classe. La gente benestante è in grado di mandare i loro figli altrove per essere educati. Ma i poveri non vengono educati. Nessuno si preoccupa di loro. È lì che andiamo noi missionari. Abbiamo le nostre scuole. Il governo non sostiene molte di queste scuole, anche se le riconosce.

Questo uno dei suoi progetti come vescovo?

Mons. Kallupura: Questa è una delle mie priorità. Educativamente parlando, la nostra gente è molto indietro, quindi è mia intenzione “elevarla”. Se non viene elevato il laicato, la Chiesa non potrà essere la vera Chiesa. I laici devono essere istruiti. La mia priorità è quella di educare i giovani e di educare i bambini come persone con una dignità.

Lei ha tutta quella energia per realizzare questo?

Mons. Kallupura: Ho la mia fede in Gesù e, naturalmente, è Lui che mi aiuterà. Egli è colui che mi dà la forza e in ogni caso non è di mia spontanea volontà che lo faccio. Lui mi ha chiamato in questo posto. Lui mi ha chiamato e mi ha ordinato per essere il vescovo, lui mi ha chiesto di fare questo lavoro, e lo faccio con il Suo aiuto.

Qual è allora la cosa più importante che fa quando Lei incontra delle persone? Qual è la prima cosa che dice?

Mons. Kallupura: Dico immediatamente “Jesu“, che significa “sia lodato Gesù Cristo”. Se incontro indù o persone che non condividono la nostra fede, li saluto con “Pranam” che è un altro modo per salutare la gente: così diventiamo amici ed iniziamo una conversazione. Non iniziamo subito con il parlare di religione, ma alle volte arriviamo proprio lì. Poi scoprono che sono un sacerdote e un vescovo. Mi chiederanno perché sono un prete. Allora spiegherò che ho avuto un’esperienza di Dio.

Cosa Lei chiede per la vostra diocesi?

Mons. Kallupura: La mia diocesi è molto giovane e non abbiamo alcuna infrastruttura. Manca il personale. Ho bisogno di sacerdoti e di laici. Anche finanziariamente siamo carenti. Non abbiamo nulla. Quindi devo andare in giro a mendicare. Noto una cosa positiva, cioè che tutti sono molto volenterosi. Abbiamo una piccola chiesa e la gente dorme lì. C’è anche una scuola e vi dormono nella veranda, spostando i banchi. Ecco, come stiamo.

Questa intervista è stata condotta da Marie-Pauline Meyer per Where God Weeps, un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network, in collaborazione con l’organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre.

In rete:
Aiuto alla Chiesa che soffre: www.acn-intl.org
Aiuto alla Chiesa che soffre Italia: www.acs-italia.glauco.it
Where God Wheeps: www.wheregodweeps.org

[Traduzione dall’inglese a cura di Paul De Maeyer]

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ZENIT Staff

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