Filippine: i superiori religiosi chiedono giustizia per il massacro di Maguindanao

Accusano le autorità di aver permesso la cultura dell’impunità

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MANILA, martedì, 1° dicembre 2009 (ZENIT.org).- I superiori di ordini religiosi nelle Filippine hanno espresso la propria soddisfazione per gli arresti dopo il massacro che ha avuto luogo il 23 novembre nella provincia di Maguindanao e hanno esortato il Governo a non cedere nel perseguire la giustizia, lamentando la “cultura dell’impunità” che promuove questi atti di violenza.

Almeno 57 persone sono state assassinate da uomini presumibilmente guidati dal candidato rivale Ampatuan per impedire ai parenti di Ismael Mangudadatu di Buluan di registrare ufficialmente la sua candidatura al Governo per le elezioni di maggio. Tra i morti ci sono varie donne e più di venti giornalisti che le accompagnavano.

La superiora benedettina Mary John Mananzan ha rilasciato alcune dichiarazioni dopo l’arresto del primo sospetto, Andal Ampatuan Jr. di Datu Unsay, e di venti suoi seguaci in varie città di Maguindanao.

“In questo momento, mi congratulo (per l’arresto)”, ha detto la suora a Union for Catholic Asian News (UCAN), sottolineando che il processo deve andare avanti.

La superiora lo ha dichiarato quando si è recata, insieme a tre autobus di studenti del Collegio di Santa Scolastica diretto dalle benedettine, al Dipartimento per la Giustizia per consegnare una dichiarazione in cui si chiede giustizia per le vittime del massacro.

La dichiarazione è stata emessa dall’Associazione di Superiori Maggiori Religiosi nelle Filippine, di cui suor Mananzan è copresidente. In seguito si sono recati a consegnare copie del testo all’ufficio presidenziale di Malacañang.

Suor Mananzan ha detto che il massacro è più della perdita di vite: “Questo fatto ha a che vedere con una cultura dell’impunità e dovremmo sentirci inquieti per questo”.

Il Governo, ha aggiunto, è in parte colpevole della tragedia, perché ha tollerato la violenza inflitta contro il popolo dai suoi alleati a Maguindanao.

Per questo, si chiede una decisa azione governativa e l’invio agli “agenti della morte” del messaggio per cui “la vita è sacra”.

Per suor Manazan, l’arresto di Ampatuan è solo l’inizio. “Non possiamo essere compiacenti”, ha detto, sottolineando che bisogna essere sicuri del fatto che “non ci siano connivenze” tra il Governo e i suoi alleati nell’amministrazione.

Dal canto suo, padre Sebastiano D’Ambra, esperto di dialogo con l’islam nelle Filippine, ha avvertito del fatto che gli attacchi potrebbero esacerbare le tensioni religiose in una regione in cui sono sempre più presenti i fondamentalisti.

Per il presbitero, ricorda l’associazione caritativa internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), è necessario raddoppiare gli sforzi per promuovere la cooperazione interreligiosa.

Padre D’Ambra, che lavora alla cooperazione religiosa da quasi 30 anni e ha fondato un’iniziativa interreligiosa chiamata “Silsilah movement“, ha affermato che le relazioni con i musulmani sono peggiorate decisamente dagli anni Sessanta.

“Il dialogo religioso oggi è sempre più complicato per l’influenza di gruppi che non incoraggiano il dialogo tra cristiani e musulmani”, ha osservato.

Questa situazione non cambierà “a meno che non si verifichi un miglioramento della situazione politica, e considerando crimini come questo non penso che ciò avverrà presto”, ha aggiunto.

Il “Silsilah movement“, nato 25 anni fa, vuole creare opportunità per la cooperazione interreligiosa concentrandosi sul Villaggio dell’Armonia, un territorio di 14 acri a Zamboanga che comprende un istituto per il dialogo interreligioso, un centro di formazione, attività per i giovani di varie religioni, una cappella e una moschea.

Tra i progetti di padre D’Ambra, c’è quello di ampliare la struttura con un centro multimediale, preparare materiale televisivo e radiofonico, promuovere iniziative interreligiose di pace e iniziative di sostegno per far fronte allo sfruttamento da parte dei datori di lavoro.

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ZENIT Staff

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