Geova a Messa

Confronto tra cattolicesimo e geovismo sulle Letture di domenica 2 febbraio 2014 – IV Domenica del T.O.

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La IV Domenica del Tempo Ordinario quest’anno coincide con la Festa della presentazione di Gesù al tempio (e la purificazione di Maria SS.ma, come si diceva una volta sulla base del testo evangelico). Festa che ha Letture proprie non facendo riferimento all’anno A. Per il nostro dialogo con i TG faremo riferimento proprio al tema della purificazione di Maria e se ne comprenderà il perché. 

Prima Lettura: Ml 3,1-4

Nulla da rilevare 

Seconda Lettura: Eb 2,14-18

Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù… (…)

“i figli hanno in comune il sangue e la carne”. Ecco qui la distinzione tra la persona, il soggetto figlio, e la natura “carne e sangue” così come poteva essere espressa nella cultura ebraica. Condannare, come fa la WT, i termini filosofici greci di natura e persona, ora di uso pressoché universale, perché non usati nella cultura ebraica degli autori ispirati, significa lasciarsi irretire dalla “lettera” (o parolismo fondamentalista) pensando che la lettera non sia, come deve invece essere, il simbolo convenzionale per indicare l’idea, che è la realtà significata. E’ quest’ultima ciò che Dio vuole comunicarci con la sua rivelazione, fatta di lettere e gesti; rivelazione che oggi può essere espressa con altre parole assai più chiare di quelle che usava la cultura ebraica del tempo biblico. Ed è importante quindi la sottolineatura biblica, esattissima, che ogni figlio ha in comune con i fratelli e i genitori non la loro persona che è ben distinta da loro ma “la carne e il sangue” cioè la loro stessa natura. Quindi, applicando, il Figlio naturale di Dio-Padre che è il Logos-Verbo-Parola ha la stessa natura di Dio Padre, come abbiamo già notato commentando Giovanni 1,1, e va pertanto capito coerentemente come Dio-Figlio. Il problema per il geovismo è che la Parola-il Logos-il Verbo-il Figlio non è accettato come figlio naturale ma come creatura, come arcangelo Michele, e perciò Figlio solo in senso putativo, perché (è triste notarlo) Geova per avere un figlio generato e non creato avrebbe avuto bisogno di una persona di sesso femminile in cielo… Poi c’è anche l’incongruenza di chiamare Figlio il Michele in cielo e dire che Gesù fu “unto” dallo “spirito” e perciò adottato come Figlio (il rpimo dei 144.000 Unti futuri) al suo battesimo. Una doppia filiazione quindi che ha senso solo se il geovismo ammettesse che tra il Michele celeste e Gesù di Nazaret non esiste continuità e perciò identità di persona (come dovrebbe del resto ammettere se dice che dal cielo alla terra fu “trasferita” solo la “forza vitale” di Michele che, per natura, è impersonale). Siamo in pieno rebus o meglio in una contraddizione dopo l’altra. 

“Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe per… soggetti a schiavitù”. Questo accenno indica a noi cattolici la funzione essenziale dell’umanità di Gesù, assunta come propria dal Verbo, che è quella di redimerci e divinizzarci tramite l’unione soprannaturale alla sua natura umano-divina. Di qui scaturisce l’irrinunciabile valenza sacramentale della grazia che ci viene comunicata tramite Cristo, sacramento fontale, e i segni-sacramenti da lui istituiti come prolungamento perenne della sua umanità. La nostra fede cattolica è quindi “cristocentrica” non “teocentrica” come lo sono quelle fedi che si rifanno direttamente a Dio prescindendo da Cristo o assegnando a Cristo solo un ruolo di mediazione estrinseca (come fa il geovismo); la nostra fede si fonda e si alimenta su Dio-Figlio incarnato vedendo il quale si “vede il Padre”, si entra in comunione con il Padre nello Spirito Santo, ovvero con la Divinità tripersonale che Gesù ci ha rivelato. I sacramenti, ricorderebbe il teologo Ratzinger, (1) sono strutturati in conformità alla nostra natura che comunica spirito tramite la materia (il catechismo li definisce “segni efficaci della grazia”) e la “materia” in loro è veicolo della grazia perché stabilisce il contatto con l’umanità di Cristo-Dio. 

