Gesù ha trasformato ogni divisione in un "vaccino"

Commento al Vangelo della XX Domenica del Tempo Ordinario. Anno C

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Dietro ad ogni “angoscia” sofferta dall’uomo vi è quella di Gesù in attesa che sia “compiuto” il “battesimo” per il quale si era incarnato. Non importa se siamo angosciati per un figlio, per il lavoro, per i risultati delle analisi cliniche o per la risposta della ragazza alla richiesta di fidanzarsi. In ogni nostra angoscia è vergata l’attesa del compimento per il quale siamo nati. Esse ci prendono quando alcuni eventi bruciano come sale sparso sulle ferite lasciate in dote dal peccato. Allora il dolore restringe il campo visivo ai luoghi dove crediamo si soffra di meno e ci spinge verso le persone apparentemente più affidabili.

Ma sappiamo per esperienza che nulla e nessuno può liberarci dall’angoscia; siamo nati per compiere la nostra vita e non per vederla scivolare nel sonno di un’anestesia. Per questo ci attende lo stesso “battesimo” che ha sepolto il Signore nella morte dalla quale risorgere vittorioso. Vi è in noi come una calamita che ci attrae verso ciò che seppellisca il nostro uomo vecchio, perché possiamo rinascere e camminare in una vita nuova. 

Nelle gocce di sangue che cadevano sulla terra del Getsemani come tizzoni ardenti, era l’“angoscia” accesa dal “fuoco” dell’amore che solcava il viso di Gesù. Era la sua vita che scivolava via offerta in riscatto per tutti, come il seme caduto in terra era destinato a morire per non restare solo. L’amore, infatti, dà compimento all’esistenza e trasforma l’angoscia in pace. Come già nel deserto quando furono esaurite le tentazioni, anche alla fine del combattimento nell’orto degli ulivi un angelo si è avvicinato a Gesù per confortarlo: Gesù entrava così nella sua Passione immerso in una pace che già sapeva di Paradiso.

Essa nasceva dal seno dell’angoscia, bruciava come fuoco purificatore, e si irrobustiva nella divisione portata dal Gesù. Non esiste pace, infatti, laddove non si assume, sino in fondo, la realtà. Questa ci dice che l’autore della “divisione” è il demonio, sin dall’inganno con cui ha sedotto Adamo ed Eva per separarli da Dio e tra di loro. Gesù non “porta la divisione” per infettare gli uomini, ma per debellarla e vaccinarli. Le vaccinazioni, infatti, si effettuano iniettando nel sangue proprio il virus dal quale ci si vuole difendere.

Per questo Gesù ha “portato” nella sua carne e nella sua anima la “divisione” che già covava nei cuori. Prendendola su di sé sino a lasciarsi uccidere, Gesù ha trasformato ogni divisione in un vaccino; iniettato nell’uomo attraverso l’annuncio del Vangelo e i sacramenti, ha il potere di sconfiggere il virus: è la carne crocifissa di Cristo che distrugge l’inimicizia, fa la pace, e riunisce chi si è diviso.

Le parole di Gesù di questa domenica non chiamano a una rivoluzione familiare, nello stile dei testimoni di Geova. Gesù annuncia invece il suo amore, che lo ha spinto tra le braccia assassine del rifiuto. Tu ed io siamo stati salvati nel momento in cui il nostro rifiuto ci ha “diviso” da Lui, spingendolo nella morte al posto nostro. Per caricarsi dei peccati e perdonarli, il Signore li ha dovuti smascherare e incendiare. Per portare la pace autentica, ha dovuto prima “portare la divisione”.

Se, a causa di Gesù, nelle nostre famiglie non si dividessero “il padre dal figlio, la madre dalla figlia e la suocera dalla nuora”, l’ipocrisia occulterebbe il virus che le avvelena, impedendo al Signore di salvarle. Per questo dovremo sperimentare la “divisione” dal figlio che non accetta più che gli si trasmetta la fede; o la “divisione” dalla figlia che si è infilata in una del tutto ipotetica età adulta, e guai a chi le contesta guardaroba e orari. Se non sapremo accettare la “divisione” significherà che amiamo più noi stessi che i nostri figli; se ci comporteremo con loro da amiconi, come il mondo insegna, facendo finta di nulla e tacendo il Vangelo, condanneremo i nostri figli alla schiavitù della carne, drogati dal pensiero unico che ammorba scuole e ogni dove.

Cosa vogliamo somministrare alle persone che amiamo, placebo o vaccini? Il fuoco dell’amore di Dio o gli anseolitici mondani? “Il cristiano non deve essere tiepido. La fede deve divenire in noi fiamma dell’amore, fiamma che realmente accende il mio essere, diventa grande passione del mio essere, e così accende il prossimo. Questo è il modo dell’evangelizzazione: che la verità diventi in me carità e la carità accenda come fuoco anche l’altro” (Benedetto XVI)”.

Siamo chiamati ogni giorno ad entrare con Cristo nel Getsemani, dove soffrire l’angoscia dell’amore autentico. Esso si incarna anche nei no e nei sì che “portano la divisione”; le parole in più spese per non soffrire il rifiuto dialogando invece di annunciare il Vangelo e perdonare, vengono dal maligno. Nella Chiesa, unica Madre realista e colma d’amore, impariamo a non temere le tensioni in famiglia: sono benedette perché spazzano via la pace di marmellata che il mondo vorrebbe darci e ci preparano a ricevere quella autentica, primizia della vittoria sul peccato e la morte.

Il “fuoco” acceso da Gesù sulla Croce riduce in cenere i legami morbosi e ci fa liberi di osare, per amore, la fedeltà alla Verità sino a vederci rifiutati anche da chi ci ha dato la vita. Come Edith Stein, che, pur soffrendo la “divisione” nella sua carne, non ha esitato ad abbandonare religione e madre quando queste erano divenute “un nemico per l’uomo rigenerato” (S. Ilario). Ma sarà proprio nella camera a gas del suo martirio, dove offrirà tutta se stessa, ebrea e cristiana, che tutto si illuminerà e compirà: nell’amore che la consumava attirava e salvava anche ciò che aveva dovuto abbandonare.

L’amore che circoncide il cuore e desidera il bene dell’altro non è mai senza dolore. Il Signore lo sa, e per questo ci attira anche oggi nel suo “fuoco” che ci purifica, per discendere con Lui nel “battesimo” che ci immerge nel dolore del prossimo per deporvi il vaccino dell’amore di Cristo: “Sappiamo che il fuoco è all’inizio della cultura umana; il fuoco è luce, è calore, è forza di trasformazione… con il fuoco si può distruggere, ma con il fuoco si può trasformare, rinnovare. Il fuoco di Dio è fuoco trasformante, fuoco di passione – certamente – che distrugge anche tanto in noi, che porta a Dio, ma fuoco soprattutto che trasforma, rinnova e crea una novità dell’uomo, che diventa luce in Dio” (Benedetto XVI).

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Antonello Iapicca

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