Gesù è "carne e ossa" crocifisse per noi

Commento al Vangelo della III Domenica di Pasqua (Anno B) — 19 aprile 2015

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“Pace a voi!”, ci annuncia di nuovo il Signore in questa Domenica. Risplende ancora la luce della Pasqua per tutti coloro che forse hanno smarrito la gioia della Notte delle Notti. “Pace a voi” che “avete ucciso l’autore della vita, agendo per ignoranza”.

“Pace a voi” che “avete rinnegato il Santo e il Giusto e avete chiesto che vi fosse graziato un assassino”. “Pace” a noi oggi, che abbiamo scelto la violenza e la giustizia umana, la ribellione e la vendetta. “Pace” a noi che abbiamo ucciso Colui che poteva darci la vita vera e piena, per difendere stoltamente noi stessi, con i nostri progetti e i nostri criteri.

“Pace” a noi, che siamo come Barabba, che significa “figlio del padre”, ovvero figlio di nessuno. “Pace” a noi che abbiamo vissuto come orfani, chiusi nel carcere dei rancori e dei giudizi verso Dio e gli uomini, genitori, fratelli, amici, colleghi, tutti responsabili della nostra infelicità.

“Pace” ai figli di questa generazione che, come Adamo ed Eva che uccisero nel loro cuore l’Autore della Vita, hanno perso la propria identità nell’illusione di arraffare quella di Dio. “Pace” ai tanti che, nudi, inventano nuovi generi sessuali con i quali cucirsi addosso un’identità figlia delle concupiscenze travestite da diritti.

“Pace” a noi peccatori perché, proprio mentre lo uccidevamo, l’Autore della Vita moltiplicava infinitamente la sua vita offriva la vita a noi che stavamo morendo vittime di noi stessi e dei nostri peccati.

“Pace” dunque, ovvero vita eterna per tutti noi, che Cristo risorto e vittorioso su ogni peccato ci offre oggi gratuitamente. “Pace”, ovvero riposo e consolazione, perché Dio ha saputo scorgere tra tanta malizia la nostra “ignoranza”. Non sapevamo, infatti, che proprio attraverso la nostra mano assassina come quella di coloro che erano presenti a Gerusalemme nei giorni della Passione di Gesù, “Dio ha compiuto ciò che aveva preannunziato per bocca di tutti i profeti, cioè che Cristo doveva soffrire”.

“Doveva” perché c’era il nostro cuore inguaribile da guarire. Non c’era riuscita la Legge, non l’educazione ricevuta, non lo studio, non le campagne di sensibilizzazione dei governi. Neanche le buone intenzioni. Nessuno avrebbe potuto tirarci fuori dall’inferno del rapporto con gli altri, della schiavitù all’alcool, al sesso, al gioco; nessuno avrebbe potuto guarire il nostro cuore infettato mortalmente dall’inganno del demonio.

Perché nessuno sarebbe stato capace di entrarci nel nostro inferno. Per questo lo “doveva” fare l’unico che “poteva”, ovvero l’Autore della vita. Lui solo poteva scendere nella morte e distruggerla, e così tirarci fuori da quell’inferno di dolore. Lui solo può compierlo oggi per te e per me, “Gesù Cristo giusto”, il nostro “Paraclito presso il Padre”, l’avvocato capace di farci scagionare dall’accusa più infamante.

Anche oggi, infatti, mostra al Padre le sue piaghe gloriose, il nostro alibi! Abbiamo peccato noi, è vero, ma Lui era lì a farsi peccato per noi! E così il Padre ha fatto ricadere su di Lui la condanna che spettava a noi. Per questo “doveva” morire, Giusto per gli ingiusti per ricondurci al Padre, alla comunione con Lui.

“Ma Dio lo ha risuscitato dai morti” e la Chiesa ne è “testimone”. Come anche noi, che abbiamo visto il Signore “lungo la via”; quante volte lo abbiamo visto camminare accanto a noi tristi e sfiduciati; ci ha parlato attraverso la Chiesa, e in essa lo abbiamo “riconosciuto nello spezzare il pane”.

Quante volte nell’Eucarestia ci siamo sentiti risuscitare con Lui? Tante, tantissime, altrimenti non sarebbe stato possibile vivere l’amore con il coniuge per tanti anni. Non avremmo potuto aprirci alla vita e generare i figli che Dio ha pensato per noi. Non ci saremmo perdonati, e oggi staremmo marcendo nel rancore. I soldi avrebbero rapito il nostro cuore e non avremmo donato per gratitudine la nostra vita alla missione. 

Eppure, nonostante queste esperienze, proprio durante le liturgie, nelle quali “parliamo di queste cose”, cioè dei miracoli che Cristo ha compiuto nella nostra vita, quando “Lui in persona appare in mezzo a noi” ci accade ancora come agli apostoli. Siamo “stupiti e spaventati”, e “crediamo di vedere un fantasma”.

Non è così? La Parola di Dio è perfetta, non sbaglia un colpo. Se oggi la Chiesa ci presenta questo Vangelo significa che siamo ancora “turbati” e continuano a “sorgere dubbi nel nostro cuore”. Il termine “dubbi”traduce l’originale greco che letteralmente significa “pensieri”. Che vuol dire? Che cosa ci sta succedendo?

