Ferragosto di crisi, cerchiamo risposte nella luce di Maria

La riflessione di mons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto, sulla Festa dell’Assunzione

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di S.E. Mons. Bruno Forte

ROMA, martedì, 14 agosto 2012 (ZENIT.org) – Si avvicina il “ferragosto” di quest’estate, calda non solo per il clima, ma anche per le fiammate della crisi che continua a colpire insieme con l’intero “villaggio globale” la nostra Europa. E ritorna nella liturgia della Chiesa la celebrazione dell’Assunzione di Maria.

Una memoria fuori del tempo? Un’evasione spirituale, proposta per estraniarsi dalle inquietanti provocazioni della storia? La risposta può sembrare paradossale, perché per certi aspetti è sì, per altri no. In realtà, la liturgia per sua natura celebra lo splendore dell’eternità nel tempo e tende a cogliere il senso del divenire temporale nell’orizzonte pacificante dell’eternità: la sua “attualità” sta spesso nel riproporre fedelmente ciò che è apparentemente “inattuale”, e tuttavia necessario.

Si tratta di un estraniarsi per appartenere: lo faceva comprendere il teologo evangelico Karl Barth, quando – nel profilarsi della barbarie nazista e delle sue violenze, di cui fu sempre fiero oppositore – osservava quanto fosse importante che i Benedettini della vicina Abbazia di Maria Laach continuassero a cantare le lodi di Dio senza fermarsi (l’osservazione è nel testo Esistenza teologica oggi del 1933).

Anche la celebrazione dell’assunzione della Madre di Gesù in cielo, nella pienezza della sua condizione corporea e spirituale, va letta in questa luce. Mi chiedo, dunque, in che senso può essere significativa per noi, figli di questa post-modernità spesso distratta rispetto alle cose ultime e indaffarata a risolvere i problemi dell’ora, e come può aiutarci ad alzare lo sguardo per scrutare nel mistero che la liturgia propone qualcosa del nostro destino ultimo e della luce che da esso viene su ciò che è penultimo.

È il teologo ortodosso Pavel Evdokimov, voce autorevole della tradizione orientale, a osservare che la storia di Maria è «la storia del mondo in compendio, la sua teologia in una sola parola» e che nell’integralità della sua vicenda ella è come «il dogma vivente, la verità sulla creatura realizzata» (La donna e la salvezza del mondo, 54 e 216). Nella Vergine Madre gli occhi della fede riconoscono la logica di Dio, manifestata in tutto l’arco della storia della salvezza: Maria è la donna, icona del Mistero.

Il riferimento a la donna intende evidenziare la concretezza di questa ragazza della terra d’Israele, cui secondo la fede cristiana è stato dato di vivere la singolare esperienza di diventare la madre del Messia. La grandezza di ciò che agli occhi di chi crede è avvenuto in lei non deve far dimenticare la quotidianità delle sue fatiche nella famiglia di Nazaret, l’oscurità dell’itinerario di fede in cui è avanzata, i condizionamenti ricevuti dall’ambiente che la circondava, l’aver conosciuto gli stati differenti dell’esperienza femminile.

Maria non è un mito, né un’astrazione, come mostrano i tratti profondamente ebraici della sua personalità di donna nutrita della spiritualità dell’ascolto, che fa nella storia la grandezza del popolo ebraico: “Ascolta, Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno” (Dt 6,4). Maria non è un caso dell’universale, ma la «Virgo singularis», la donna irripetibile nella sua storicità unica, il concreto femminile della persona, che l’Eterno ha eletto per la rivelazione del Mistero, «benedetta fra tutte le donne», come è «benedetto il frutto del suo grembo», Gesù (cf. Lc 1,42).

Non si tratta di sviluppare un’«ontologia del femminile», partendo dalla figura di Maria: i rischi di astrattezza di una simile ricerca dell’«eterno femminino» (Goethe) sono stati giustamente denunciati dal pensiero femminista. Si tratta piuttosto di indagare il mistero racchiuso in ogni donna, e quindi reciprocamente in ogni essere umano, a partire dal «caso» assolutamente singolare, che è la «Vergine Madre, figlia del suo Figlio».

Il significato universale di Maria, insomma, sta o cade con la sua singolarità di donna concreta: quanto più questa singolarità femminile sarà colta, tanto più il suo valore di archetipo per la dimensione femminile dell’essere umano si lascerà percepire e il mistero in lei riposto si farà penetrare.

Proprio così, nel cuore dell’estate, la celebrazione dell’assunzione di Maria diventa un richiamo a rispettare la dignità di ogni donna, a valorizzarne il mistero, a umanizzare il mondo rendendolo più accogliente nell’irripetibilità di ciascuno e nella reciprocità delle relazioni di vita e d’amore, che fanno la storia di tutti.

È questo gioco di visibile concretezza e d’invisibile profondità, che fa parlare di Maria come di un’icona del Mistero: in lei si offre il duplice movimento, che ogni icona tende a trasmettere, la discesa e l’ascesa, l’antropologia di Dio e la teologia dell’uomo. In lei risplende l’elezione dell’Eterno e il libero consenso della fede in Lui. C

ome «l’icona è la visione delle cose che non si vedono» (P. Evdokimov), così la Vergine è, allo sguardo della fede, l’«arca dell’alleanza», coperta dall’ombra dello Spirito, la dimora santa del Verbo della vita tra noi, la Madre cui rivolgersi con fiducia perché ci accompagni al Figlio. E come l’icona ha bisogno del colore e della forma per rendere presente il mistero che annuncia, così la Madre del Signore veicola il dono, che in lei si è reso presente, nella concretezza dei suoi tratti di donna libera e credente, nella sua corporeità destinata a vincere la morte, nel suo essere capace di speranza fino alla fine, oltre la fine.

Assunta in cielo nell’integralità del suo essere umano, la Vergine Madre testimonia l’infinita dignità di ogni persona, il valore del corpo da custodire e amare, il destino eterno da non obliare. Così la figura di Maria di Nazaret può divenire un singolare incoraggiamento a credere e sperare nel tempo che ci è dato di vivere, dove proprio la speranza appare dono prezioso e forza necessaria di trasformazione del presente.

Ci aiuta a comprenderlo il Poeta, con versi che – come sta mostrando in maniera singolare ai nostri giorni Roberto Benigni – riescono a parlare a tutti, credenti e non credenti, illuminando di luce e di bellezza la vita delle donne e degli uomini di ogni tempo: “Vergine Madre, figlia del tuo Figlio, / umile e alta più che creatura, / termine fisso, d’eterno consiglio, / tu se’ colei che l’umana natura, / nobilitasti sì, che ’l suo fattore / non disdegnò di farsi sua fattura. / Nel ventre tuo si raccese l’amore, / per lo cui caldo nell’eterna pace / così è germinato questo fiore. / Qui se’ a noi meridïana face / di caritate, e giuso, intra mortali, / se’ di speranza fontana vivace. / Donna, se’ tanto grande e tanto vali, / che qual vuol grazia, e a te non ricorre, / sua disianza vuol volar sanz’ ali. / La tua benignità non pur soccorre / a chi domanda, ma molte fïate / liberamente al dimandar precorre. / In te misericordia, in te pietate, / in te magnificenza, in te s’aduna / quantunque in creatura è di bontate” (Dante Alighieri, Paradiso, Canto XXXIII, 1-21). 

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ZENIT Staff

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