Francia: un altro sindaco si rifiuta di celebrare nozze omosessuali

Il sindaco di Fontgombault annuncia le sue dimissioni nel momento in cui sarà costretto a sposare persone dello stesso sesso. 20mila i sindaci francesi che invocano l’obiezione di coscienza

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La nuova tappa della resistenza francese alle leggi ultraprogressiste di François Hollande si chiama Fontgombault, comune di appena 282 anime del dipartimento dell’Indre, nel cuore del Paese transalpino.

Nei giorni scorsi i cittadini di questo piccolo centro si sono visti recapitare a casa una lettera con il seguente contenuto:Il sindaco Jacques Tissier e i suoi aggiunti insieme a tutti i consiglieri si dimetteranno nel caso in cui vengano costretti a procedere alla celebrazione di un matrimonio tra due persone dello stesso sesso”. La decisione è maturata a seguito di un Consiglio comunale, avvenuto lo scorso 24 ottobre, durante il quale si è discusso il fatto che il Consiglio costituzionale ha recentemente negato la libertà di coscienza ai sindaci, così che non potranno rifiutarsi di celebrare un matrimonio omosessuale. I trasgressori rischiano sino a tre anni di carcere e a 45mila euro di multa. Il sindaco Jacques Tissier ha risposto a chi giudica esagerata la sua decisione con questa frase: “Esiste una legge naturale superiore alle leggi umane”.

Tissier è solo l’ultimo sindaco francese che balza agli onori delle cronache per la riluttanza al matrimonio omosessuale. In origine fu Jean-Michel Colo, primo cittadino di Arcangues, paese dei Pirenei, il quale si rifiutò di unire in matrimonio due uomini. Il braccio di ferro durò oltre un mese. La coppia presentò una denuncia di discriminazione e intervenne persino il ministro degli Interni, Manuel Valls, minacciando sanzioni. Alla fine, lo scorso 22 luglio, un delegato del sindaco si prestò volontariamente come celebrante e il matrimonio si fece.

Poco tempo dopo, una nuova spia del dissenso francese nei confronti della legge mariage pour tous si accese a Bollène, comune della regione meridionale di Vaucluse. La sindachessa di questo comune, Marie-Claude Bompard, convocò due donne lesbiche che le avevano richiesto di essere sposate civilmente per annunciar loro che “in virtù delle sue convinzioni religiose” non avrebbe potuto accontentarle. Sebbene incalzata dalla stampa nazionale e sollecitata dal prefetto a celebrare le nozze pena le sanzioni previste dalla legge, la Bompard è rimasta finora fedele alla sua decisione. Lo scorso 18 ottobre la battagliera sindachessa di Bollène ha annunciato che si rivolgerà alla Corte europea dei diritti dell’uomo per vedersi riconosciuta l’obiezione di coscienza che il Consiglio costituzionale francese ha negato. “Malgrado certe decisioni ingiuste, la lotta continua”, ha promesso la Bompard.

Ed è proprio una promessa del presidente Hollande, giacché non mantenuta, che ha provocato una significativa reazione di un ampio numero di sindaci francesi. Nel novembre 2012 il capo dell’Eliseo assicurò, a proposito del mariage pour tous, che “la legge si applica per tutti ma nel rispetto dell’obiezione di coscienza”. Nei giorni successivi, tuttavia, l’opposizione del Partito Socialista e soprattutto della prima firmataria della legge, la ministra della Giustizia Christiane Taubira, convinse Hollande a contravvenire alla sua promessa.

È così che nel giugno scorso si arrivò alla costituzione del Collettivo dei sindaci per l’infanzia, composto da più di 20mila primi cittadini di comuni francesi – di destra e di sinistra, etero e persino omosessuali – uniti nella richiesta di potersi astenere dal celebrare nozze tra persone dello stesso sesso. Franck Meyer, portavoce del Collettivo, nonché sindaco di Sotteville sous le Val, in Alta Normandia, spiegò alla rivista italiana Tempi: “Nel diritto francese, il codice civile lega insieme la famiglia, il matrimonio e il diritto del bambino. La legge Taubira modifica il diritto della famiglia e soprattutto il diritto dei figli”. Lo stesso Meyer, che attribuisce anche alle pressioni delle lobby gay il cambio d’atteggiamento di Hollande rispetto alla libertà di coscienza, affermò che il problema è “se vogliamo vivere in un Paese dove la libertà di coscienza, di espressione, di religione sono rispettate oppure se vogliamo entrare in un sistema totalitario”.

A Franck Meyer ha fatto eco il suo collega Michel Villedey, sindaco di Thorigné-d’Anjou, piccolo paese del dipartimento del Maine e Loira. Villedey, anche lui esponente del Collettivo dei sindaci per l’infanzia, si è detto pronto ad affrontare il carcere: “Noi non abbiamo paura, ci batteremo per la nostra libertà di pensiero e coscienza e non penso che sia nell’interesse del governo trasformare la Francia in un regime terrorista e ideologico come in passato”.

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Federico Cenci

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