Famiglia: un'educazione vincente in un ambiente antireligioso

Un’intervista con la baronessa Michaela von Heereman, consultore del Pontificio Consiglio per la Famiglia, madre di sei figli e tra gli autori del Youcat

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di Jan Bentz

ROMA, giovedì, 7 giugno 2012 (ZENIT.org) – La famiglia è stata in questo fine settimana al centro dell’attenzione, non solo a Milano ma anche a Ratisbona (Regensburg), dove si è svolta l’iniziativa per le famiglie “Move 2012”. Nell’occasione, ZENIT ha intervistato la baronessa Michaela von Heereman su importanti temi come la trasmissione della fede e l’educazione religiosa nella famiglia e al di fuori delle mura domestiche, e la questione delle materie scolastiche in conflitto con la fede.

La baronessa von Heereman è teologa, scrittrice e consultore del Pontificio Consiglio per la Famiglia. Impegnata nel volontariato, ha inoltre collaborato alla stesura del catechismo per i giovani – Youcat – ed è madre di sei figli. Una vera esperta dunque in materia di famiglia….

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In Paesi come la Germania, la famiglia detta “tradizionale” è sempre meno considerata come luogo primario di educazione. Sembra sempre più difficile trasmettere la fede alle giovani generazioni, anche in famiglia. Perché tutto questo?

Baronessa von Heereman: Non solo sembra ma è proprio così e per una ragione molto semplice: se c’è una cosa che temono i bambini e i giovani è di essere un outsider. Se provengono da famiglie praticanti sono di norma doppiamente outsider. Lo sono in primo luogo nella propria parrocchia, dove sono nella minoranza e dove la programmazione normale è piuttosto raramente tagliata su misura per la loro età. Lo sono poi a scuola e nel cerchio degli amici. Quando mezzo secolo fa un giovane non andava in chiesa, doveva giustificarsi. La sua famiglia, l’intero vicinato si preoccupava. Oggi è esattamente il contrario: se un giovane va regolarmente in chiesa la domenica, è una vera eccezione, ed è tenuto a giustificarsi, almeno nei confronti dei suoi amici. I genitori, quindi, devono educare i figli in un contesto fortemente areligioso.

Quando si sostiene che è scientificamente dimostrato che il mondo è nato dal caso e che l’uomo è dunque il mero prodotto di processi puramente biologici, allora Dio non è più presente nella mente delle persone. E quando poi nelle società industrializzate del mondo occidentale le persone possono assicurarsi contro i rischi di ogni genere, allora è piuttosto facile rimuovere il più a lungo possibile le domande sul senso della vita, le domande “da dove?”, “verso dove?” e “perché?”.

Di conseguenza un cristianesimo fatto puramente di tradizioni, oggi, non ha più sufficiente forza persuasiva. Solo un rapporto personale con Dio ha un effetto contagioso! Dunque i genitori religiosi devono – per modo di dire – uscire dalla clandestinità. Devono sempre di nuovo raccontare ai loro figli cosa hanno vissuto con Dio, e perché sono cristiani gioiosi e convinti. Devono affrontare le discussioni, parlare di Dio e delle grandi opere che ha fatto per noi e non sperare che le scuole e le comunità trasmettino la necessaria conoscenza della fede. In materia di fede cristiana genitori – e anche insegnanti – non possono presupporre più nulla, devono proporre tutto, tutto va spiegato.

Da quali presupposti i genitori dovrebbero iniziare la trasmissione della fede ai figli?

Baronessa von Heereman: In primo luogo che i bambini imparino a vivere, conoscere e capire la fede dei loro genitori, vale a dire la loro fiducia in Dio, la loro gioia di poter essere cristiani. Celebrare insieme l’anno liturgico offre un’opportunità naturale per raccontare le grandi opere di Dio e celebrarle. Ad esempio mediante la preghiera della buona notte stando seduto sulla sponda del lettino del bambino. Oppure nei periodi di Avvento, Natale, Quaresima, Pasqua, o prima della Pentecoste ecc., si prende come spunto per la preghiera il messaggio in questione.

A Natale, inoltre, ci si può “meravigliare” insieme ai bambini sul fatto che questo grande Dio si è fatto piccolo come il fratellino appena nato solo per essere vicini a noi, per condividere tutto con noi e per farsi conoscere a noi, allora si intrecciano il contenuto della fede e l’esperienza quotidiana del bambino, diventando premessa per vivere la fede come qualcosa di rilevante per se stesso e non come una dottrina astratta.

Vivere l’anno liturgico con l’aiuto di usanze e tradizione ben fondate (il digiuno di dolcetti, di televisione ecc.) non solo è una forma naturale di catechesi, ma anche un modo – adatto all’età – per esercitarsi nella sequela di Cristo, affinchè i bambini sperimentino la fede come rilevante per la vita quotidiana e formativa.

Partendo dalla sua esperienza, quanto è importante l’educazione religiosa fuori dalle mura domestiche, così come la vita parrocchiale, il vivere la liturgia e le catechesi?

Baronessa von Heereman: Proprio come i genitori mandano i bambini dal sesto anno a scuola, perché è importante per loro imparare a leggere, scrivere e calcolare, così i cristiani devono regolarmente portare i figli con loro a chiesa affinché conoscano la parola di Dio ed imparino a credere e celebrare la sua presenza.

