Famiglia e sviluppo nell'ambito del dialogo ebraico-cristiano

Crisi economica e crisi demografica: due facce della stessa medaglia

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di Valerio De Luca,
Presidente dell’Accademia Internazionale per lo Sviluppo Economico e Sociale (AISES)

ROMA, giovedì, 19 gennaio 2012 (ZENIT.org).- Ogni anno l’incontro tra ebrei e cristiani avviene sui “dieci comandamenti”, sul decalogo che rappresenta, stando al pensiero di Benedetto XVI, un “grande codice” etico per tutta l’umanità”.

Proprio lo scorso anno questo dialogo è stato dedicato al quinto comandamento, che secondo il conteggio tradizionale ebraico, recita “Onora tuo padre e tua madre” laddove onorare, significa letteralmente «dare il peso dovuto», sia al padre che alla madre.

Sul piano teologico, il rapporto uomo-donna e la relazione genitori-figli si collegano inscindibilmente alla relazione originaria con Dio, laddove si dice che “in principio Dio creò l’uomo e la donna, a sua immagine e somiglianza”: la stretta connessione tra il “donare la vita”, che ha luogo nella famiglia e il “dare la vita”, che avviene nella creazione divina del mondo, testimoniano come i genitori proseguano l’opera creatrice di Dio.

La famiglia naturale, termine utilizzato anche dalla nostra costituzione, ha una precisa grammatica antropologica ed una funzione di servizio e di apertura alla vita, in cui la complementarietà tra uomo e donna sprigiona una energia relazionale, capace di generare una nuova vita e diffondersi nell’intera comunità di popoli e nazioni.

In altre parole, la famiglia è fonte di umanità, perchè è il “luogo del biòs” dove la vita viene generata e accolta in un contesto che non è solo amore, gratuità e solidarietà reciproca, ma è anche il luogo dove la persona sin dall’inizio si forma negli affetti, nelle responsabilità, nell’apprezzamento della vita e nell’accoglienza degli altri; apprende dalla solidarietà tra generazioni la trasmissione di valori e le esperienze di un cammino condiviso; matura nel rispetto delle regole, educandosi alla giustizia, alla pace e alla reciproca comprensione, che consentono di costruire una società dal volto umano, più coesa e solidale.

Per tale ragione, l’economia e la politica devono proteggere e garantire questa cellula originaria, e per il suo tramite la difesa della vita e la dignità della persona umana. Ricordo che la parola “economia”: oikia e nomos significa “legge della casa”, che è la legge del dono reciproco e della gratuità.

Nell’Enciclica Caritas in veritate Benedetto XVI ha sottolineato come il modello familiare della logica dell’amore, della gratuità e del dono vada esteso anche all’economia : «Il mercato della gratuità non esiste e non si possono disporre per legge atteggiamenti gratuiti. Eppure sia il mercato sia la politica hanno bisogno di persone aperte al dono reciproco» (n. 39).

In una prospettiva sussidiaria e poliarchica della società civile, la famiglia svolge un ruolo decisivo come soggetto autonomo e generatore di grandi “esternalità positive” e di “beni comuni”, come lo sono i figli e le nuove generazioni, di cui beneficia l’intera società, ma anche la politica per le importanti funzioni sociali che nè Stato, né mercato possono fornire in modo equivalente.

In questo quadro, la famiglia e i suoi valori diventano il vero motore per una durevole crescita economica dal “volto umano”, che ha per oggetto “tutto l’uomo” e la società nel suo complesso, perché presuppone lo sviluppo integrale della persona, di popoli e nazioni, e cioè dell’intera famiglia umana.

Di fronte alla crisi morale ed economica che investe e disgrega la famiglia: qual è il “peso dovuto”, che oggi noi tributiamo al padre e alla madre, e cioè al rapporto uomo-donna e alla relazione genitori-figli? E’ la famiglia ancora il luogo dove avviene la creazione della vita? In altre parole, “dov’è” la famiglia e qual è il suo senso più autentico?

Assistiamo, oggi, ad una profonda crisi dell’economia reale, che colpisce soprattutto le famiglie, acuendo i conflitti di coppia e quelli inter-generazionali, e i giovani, il cui desiderio di guardare al futuro è minato dalla difficoltà di trovare un lavoro stabile e di formarsi una famiglia, e quindi di partecipare e contribuire effettivamente al progresso etico, civile ed economico del nostro Paese.

Senza figli, infatti, aumenta l’invecchiamento della popolazione e aumentano quindi i costi fissi del Welfare, determinando non solo un aumento della tassazione, ma soprattutto uno spostamento degli ammortizzatori sociali dalle famiglie verso le pensioni e il mercato del lavoro.

Questo “suicidio demografico”, per usare l’espressione del Card. Bagnasco, ha delle ragioni più profonde di quelle economiche e tecniche, che affondano le loro radici nella povertà morale e culturale, prodotta dalla deriva nichilista del nostro tempo e dall’individualismo che stanno decostruendo il senso stesso dell’umano ed il fondamento dello sviluppo economico e sociale che lo sostiene.

La “questione antropologica” diventa a pieno titolo “questione sociale”, come afferma il Santo Padre.

Se l’uomo viene considerato solo come un fenomeno naturale accanto ad altri fenomeni naturali, come frutto del caso e della selezione naturale allora non si può parlare per esso di sviluppo. Se non c’è la persona che è l’unica in grado di indicare dei fini da raggiungere, non solo non c’è vera crescita né sviluppo, ma saranno gli strumenti a prendere il sopravvento e a dominare l’uomo ed i suoi fini.

L’aborto, la fecondazione in vitro, la sterilizzazione in massa di donne dei paesi poveri, la persistente ideologia malthusiana, sono tutte forme e strumenti di negazione della vita, di povertà morale e spirituale, che trasformano l’uomo in un “prodotto”, in un “esperimento di se stesso”, che diffondono nella società valori cinici ed una volontà di dominio dell’uomo sull’uomo, guidata dalla potenza senza più limiti della tecnica.

Di fronte alle nuove frontiere della biotecnologia in che modo si ristrutturerà il modello familiare attraverso l’utilizzo distorto di strumenti che separano la sessualità dalla procreazione? Qual è il “nuovo uomo” e il progetto di società “seriale” che sarà alla base del futuro sviluppo economico e sociale?

Non è la tecnica a dover essere cambiata, ma è l’uomo che deve essere rinnovato e questo cambiamento può avvenire solo nella famiglia “naturale” che deve tornare al centro, perché rappresenta “la culla di un autentico nuovo umanesimo europeo”, radicato nei valori della tradizione giudaico-cristiana e aperto alla speranza di una società migliore, più umana e più giusta, dove investire le energie più capaci e virtuose per rilanciare una crescita sostenibile e di lungo periodo, in Italia, in Europa e nel mondo.

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ZENIT Staff

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