Fossoli: il preludio della Shoah

Proiettato alla Camera dei Deputati il documentario sul campo di raccolta dei prigionieri destinati ad Auschwitz, a Dachau, a Buchenwald e a Mauthausen

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Fossoli nacque come campo italiano per prigionieri di guerra della Repubblica Sociale. Solo in seguito fu gestito insieme da italiani e tedeschi, funzionando come campo di concentramento e smistamento per la deportazione degli ebrei dal dicembre 1943 all’agosto 1944.

Situato vicino a Carpi, in provincia di Modena, il campo fu destinato ai profughi giuliano-dalmati che si rifugiarono in Italia dal 1954 alla fine degli anni ‘60, poi, per vari anni, cadde in abbandono fino al 1973, quando fu aperto il Museo Monumento al Deportato.

Un terzo degli italiani deportati nei vari campi di concentramento – ben cinquemila tra i quali anche Primo Levi – transitarono per Fossoli: un punto di convoglio, geograficamente la punta meridionale dell’agghiacciante sistema sterminatore messo in piedi dai nazisti.

Dal racconto dei testimoni e dalle voci di una generazione che ha attraversato il fascismo, la guerra e per diverse vie è giunta al campo, è nato il film Crocevia Fossoli, proiettato ieri in riduzione televisiva presso l’Aula dei Gruppi Parlamentari alla Camera dei Deputati.

Il documentario, che vuole superare la ristrettezza temporale dello svolgimento della pellicola, parla di Fossoli ma non solo: è uno squarcio sull’evento dell’intera tragedia della Shoah, raccontata attraverso una polifonia di voci. Vi sono i deportati ebrei che ricostruiscono i pezzi della memoria, ma anche i prigionieri politici, la guardia carceraria, il garzone del fornaio, i ragazzi del posto, gli abitanti che vivono all’esterno.

Da Fossoli si presume ciò che è avvenuto prima e ciò che avverrà: nel campo si mangia, si può giocare a carte, ci si incontra; la brutalità verso i prigionieri è ancora in una fase ambigua: vi è il capo baracca al quale è assegnato potere di vita e di morte sugli internati, ma lui stesso non ci crede; viene ammazzata una persona da una SS che già aveva conosciuto l’ambiente dei lager, ma è una situazione ancora di soglia, si va verso qualcosa che ancora si ignora.

La gente parte verso Aushwitz, Dachau, Buchenwald, Birchenau, Mauthausen, Sachsenhausen, Flossenburg, Ravensbruck pensando di trasferirsi in un altro campo simile a Fossoli: va verso il disastro aggrappandosi comunque ad una speranza.

Nel film lo sguardo della storia si contamina con i ricordi della memoria: quella di far parlare per tutto il tempo i testimoni riflette una scelta ben precisa e motivata. Infatti la capacità dell’operazione dei registi Federico Baracchi e Roberto Zampa è nell’essere riusciti, attraverso le fonti orali, a fotografare questa situazione di ‘non si sa come finirà’: riguardo alla strage dei sessantasette fucilati gli internati cercano di giustificare l’avvenimento provando ad immaginare che ci sia stata una rappresaglia, una causa scatenante. Ci si trova in un attimo ancora immobile, che ancora non è precipitato: raccontare questa normalità puntellata qua e là da indizi di una tragedia imminente è un elemento molto forte.

Dopo la proiezione del filmato sono intervenuti Marina Sereni, vicepresidente della Camera dei Deputati, Enrico Campedelli, sindaco di Carpi, Dario Franceschini, Ministro dei Beni culturali, Marzia Luppi, Direttrice della fondazione ex Campo Fossoli, Giovanni Contini, consigliere dell’Associazione Italiana di Storia Orale; Valentina Pisanty, semiologa presso l’Università di Bergamo, ha concluso il seminario ricordando ad ammonimento le parole usate da Umberto Eco nel convegno del 2011 presso l’Accademia dei Lincei: mentre “è stata dimostrata l’impossibilità di dimenticare volontariamente quello che la memoria individuale ha registrato, le culture si presentano proprio come dispositivi che non soltanto servono a conservare ma anche a cancellare l’informazione giudicata eccedente. Ci sono casi in cui una cultura, rimuovendo qualcosa che ci sarebbe stato utile, aggiunge ai danni della memoria anche quelli della dimenticanza”.

Oltre alle autorità e agli studiosi erano presenti anche alcuni testimoni tra i quali Alberto Sed, Piero Terracina, Franco Varini, Gilberto Salmoni. Uno di loro, impegnato oggi a dare testimonianza ai giovani nelle scuole, ha voluto rispondere per ZENIT ad alcune domande.

Fossoli è stato l’anticamera dei lager: vi si respirava un’aria ambigua che lasciava intravedere l’inizio degli orrori dei campi di concentramento, ma allo stesso tempo vi era un clima quasi di normalità quotidiana. Come vivevate quei giorni?

Gilberto Salmoni: La consapevolezza c’era in qualcuno: noi sapevamo già che esisteva Aushwitz e che esistevano le camere a gas. Lo sapevamo già. A Genova era arrivata quella voce: il cardinale Boetto aveva scritto al Vaticano e sembra che il Vaticano abbia risposto che quelle circostanze erano già note. Però speravamo, essendo ebrei misti, di evitare la partenza: infatti gli altri partivano molto più rapidamente, cioè con intervalli di tempo molto più rapidi. Tra gli ebrei misti qualcuno è partito presto, ma io e Franco Schönheit speravamo non partire.Noi sapevamo che, se fossimo partiti, sarebbe andata male.

Lei cosa direbbe se fosse un insegnante che debba affrontare con i ragazzi l’argomento della Shoah?

Gilberto Salmoni: Che due popolazioni, quella tedesca e quella italiana, si sono fatte ingannare: si sono fatte portare verso una guerra distruttiva. La Germania è stata veramente distrutta dai bombardamenti e dal fatto che le truppe sovietiche e le truppe angloamericane si siano incontrate a Berlino. Peggio di così non poteva andare, i capi del governo si sono suicidati, Mussolini è stato acchiappato come un soldato impaurito, vestito da tedesco, una vergogna per uno che ha lanciato il nazionalismo. Impariamo a giudicare chi ci governa, stiamo attenti a questo.

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Maria Gabriella Filippi

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