Purtroppo, nella maggioranza delle comunità i bambini e soprattutto i giovani si sentono una minuscola minoranza. Per questo nella maggior parte dei casi la partecipazione alla comunità locale non basta. I genitori dovrebbero sin dall’inizio, e poi più tardi nella pubertà, cercare per i loro figli offerte spirituali come ad esempio i nuovi movimenti ecclesiali, dove è possibile vivere insieme a molte altre famiglie la Pasqua o la Pentecoste, o anche campeggi estivi religiosi per giovani che sono molto utili, perché permettono di giocare tra coetanei, fare sport, ma anche ascoltare catechesi adatte alla loro età, riflettore sulla fede ed imparare a pregare. Youcat è nato d’altronde da due campi estivi.

Qual è l’impatto sulla famiglia dell’educazione negli asili nidi diurni promossi in modo massiccio dal governo? I bambini imparano lì a socializzare? Quali sono le implicazioni di questa tendenza sul compito delle madri e sull’educazione religiosa impartita da loro?

Baronessa von Heereman: Vedo il generalizzarsi a livello nazionale degli asili nidi per i più piccoli con un occhio molto critico. Abbiamo bisogno di asili nidi, non solo perché in molte famiglie entrambi i genitori devono lavorare per poter campare – questo è soprattutto il caso delle famiglie monoparentali – ma anche per offrire protezione e sostegno ai bambini trascurati o persino tralasciati.

Tuttavia ritenere gli asili nidi un’istituzione educativa fondamentalmente superiore all’educazione familiare è semplicemente sciocco ed ideologicamente motivato. Neonati e bambini piccoli hanno bisogno della vicinanza e dell’amore delle loro più importanti persone di riferimento. Una separazione quotidiana per varie ore è uno stress per i bambini. Le ansie da separazione che ne derivano non promuovono la crescita emotiva né cognitiva dei bambini, ma la ostacolano.

In bambini sensibili tutto questo può a lungo termine anche portare a gravi problemi psichici, come hanno comprovato molti studi. Gli Asili nidi sono quindi soluzioni di emergenza, niente di più, niente di meno! Chi ci riesce dovrebbe concedere ai suoi figli – e a se stessi – nei primi due o tre anni un sostegno familiare: una reciproca gioia e una crescente fiducia nelle proprie capacità sono, infatti, i frutti per entrambe le parti.

L’educazione religiosa richiede un legame fiducioso tra genitori, figli, tempo, pace e serenità, un ritmo quotidiano fidato e rituali costanti e di tanto in tanto una fantasia creativa. Esistono dei veri e propri artisti dell’organizzazione dai nervi di ferro, che ci riescono, anche con il doppio onere di lavoro e famiglia sulle spalle. Anche se non proprio necessario, madri – e se possibile anche padri – dovrebbero dedicare più tempo a se stessi e ai figli. Proprio l’educazione religiosa ne trarrà beneficio. So
lo chi ha ancora nervi saldi, chi dopo una lunga giornata ha ancora soffio ed energia, leggerà la sera qualcosa a suo figlio, o canterà e poi pregherà con lui. Tali “orgie serali”, come lo chiamavano i nostri figli un po’ più adulti, sono la prima pietra della fiducia religiosa di base, che normalmente può porre solo la famiglia.

Come devono comportarsi i genitori quando a scuola temi come l’educazione sessuale, l’omosessualità e l’eutanasia vengono trattati in modo da contraddiconre la fede?

Baronessa von Heereman: A seconda della Regione, c’è la possibilità per i genitori di partecipare attraverso i media o le associazioni dopo-scuola alla decisione sull’educazione sessuale. Questo i genitori dovrebbero assolutamente sfruttarlo o esigerlo, cioè al primo incontro dei genitori dell’anno scolastico chiedere se, quando e quali temi dell’educazione sessuale fanno parte del programma di studi.

Già mostrare questo interesse può spingere gli insegnanti a sintonizzarsi con i genitori o esprimersi con maggiore cautela. La cosa più importante è però il dialogo con i propri figli. I genitori dovrebbero essere sempre un passo in avanti sulla formazione scolastica, in modo che i bambini sanno come la pensano i loro genitori quando se ne parla a scuola. E se noi genitori riusciamo a spiegare la sessualità umana come un grande e meraviglioso dono di Dio che ci permette di amare, di gioire anche fisicamente l’un l’altro e di mettere al mondo qualcosa di molto prezioso come “Tu, mio bambino”, allora i figli sono ampiamente protetti da espressioni puramente biologico-edonistiche.

L’alfa ed omega dell’educazione religiosa da parte dei genitori è dare testimonianza delle proprie esperienze di fede e della gioia, senza schivare alcun argomento. Qualsiasi tema che i bambini presentano a tavola, mai rispondere con un silenzio! Bisogna sempre dare una risposta, anche se è: “Non lo so”, perché andare insieme alla ricerca di risposte è un cammino meraviglioso per crescere insieme nella fede.

[Traduzione dal tedesco a cura di Paul De Maeyer]

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ZENIT Staff

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