Francesco d'Assisi, dalla liturgia a san Gregorio Magno

Amare il prossimo e fare il bene: come il Poverello si è calato dentro la riflessione patristica e monastica precedente a lui

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Nella propria attività pastorale, che sarà un modello per tutto il Medioevo, Gregorio Magno ha spesso commentato dei testi biblici. Come nei Moralia, anche nelle Homiliae in Evangelia, una vera e propria catechesi biblica inserita nell’azione liturgica, Gregorio insiste maggiormente sul senso “morale” della Sacra Scrittura. Così, nella festa di san Felice, nella basilica romana a lui dedicata, fece un commento al brano di Lc 11,35-40 facendone una lettura simbolica ed evidenziandone il senso tropologico. Nelle parole evangeliche «sint lumbi vestri praecincti», Gregorio intende il comando di vincere la lussuria della carne mediante la continenza. […]

Tra la spiegazione dei due diversi significati morali, Gregorio inserisce il motivo per cui, ad un comando negativo, ne fa seguito subito uno positivo: «quia minus est mala non agere, nisi etiam quisque studeat et bonis operibus insudare….». Come si nota, l’affermazione di Gregorio è di tipo morale e si riferisce alla vittoria sulla lussuria mediante la continenza e all’illuminazione del prossimo con l’esempio delle buone opere. Essa non ha alcun rapporto con la tematica del lavoro, argomento assente in questa omelia, ma ha una valenza più generale inglobando tutta la morale in due comandi: «munditia sit castitatis in corpore, et lumen veritatis in operatione».

La prima parte di questa sua omelia, è stata inserita dall’Ordinario di Innocenzo III nel Comune dei Santi in natali unius Confessoris Pontificis e quindi ebbe una vasta diffusione mediante la liturgia. Si potrebbe dire che, mediante la liturgia, essa andò a formare quel substrato culturale dal quale, nel Medioevo, si attingevano idee, concetti e modi di comunicare.

[…]

Considerando il contesto da cui le affermazioni di Gregorio Magno, Girolamo e Benedetto sono state estrapolate, come le stesse sono state utilizzate successivamente ed il modo con cui sono state recepite nella Regola non bolla di Francesco d’Assisi, si possono trarre alcune considerazioni.

Primariamente si può affermare che in questi casi la finalità è principalmente morale, cioè legata al modo di comportarsi nella vita pratica, e non dottrinale. Non è un caso che uno degli autori considerati è proprio Gregorio Magno, il padre occidentale alle cui opere, nel Medioevo, era riconosciuta la peculiarità dell’analisi del senso tropologico, cioè morale.

Se tutte e tre le affermazioni sono tratte da un ambito morale, solo quelle di Girolamo e di Benedetto riguardavano espressamente il lavoro. […].

Mentre i testi di Girolamo e Benedetto sono nati e sono stati interpretati sempre nell’ambito del tema del lavoro, il testo di Gregorio si è diffuso mediante la liturgia, o meglio le letture patristiche dell’Ordinario di Innocenzo III. Del testo di Gregorio — che mostra come non basta non fare il male, ma si deve pure operare il bene — nella Regola non bolla di Francesco d’Assisi è presente soltanto la parte positiva. Eppure questa tematica, sia nella formulazione negativa che in quella positiva, è presente nella Epistola ad fideles dello stesso Francesco. In essa il Santo esorta affinché «diligamus proximos sicut nos ipsos» (tema presente anche nell’omelia di Gregorio) e commenta il comandamento evangelico dell’amore vicendevole affermando che «si quis non vult eos amare sicut se ipsum, saltim non inferat eis mala, sed faciat bona».

Se nel Testamento di Francesco d’Assisi rimane solo una allusione alla Regula di Benedetto, ed è assente una qualsiasi pur minima allusione alle affermazioni di Girolamo e di Gregorio, tuttavia compare il tema dell’exemplum contenuto nelle Homiliae in Evangelia di quest’ultimo. Tutti i frati devono lavorare «propter exemplum» e solo secondariamente «ad repellendam otiositatem». Già Paolo affermava di voler lavorare per dare l’esempio […].

Nel capitolo VII della Regola non bolla sono citati sia 2Tess 3,10 che il Sal 127,2, due testi presenti in quasi tutti gli scritti che trattano del lavoro, mentre sono assenti sia Gen 3,17-19 che Mt 6,28124, spesso usati a sfavore dell’attività umana. Negli scritti riguardanti il lavoro precedenti a Francesco, il Sal 127,2 e 2Tess 3,10 sono posti accanto alle citazioni di Girolamo e Benedetto, come si può vedere nei sermoni di Rodolfo Ardente. Tale compresenza fa sorgere la domanda se, per caso, dal redattore della Regola non bolla, anche essi siano stati presi non direttamente dalla Scrittura, ma da citazioni presenti in altri testi.

A conferma di una citazione direttamente attinta dalla Bibbia c’è la formula con cui sono introdotti «nam propheta ait […] et apostolus», ma la loro presenza simultanea, comune ai testi precedenti sul lavoro, rende probabile il fatto che ci troviamo invece in presenza di una fonte biblica mediata. A proposito c’è da notare che il Sal 127,2, nella Regola non bolla,contiene la variante «fructuum tuorum», mentre il versetto biblico, negli scritti precedenti a Francesco, è citato nella sua versione originale «manuum tuarum», senza alcuna elaborazione ulteriore. Nonostante questa variante testuale, sta di fatto che i versetti citati a sostegno del lavoro sono in continuità con tutta una tradizione precedente che ha le sue radici nei Padri.

In base a questo c’è da chiedersi se forse non è da riconsiderare il problema della presenza scritturistica negli scritti di Francesco, o almeno nella Regola non bolla, tema spesso affrontato come se tali citazioni bibliche fossero attinte direttamente dal testo della Scrittura, senza alcun intermediario. Nel caso del capitolo VII,4-6 della Regola non bolla, anche se le citazioni fossero tratte direttamente dalla Scrittura, come sembra far supporre la presenza anche di 1Cor 7,24, certamente esse si collocano dentro una tradizione che ha visto in esse il sostegno più evidente a cogliere positivamente il senso del lavoro. Quindi, un’analisi delle stesse fonti bibliche degli scritti di Francesco è incompleta senza avere uno sguardo anche ai Padri.

In merito al lavoro, Francesco quindi si è calato dentro una riflessione precedente a lui, cioè quella patristica e monastica, citando le auctoritates normalmente usate in merito all’attività umana, ma aggiungendovene altre assenti, come quella di Gregorio Magno e 1Cor 7,24.

Per un approfondimento
P. Messa, Le fonti patristiche negli scritti di Francesco di Assisi, prefazione di G. Miccoli, Edizioni Porziuncola, Assisi 2006.

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Pietro Messa

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