Succede che nel nostro “cuore” siamo ancora schiavi dei nostri “pensieri”. Pensiamo al denaro e al futuro dei figli, a quell’ingiustizia subita, alla salute e alle ferie che quest’anno ci hanno dato in settembre. Siamo “turbati” proprio per quello che significa la Pasqua, per l’esodo verso una vita che di certo desideriamo, ma di cui non riusciamo a “pensare” la forma e lo spazio e che ci fa apura perché siamo attaccati alle nostre sicurezze.

Per questo Gesù stesso viene anche questa Domenica nella comunità cristiana per “farsi vedere”, restando “in mezzo a noi”. E’ Lui al centro della Pasqua, attraverso la quale vuole entrare e restare al centro della nostra vita e del nostro “cuore”, cioè del nostro essere, il luogo intimo dove siamo liberi e possiamo discernere e decidere, insomma “vedere”.

Ecco, Gesù “stesso” viene a prendere possesso di noi “stessi”, di tutta la nostra vita! E’ questo che ci manca ancora per sperimentare la “Pace” che Cristo ci annuncia. Le esperienze fatte sono come una luce intermittente che ha illuminato per alcuni istanti la nostra vita; l’ha salvata eccome, e sì, lo abbiamo accolto, ma solo per un caffè, mentre Lui vuol venire e fermarsi per sempre al centro della nostra vita e “mangiare” con noi il nostro “pesce arrostito”, immagine degli eventi e delle relazioni di cui ci nutriamo abitualmente.

E come lo fa? Lo fa prendendoci proprio al capolinea dei nostri vani ragionamenti, smentendo la conclusione insinuata in noi dal demonio che tutto quello che abbiamo vissuto è stato sì bello, e anche vero, ma in fondo era solo il frutto di un “pensiero” appunto, di una particolare esperienza “spirituale”, come suggerisce l’originale tradotto con “fantasma”. La Resurrezione di Cristo in noi è, secondo i nostri “pensieri”, legata a certi momenti speciali, alle liturgie, ai ritiri spirituali, a certe predisposizioni. 

E invece no, la Pasqua è molto di più, infinitamente di più! E’ Cristo “in carne ed ossa” che ci chiede di consegnargli la nostra vita, tutta! E lo fa invitandoci a “toccare” e “guardare” il suo amore che risplende nelle sue “ferite”. Lui non è un pensiero, non è solo Spirito, Lui è “carne e ossa” crocifisse per te e per me, scese in un sepolcro a cercarci, e risuscitate come prova indubitabile che il suo amore è stato più forte di ogni nostro peccato.

E oggi ci “mostra” di nuovo “le mani e i piedi” trafitti dai nostri pensieri e dai nostri peccati: in quelle ferite vi è la garanzia del perdono, e se siamo perdonati perché dovremmo continuare a difendere quello che ci ha avvelenato la vita? E’ questo il passo decisivo che ci manca: “convertirci”, consegnare a Cristo noi stessi, perché Lui possa “mangiarne davanti ai nostri occhi”.

Significa “cambiare vita” e rinnegare te stesso e la parte di te che ancora appartiene alla terra; significa ascoltare la predicazione per imparare ad essere “fedele alla sua Parola” e sperimentare “l’amore di Dio perfetto in te”. E accostarti ai sacramenti che rinnovano la Grazia del Battesimo, per “conoscere” davvero Cristo mentre, vivo in te, “compie” per Grazia i suoi “comandamenti”. 

Se lo farai, esploderai nella gioia del perdono e della vita nuova, stupendoti al punto di “non credere ai tuoi occhi” nel vedere che le barriere dei pensieri, delle angos
ce, dei dubbi che ti separavano dalla “Pace” e dalla pienezza della felicità non esistono più.

Come è possibile che Cristo mi ami così, che, nonostante tutto, non tenga conto delle mie meschinità, della mia incredulità, dei miei capricci, della mia durezza di cuore? E’ possibile, perché proprio per me, per me come sono oggi, “bisognava che fosse compiuto tutto quanto è scritto nella Legge di Mosè, nei profeti e nei salmi su di Lui”.

E che cosa è scritto? E’ scritto di un popolo di dura cervice, dal cuore ostinato, incredulo di fronte ai tanti segni e prodigi di Dio, e di Servo che l’avrebbe salvato prendendo su di sé ogni suo peccato. E’ scritta la tua storia, sino ad oggi, e quella di Gesù, sino ad ora. 

Coraggio allora, smetti di difenderti, guarda che Cristo è già entrato nella tua vita, nonostante ne avessi chiuso le porte. E’ già nel Cenacolo, immagine della comunità cristiana, dove “spalancherà la tua mente all’intelligenza, alla visione delle Scritture” compiute in Lui per te!

E’ questa la tua resurrezione, quella che ti tira fuori dalla tomba dei tuoi pensieri, per aprirti alla fede che sa “vedere” l’amore di Dio in ogni evento. Era “scritto che Gesù doveva patire e risuscitare dai morti” perché “nel suo Nome”, cioè in Lui vivo in carne ed ossa, fossero “predicati a tutti la conversione e il perdono dei peccati” che oggi cambieranno per sempre il tuo cuore.

“Di questo” mistero Pasquale di Cristo che si compirà in noi, “saremo testimoni”, cominciando dalla nostra “Gerusalemme”, dalla famiglia, dagli amici, da chi abbiamo giudicato e rifiutato. E’ questa la nostra Pasqua che si estenderà, non più a intermittenza, per ogni giorno della nostra vita.

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Antonello Iapicca

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