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Fuoco d’amore

Lectio divina sulle letture della XX Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 14 agosto 2016

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XX Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 14 agosto 2016
Rito Romano
Ger 38,4-6.8-10; Sal 39; Eb 12,1-4; Lc 12,49-53
Rito Ambrosiano
Ne 1,1-4;2,1-8; Sal 83; Rm 15,25-32; Mt 21,10-16
XIII Domenica dopo Pentecoste
1) Desiderio.
Nel Vangelo di oggi, Gesù, il Verbo di Dio fatto uomo per la salvezza di tutti, parla del suo intenso e angoscioso desiderio di realizzare nel tempo la missione che il Padre gli ha affidato. Con parole di fuoco Cristo ci comunica un amore senza fine, che ha come fine quello di farci entrare nell’Amore.
Prima di commentare queste parole, ne propongo la rilettura: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e come vorrei che fosse già acceso! C’è un battesimo che devo ricevere, e come sono angosciato, finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione. D’ora innanzi in una casa di cinque persone, si divideranno due contro tre: padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera” (Lc 12, 49-53).
Naturalmente, quando il Redentore parla di divisione, di “odio”, non lo intende nel significato che gli diamo noi, ossia un perverso sentimento contro qualcuno, ma il totale distacco da sé per fare posto all’Amore: un Amore che in Gesù davvero è un “battesimo”, un “fuoco” di amore che gli brucia dentro.
Il Figlio di Dio ha il desiderio di accendere il fuoco dell’amore sulla terra. Si tratta di un fuoco di luce e di amore, perché:
è il fuoco dello Spirito Santo donato a Pentecoste;
è il fuoco che fa in modo che la verità diventi in noi carità e la carità accenda come fuoco anche il prossimo che incontriamo, perché l’amore è come il fuoco, se non lo ravvivi si spegne;
è il fuoco purificatore del giudizio di Dio, fuoco d’Amore misericordioso che salva il mondo.
Dunque, Gesù ha questo grande desiderio di accendere il fuoco,
che è l’Amore che plasma il mondo,
che è l’Amore che purifica e trasforma,
che è l’Amore potente che dona luce e calore.
Se passiamo accanto a un fuoco acceso, ne sentiamo il calore. E Cristo è fuoco acceso, che riscalda e rinnova, e rende capaci di amare e di servire l’uomo con amore divino. Gesù è il fuoco da portare nella terra del nostro cuore.
Fino a quando tutti i cuori e le menti umane non saranno incendiate da questo fuoco, la parola del Vangelo sarà un inefficace suono e il Regno sarà ancora lontano. Per rinnovare la fragile e malata famiglia degli uomini è necessario un incendio di dolore e passione. La sporcizia che deturpa il corpo, ottura le orecchie e soffoca i cuori, deve esser incenerita dal fuoco spirituale che Gesù è venuto ad accendere. Questo fuoco non è solamente distruzione del male ma è salvezza del bene, fuoco di santità.
Cristo ci dà il fuoco che non si estingue, che viene dal cielo, è il fuoco dello Spirito di Cristo. Un fuoco dello Spirito che rinnova la faccia della terrea e la rende espressione luminosa e calda della presenza divina fra noi: è il fuoco del suo Spirito, è il battesimo dell’amore, battesimo di Spirito e fuoco.
2) Angoscia.
Nel Vangelo di oggi, Cristo parla del suo desiderio di accendere il fuoco dell’amore sulla terra. Al tempo stesso, parla anche dell’angoscia perché sa che questo fuoco deve passare attraverso l’acqua, il “battesimo” della sua morte. Anche il nostro presente è sempre una lotta tra il desiderio del bene e l’angoscia del male, tra pace e scelte difficili. E’ una conflittualità che siamo chiamati a vivere con discernimento, sapendo che sempre, in ogni giorno della nostra vita, siamo chiamati a scegliere ciò che è giusto, anche se ci sono dei costi da pagare.
Ma perché Gesù parla di angoscia? Gesù ci dice di essere nell’angoscia, perché sa che questo fuoco sarà acceso e condiviso attraverso la sua morte in Croce. Questo santo Legno è la culla della nuova Betlemme (che vuol dire città del pane), è la nuova mangiatoia del Pane consumato, è la nuova locanda di Emmaus del Pane spezzato, la nuova Betania, casa del Pane profumato offerto agli uomini per sempre. Fu a Betania che Maria lavò i piedi a Cristo con il balsamo di nardo, simbolo della misericordia.