Vangelo: Lc 2,22-40

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore. (…)
Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori». (…)
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui

“purificazione rituale, secondo la legge di Mosé”. La NM non aggiunge “rituale” (parola sottintesa nell’ebraico data la natura della impurità legale di cui si tratta) ma sa benissimo che di essa si tratta perché la NMrif pone alla parola “purificazione” un riferimento che rimanda a Levitico 2,12 ove appunto si dice “Nel caso che una donna concepisca un seme e in effetti partorisca un maschio, dev’essere impura per sette giorni; sarà impura come ai giorni dell’impurità in cui ha i mestrui…Essa starà nel sangue della purificazione per altri trentatré giorni. Non deve toccare nessuna cosa santa, e non deve entrare nel  luogo santo finché non si compiano i giorni della sua purificazione ”. Certo sarebbe paradossale se Dio dicesse che la donna per quei fenomeni naturali che sono le mestruazioni e il parto commettesse peccato così da contrarre una impurità morale. La domanda dunque: come mai la WT che mostra di sapere esattamente che per Maria si trattava di impurità legale e quindi di purificazione rituale, cita questo episodio della circoncisione di Gesù e della purificazione di Maria come se si trattasse di impurità morale e di peccato? Contrastando il dogma cattolico della immacolata concezione, il geovismo si chiede “Fu Maria immacolata, immune cioè dal peccato originale fin dall’istante in cui sua madre la concepì?” E lascia intendere che la Bibbia ne dia risposta negativa, ma confonde l’impurità, contratta dal peccato originale ereditato, che fu di natura morale, con la impurità legale di cui si tratta in Levitico. Leggiamolo: “La Bibbia riferisce che, in conformità a quanto richiesto dalla Legge mosaica, 40 giorni dopo la nascita di Gesù Maria presentò nel tempio di Gerusalemme un’offerta per la purificazione. Anche lei aveva ereditato da Adamo il peccato e l’imperfezione. – Luca 2:22-24; Lev. 121-8).” (Ragioniamo p. 215) (2) 

“a te una spada trafiggerà l’anima”. Anche la NM dice anima. Poi in nota ammette “O, “vita”. Gr. psychèn.” Ecco un altro punto in cui la Bibbia rivela la polivalenza di significati dell’ebraico nèphesh e del corrispondente greco psyché. Polivalenza che per noi è pienamente rispettata intendendo per anima lo spirito umano e quindi la “spada” di cui si tratta una metafora di dolore intenso. Mentre il geovismo arranca nella incongruenza insegnando che l’anima non è l’interno dell’uomo ma l’uomo intero, composto di corpo e di energia vitale. Ricordate? “Voi non avete un’anima, siete un’anima… la vostra anima siete voi!” insegna il geovismo. Eppure qui il buon Simeone profetizza una spada trafiggente, ma si dà il caso che nessuna spada abbia trapassato realmente il corpo fisico di Maria come dovrebbe essere stato se per “anima” si fosse dovuto intendere la persona di Maria con tanto di corpo. Né infine sarebbe corretto né espresso in buon italiano tradurre che la spada ha trapassato la vita di Maria. In realtà ha trapassato-ferito i suoi sentimenti, cioè quel qualcosa di non materiale che è nella mente, nell’anima, nella profondità dello spirito umano, che nella Bibbia viene espresso anche con la parola “cuore”. 

“e la grazia di Dio era su di lui”. La NM traduce “e il favore di Dio era su di lui”. Il termine greco da noi tradotto “grazia” e dal geovismo “favore” è chàris. Lo abbiamo già incontrato e abbiamo visto che il geovismo rifiuta il nostro concetto di grazia come dono di Dio che ci rende figli adottivi donandoci la compartecipazione alla vita divina (piano ontologico). Il concetto di chàris è espresso dal geovismo con “immeritata benignità”, ovvero trasformato a significare solo un atteggiamento di benevolenza non meritata verso il peccatore da parte di Geova (piano morale). Senonché qui l’oggetto della immeritata benignità sarebbe nientemeno che il Figlio di Dio, il Santo per eccellenza, colui nel quale il Padre ha riposto le sue compiacenze!… Ed ecco allora che l’immeritata benignità perde la sua normale valenza di significato trasformandosi in “favore di Dio”. Che dire?  Diremo che il geovismo dovrebbe mettersi in accordo con se stesso perché, se torniamo a leggere la NM al versetto di Giovanni 1, 14 troveremo (ohibò!) che questo Figlio “era pieno di immeritata benignità e verità”.

*

NOTE

1) Cf  JOSEPH RATZINGER, Il fondamento sacramentale dell’esistenza cristiana, Queriniana 

2) Viene spontaneo pensare al fatto che sia Maria che Giuseppe sapevano con certezza che il figlio affidato alle loro cure era Figlio di Dio e che, anche se non glielo avesse detto chiaro Gabriele a Maria, era “santo” anzi santissimo per natura. E che Gesù, paragonando una volta il valore dell’offerta a quello dell’altare polemizzò coi farisei spiegando che è il tempio che dà valore di santità all’offerta e non viceversa (cf Matteo 23,17). Ebbene, stante ciò, ma pensando geovisticamente, cioè con una Maria conscia di essere moralmente impura, avremmo avuto il paradosso che  Maria per quaranta giorni si sarebbe dovuta ritenere indegna perfino di toccare il suo Figliolo che era certamente più “santo” del tempio di pietra in cui lei, data la sua “impurità” esclusivamente legale non poté neanche entrare per quaranta giorni!

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Sandro Leoni

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