"Fame zero": il ritorno alla terra non è utopia

L’Arcivescovo di Chieti-Vasto si sofferma nell’editoriale pubblicato oggi su “Il Sole 24 Ore” sulla sfida del “Family Farming”

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Si avvicina al termine il 2014, che le Nazioni Unite hanno dichiarato “International Year of Family Farming”, “Anno Internazionale dell’Agricoltura Familiare“, con lo scopo di sollecitare l’attenzione mondiale sull’enorme contributo offerto dagli agricoltori alla lotta alla fame ed alla preservazione delle risorse naturali. Si calcola che sul pianeta vi siano oltre 500 milioni di aziende agricole a conduzione familiare, in grado di produrre cibo per miliardi di esseri umani. In non pochi paesi queste agenzie produttive coprono da sole le percentuali più alte del fabbisogno alimentare. Il Direttore Generale della FAO, José Graziano da Silva, ha affermato in proposito: “Con la decisione di celebrare quest’anno abbiamo voluto riconoscere il ruolo centrale dell’agricoltura familiare nel fare fronte alla doppia emergenza che il mondo si trova oggi ad affrontare: migliorare la sicurezza alimentare e preservare le risorse naturali, in linea con gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, il dibattito sull’agenda post-2015 e la Sfida Fame Zero”. Da parte mia, confesso di non aver prestato particolare attenzione a questa sollecitazione, pur essendo vescovo di una diocesi estesa che, accanto a sviluppate aree industriali, presenta ampie zone di coltivazioni agricole, con punte di eccellenza nella produzione di olio e di vino, di frutta e ortaggi. A richiamare la mia attenzione sull’importanza dell’agricoltura familiare sono stati da una parte gli operatori di questo settore presenti sul territorio della mia diocesi, dall’altra la lettura di un libro, a metà fra saggio e romanzo, intitolato “Questa nostra buona terra” (Edizioni Magma – Fondazione Mediterraneo), scritto da Maria Pia Giudici, una religiosa salesiana che ha dato vita presso Subiaco ad un’oasi di spiritualità, dove si coniuga l’amore alla Bibbia al rapporto intenso con la natura e la bellezza del creato. Tre aspetti mi hanno colpito nell’appassionato appello a tornare alla terra che vi ho trovato.

Il primo è la ricaduta economica e politica della produzione alimentare assicurata dall’agricoltura familiare: in una comunità internazionale che resta ancora lontana dall’obiettivo – condiviso a parole da tutti i grandi della terra – della “fame zero”, un’attenzione adeguata alla modernizzazione dei sistemi di produzione agricola, coniugata a opportuni sostegni legislativi a favore di chi sceglie di operare in questo campo, potrebbe segnare la svolta necessaria a raggiungere quozienti di prodotto alimentare vantaggiosi per tutti. Lo stesso Direttore della FAO ha affermato: “Dobbiamo rimettere l’agricoltura familiare al centro dei programmi di sviluppo nazionali e regionali… Questo significa offrire assistenza tecnica e politiche in supporto della produttività delle aziende agricole a conduzione familiare; mettere alla loro portata di mano tecnologie appropriate; migliorare il loro accesso alla terra, alle risorse idriche, al credito e ai mercati; creare un ambiente favorevole per ulteriori investimenti”. Le motivazioni di quest’appello non risiedono soltanto nel vantaggio in termini di soddisfacimento dei bisogni, che l’agricoltura familiare comporta, ma anche nel valore aggiunto che essa offre di raggiungere lo scopo dell’equa e necessaria distribuzione del nutrimento nel rispetto dell’ambiente e dei suoi ritmi naturali di sviluppo.

Emerge qui il secondo aspetto dell’importanza di un “ritorno alla terra”: la sua sostenibilità in termini ecologici. Nel “villaggio globale”, in cui il mantenimento di parametri salutari per l’ecosistema, rispettosi delle identità ambientali, viene giustamente avvertito come urgenza prioritaria, il ritorno al lavoro della terra in proporzioni significative è tutt’altro che secondario. L’agricoltura familiare, insomma, va promossa e incoraggiata non solo per la sua capacità di dare risposta ai bisogni, ma anche perché rappresenta un tipo di attività produttiva capace di corrispondere adeguatamente alle esigenze della tutela ambientale. Ricorrere in maniera propositiva e ben articolata alla “buona terra”, per ottenerne i frutti necessari al fabbisogno alimentare degli esseri umani, significa contribuire a conservare “buona” la terra e a promuoverla nelle caratteristiche che la rendono ambiente fecondo per la qualità della vita di tutti. Ha affermato ancora il Direttore Generale della FAO: “L’agricoltura familiare è ciò che più si avvicina al paradigma della produzione alimentare sostenibile. Gli agricoltori familiari si occupano generalmente di attività agricole non specializzate e diversificate che conferiscono loro un ruolo centrale per la sostenibilità ambientale e la conservazione della biodiversità”.

Accanto all’aspetto economico-sociale e a quello ecologico-ambientale, c’è infine un profilo spirituale e morale da evidenziare: l’agricoltura familiare si basa sull’importanza fondamentale del potenziale umano dei suoi protagonisti e delle loro relazioni vitali. Lavorare la terra esige collaborazione e condivisione, nella partecipazione equa agli utili della produzione: lungi da ogni massificazione anonima, la conduzione familiare delle aziende agricole favorisce una ricca personalizzazione dei rapporti e l’elaborazione di strategie relazionali, che vanno dalle formule cooperative a quelle del coinvolgimento di tutte le componenti del nucleo familiare, nella diversità delle età e delle potenzialità disponibili. A sua volta, l’aspetto morale del “ritorno alla terra” è reso dal libro della Giudici nella forma di una denuncia e di una proposta. La denuncia può essere espressa con le parole di papa Francesco nell’Esortazione Apostolica “Evangelii Gaudium”: “Mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice… In questo sistema, che tende a fagocitare tutto al fine di accrescere i benefici, qualunque cosa che sia fragile, come l’ambiente, rimane indifesa rispetto agli interessi del mercato divinizzato, trasformati in regola assoluta” (n. 56). La proposta va in una direzione che può apparire utopica, e di cui però il “ritorno alla terra” potrebbe costituire una concreta forma di attuazione: rimettere al centro la persona del lavoratore e il suo diritto a rapportarsi da protagonista al prodotto del proprio lavoro, per riceverne i benefici corrispondenti e assumersi le responsabilità connesse in vista della propria realizzazione, inseparabile dalla relazione feconda con gli altri, da quella rispettosa all’ambiente e dalla promozione del bene comune. Perché, come scrive Sr. Maria Pia Giudici, la terra, “se curata a dovere, non solo preserva il pianeta dalla sua distruzione, ma riaccende nell’uomo d’oggi il gusto della vita, con la ricchezza delle relazioni umane, dell’amicizia, dell’aiuto scambievole, di antichi e sempre nuovi interessi, di famiglie nuove dove l’amore è fedele, alimentato da un Dio fedele all’uomo” (101s).

Fonte: “Il Sole 24 Ore”, domenica 12 ottobre 2014, pp. 1 e 18.

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Bruno Forte

Arcivescovo di Chieti-Vasto

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