Gesù è angosciato, perché sa che questo fuoco viene da un battesimo, da un’acqua, che sgorga da Lui in croce. La Croce è il crogiolo capace di trasformarci in testimoni (in greco martiri) che seguono Cristo, il Martire per eccellenza. Nel cuore della Chiesa pulsa il cuore di Cristo: l’angoscia e il desiderio ardente che lo hanno spinto nell’urgenza di testimoniare la Verità, muovono da duemila anni gli apostoli e tutti i cristiani ad annunciare il Vangelo.
3) Divisione o pace?
Il fuoco di Cristo è capace di espandersi senza fare i danni di un incendio. Crea legami calorosi di vivace scambio: un fuoco vivace e di pace. La pace di Gesù si fonda sull’amore disinteressato e libero, che si dona gratuitamente.
A questo punto, nasce una domanda spontanea: “Perché se Cristo è il Principe della pace, dice di essere venuto a portare la divisione e non la pace?”.
Questa contraddizione nasce non perché Gesù è venuto per portare nel mondo la divisione e la guerra, ma perché la divisione e il contrasto nascono inevitabilmente dalla sua venuta a causa del fatto che Lui mette le persone davanti alla decisione. E davanti alla necessità di decidersi, la libertà umana reagisce in modo diverso e contraddittorio. La parola del Redentore e la sua stessa persona fanno venire a galla quello che c’è di più nascosto nel profondo del cuore umano. Il vecchio Simeone lo aveva predetto, prendendo in braccio il bambino Gesù: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori” (Lc 2, 35). E la prima vittima di questa contraddizione, il primo a soffrire della “spada” che egli è venuto a portare sulla terra, sarà proprio lui, che in questo contrasto ci rimetterà la vita per dare a noi la Vita.
4) Le Vergini consacrate nel mondo e la divisione.
Nella vita, l’attesa delle cose belle apre il cuore alla gioia; mentre l’attesa delle cose tristi e brutte pone di fronte al dramma della paura, dell’incognito, dello sconosciuto, dell’ignoto. In questo caso è davvero un salto nel buio. Gesù, invece, è luce, speranza, felicità, serenità: è Tutto.
A questo Tutto le Vergini consacrate nel mondo si offrono senza riserve. E per questo anche loro sperimentano la divisione che porta Cristo, Si tratta di divisione che origina il distacco dalla carne ma che prelude alla comunione eterna. In effetti, la verginità implica questo distacco radicale per essere in totale ed esclusiva comunione con Cristo.
Non è solo una divisione da qualcosa ma per Qualcuno che ama fino a dare la vita. Dunque la loro divisione dal mondo diventa condivisione di grazia e segno per tutti che è bello e lieto donarsi a Dio, che è il loro costante interlocutore. Queste donne consacrate nel dialogo con Dio si aprono al dialogo con tutte le persone che vivono nel mondo verso le quali esse diventano madri, madri dei figli e figlie di Dio. (Cfr.RCV, 29).
In questo modo con la loro offerta verginale, le vergini consacrate testimoniano che essere discepoli di Cristo significa essere suoi, che non ci apparteniamo più. E’ questo il senso più profondo delle parole dure e difficili del Vangelo di oggi: occorre “osare” l’odio, la divisione, anche la più dura, senza voltarsi indietro per seppellire o salutare; per amore dei nostri più intimi, spesso siamo chiamati a tagliare radicalmente, perché “l’astuto avversario, quando si vede scacciato dal cuore dei buoni, cerca quanti sono molto amati da loro, e parla per mezzo di essi con parole carezzevoli: affinché, penetrato il cuore con la forza dell’amore, la spada della sua persuasione irrompa facilmente nelle fortificazioni della rettitudine interiore” (S. Gregorio Magno).
