Formazione manageriale nei monasteri

Una rilettura del libro di Paolo G. Bianchi “Ora et Labora” edito da Xenia Edizioni

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di Antonio D’Angiò

ROMA, domenica, 27 maggio 2012 (ZENIT.org).- Lunedì 7 maggio, a pag. 21, il Corriere della Sera con un esplicativo grafico sintetizzava i dati Istat secondo i quali negli ultimi tre anni, un dirigente su cinque è rimasto senza lavoro (passando da 500mila a 396mila a totale Italia). A lato era presentata anche l’evidenza della loro ricollocazione, con un 52% che ritrovava l’incarico come dirigente e un 11% che diviene imprenditore.

Partiamo da qui, per riprendere un libro del 2006 di Paolo G. Bianchi, antropologo, docente e formatore manageriale, da molti anni studioso della Regola benedettina e delle sue applicazioni nell’impresa (libro peraltro presente nella nota bibliografica all’opera di Giorgio Boatti “Sulle strade del silenzio – Viaggi per Monasteri d’Italia e spaesati dintorni” pubblicato qualche mese fa).

Siamo consapevoli che con un tasso di disoccupazione a circa il 10% (e con valori nel meridione e per le donne molto molto più elevati), occuparsi della formazione manageriale e del rischio inoccupazione dei dirigenti possa apparire un poco parziale.

Così c ome può apparire un controsenso rileggere il libro di Paolo G. Bianchi di circa sei anni addietro, dal titolo “Ora et Labora” (sottotitolato “la Regola benedettina applicata alla strategia di impresa e al lavoro manageriale”), quando in questi ultimi anni abbiamo spesso letto e ascoltato notizie su incapacità manageriale che hanno determinato il fallimento anche di grandi aziende e che tante persone hanno sperimentato il gesto estremo come àncora di salvezza dal fallimento o dalla perdita del lavoro.

S pesso, però, sono proprio le letture di opere immortali che possono fornire strumenti validi a prescindere dal tempo che si vive. Con questo “Ora et Labora” di Bianchi, ripercorrendo la Regola benedettina, si offrono nuovamente molti spunti di riflessione sia a manager e imprenditori e, a complemento e sostanzialmente, a tutti coloro che si trovano a relazionarsi ed a rispondere delle attività o anche solo semplicemente ad eseguirle.

Il libro, che riprende quanto realizzato con l’Abbey Programme all’interno di tre abbazie benedettine (al momento della pubblicazione Praglia nel Veneto, Sant’Agata sui due Golfi in Campania e San Pietro di Sorres in Sardegna), racconta come, sia attraverso la lettura di alcuni passi della Regola benedettina, e sia con l’esempio di come questa è applicata dai monaci, si possano trovare elementi di aderenza alla gestione d’impresa e fornire strumenti di applicazione pratica nel momento in cui si ritorna alla quotidianità lavorativa.

L’opera (di circa 150 pagine ) è suddivisa in dieci capitoli ma è soprattutto dal secondo all’ottavo che si trovano le descrizioni del rapporto tra Regola e Impresa con i capitoli dedicati all’accoglienza, all’ascoltare, al silenzio, alla leadership, ai collaboratori, alla koinonia (tradotto dal greco “luogo di comunione”) e al lavoro.

Proprio l’ultimo, “Lavoro e Lavorare”, suddiviso in cinque paragrafi (Lavorare con le mani; con la mente, con il cuore, insieme, c on il tempo) porta a sintesi molti dei passaggi precedenti.

Proviamo a farlo, allora, facendo parlare direttamente l’autore selezionando una frase significativa da ognuno dei cinque paragrafi sopra elencati:

Lavorare con le mani. Benedetto ci insegna che è nell’umile lavoro che si può costruire la grandezza delle imprese. Il progetto dell’ingegnere non avrebbe senso senza l’operaio che costruisce il pezzo, la composizione del musicista sarebbe inesistente senza gli strumenti che la suonano. Lavorare con le mani insegna la pazienza.

Lavorare con la mente. Un mio zio sosteneva che le persone non sono più allenate ad osservare, a fare attenzione e per questo sviluppano, a suo dire, una sorta di imbecillità recondita. Corrono senza motivo, non pensano, non riflettono, non sono più abituate a lavorare con la mente per elaborare creatività.

Lavorare con il cuore. La realtà è che se non siamo in grado di trovare un bilanciamento tra affetti e lavoro non riusciremo mai ad amare fino in fondo ciò che facciamo.

Lavorare insieme. Nella logica del lavorare insieme, tipica del monastero, esistono una orizzontalità ed una verticalità. Seguendo l’asse orizzontale, la persona con lo studio e la meditazione, può spostarsi verso il sé mentre, con le relazioni sociali e fare gruppo, può muoversi verso gli altri. Diversamente, lungo l’asse verticale, può spaziare dall’interiorità più profonda alla trascendenza.

Lavorare con il tempo. La Regola ci insegna anche che, nella gestione del tempo, è importante non creare mai aspettative superiori alle possibilità esecutive delle persone.

Da sempre il lavoro è stato tema non solo di saggi ma anche di romanzi e, negli anni in cui Bianchi ha presentato al pubblico la sua opera, altri importanti uomini d’impresa si sono cimentati con lo stesso tema. Ricordiamo in questa sede solo l’opera di Pier Luigi Celli “Un anno nella vita” pubblicata da Sellerio negli stessi mesi che così accennava del tempo del lavoro: – L’uomo “di fretta” quasi sempre è un mentitore. Involontario, forse. Ma tende a trascurare la verità -.

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ZENIT Staff

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