Lettura Patristica
Sant’Ambrogio di Milano
In Luc., 7, 132, 135 s., 145
Fuoco sono venuto a portare sulla terra” (Lc 12,49). Non si tratta certo di fuoco che consuma i buoni, ma del fuoco che suscita la buona volontà, che rende migliori i vasi d’oro della casa del Signore, consumando il fieno e la paglia (cf. 1Co 3,12ss). Questo fuoco divino divora tutte le cose del mondo accumulate dalla voluttà, brucia le opere effimere della carne, ed è quello stesso che infiammava le ossa dei profeti, come dice il santo Geremia: “È divenuto come un fuoco ardente che infiamma le mie ossa” (Jr 20,9). È infatti il fuoco del Signore, a proposito del quale sta scritto: “Un fuoco arderà davanti a lui” (Ps 96,3). Ma il Signore medesimo è fuoco, dato che egli stesso ha detto: “Io sono il fuoco che brucia e non si consuma” (Ex 3,2 Ex 24,17 Dt 4,24 He 12,29); il fuoco del Signore è infatti la luce eterna, ed è a questo fuoco che si accendono le lucerne delle quali poco prima ha detto: “I vostri fianchi siano cinti e le lampade accese” (Lc 12,35).
La lampada è necessaria, perché i giorni di questa vita sono come notte. Ammaus e Cleopa testimoniano che il Signore ha messo questo fuoco anche in loro, quando dicono: “Or non ci ardeva il cuore per via, mentre ci spiegava le Scritture?” (Lc 24,32). Essi così hanno manifestato con evidenza qual è l’azione di questo fuoco, che illumina l’intimo del cuore. È forse proprio per questo che il Signore verrà nel fuoco (Is 66,15-16), per consumare tutte le colpe al momento della risurrezione, ricolmare con la sua presenza i desideri di ciascuno, e proiettare la sua luce sui meriti e sui misteri…
Come potrebbe allora il Signore essere “la nostra pace, egli che di due ne fece uno?” (Ep 2,14). E com’è che egli stesso dice: “Io vi do la mia pace, vi lascio la mia pace” (Jn 14,27), se è venuto per separare i padri dai figli, e i figli dai padri, distruggendo i loro vincoli? Come può essere “maledetto chi non onora suo padre” (Dt 27,16), e religioso chi lo abbandona?
Ma se noi ci ricordiamo che la religione sta al primo posto e al secondo la pietà, comprenderemo anche come sia facile questa questione: tu devi infatti porre l’umano dopo il divino. Se abbiamo doveri d’amore verso i genitori, quanto maggior dovere non abbiamo per il Padre dei nostri genitori, cui dobbiamo riconoscenza anche per i nostri stessi genitori? E, se essi non riconoscono il loro Padre, come potrai tu riconoscerli? Il Signore non dice che si deve rinunciare ai parenti, ma che si deve anteporre a tutti Dio. Perciò in un altro libro tu puoi leggere- “Chi ama il padre e la madre più di me, non è degno di me” (Mt 10,37). Non ti è vietato di amare i tuoi genitori, ma ti è vietato di preferirli a Dio: gli affetti naturali sono infatti un beneficio del Signore, e nessuno deve amare il beneficio più di Dio stesso che gliel’ha concesso.
Dunque, anche stando al solo significato letterale, a coloro che intendono con pietà non manca una spiegazione religiosa. Tuttavia stimiamo che c’è da cercare un significato più profondo, per quello che egli aggiunge…
Così, fino a quando, a causa dell’unione dei vizi, vi era nella stessa casa un accordo indivisibile e inseparabile, sembrava che non vi fosse alcuna divisione. Ma quando Cristo portò sulla terra il fuoco, con cui egli consuma le colpe della carne, e la spada, che significa il dispiegamento della potenza in atto, che penetra nell’intimo dello spirito e delle midolla (He 4,12), allora la carne e l’anima, rinnovate nel mistero della rigenerazione, dimenticando ciò che erano e cominciando a essere ciò che non erano, si separano dalla compagnia antica del vizio, amato sino a quel momento, e spezzano tutti i legami con la loro degenere posterità. È così che i genitori sono divisi e si pongono contro i figli, in quanto la nuova temperanza del corpo rinnega l’antica intemperanza, e l’anima evita ogni legame con la colpa, né resta più posto per la straniera venuta dal di fuori, la voluttà.
Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi.
 

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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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