"Facilitare la ri-costruzione del senso pieno e vero dell'essere unico e irripetibile"

Saluto del Rettore della PUL al Congresso “L’ora delle cure. Vivere l’inguaribile”

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Riprendiamo il testo del saluto pronunciato ieri, giovedì 14 novembre, dal Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense, monsignor Enrico dal Covolo, al CongressoL’ora delle cure. Vivere l’inguaribile”.

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Autorità,

Cari Colleghi,

Amici e Ospiti tutti,

Vi porgo anzitutto il mio benvenuto cordiale in questa solenne Aula Magna dell’Università Lateranense, che proprio ieri ha visto l’inaugurazione del nuovo anno accademico, e il prossimo 21 novembre accoglierà il Presidente della Repubblica Italiana, per la prima volta in visita ufficiale a questa Università.

Vorrei portare un piccolo contributo all’importante Congresso che ho l’onore di ospitare.

Oggi è già faticoso stabilire delle relazioni profonde, per la mancanza di tempo o perché ci si accontenta di rapporti virtuali.  Mettersi accanto empaticamente a chi soffre per una malattia, richiede l’uscire da sé per aprirsi a un tu, per riconoscere la persona che ci sta davanti.

Aiutare a “vivere l’inguaribile”, andare oltre le cure mediche significa mettere al centro la relazione con la persona, che vive il dramma di un male incurabile.

È un dato di fatto che quando la persona, durante il suo sviluppo, si confronta con situazioni di sofferenza e con le proprie limitazioni fisiche e psichiche e sperimenta la sua vulnerabilità, mette  in discussione la propria coerenza e stabilità psichica: perde allora la capacità di stare a contatto con il proprio mondo interno (le emozioni, le relazioni affettive, le risorse personali) e  con i dati reali del mondo esterno, rimanendo così bloccata, talvolta, dall’esperienza di fragilità.

Prendersi cura di un paziente “inguaribile” comporta considerare quel paziente anzitutto come “persona”,  con il suo “essere in relazione”, che ha valore – proprio come persona – nella sua irripetibilità e unicità. Questo implica la capacità di mantenere una relazione paritaria con la persona ammalata, senza cadere nell’errore o nel pregiudizio di identificarla con la sua malattia.

Il disagio vissuto nei diversi stadi di sofferenza della persona, che vive una malattia inguaribile, è ampiamente descritto e analizzato dalle discipline psicologiche: la percezione di non potere più fare le attività svolte in precedenza, il senso di impotenza, il mancato interesse per le cose che prima risultavano gradevoli, la paura di dipendere e la paura di morire, il ritirarsi in se stessi nella chiusura introspettiva sulle domande circa il senso della propria vita. Questa condizione è accompagnata sempre da un processo di negazione di parti vitali del proprio sé e del proprio mondo interno, e si esprime abitualmente in relazioni conflittuali con il mondo esterno.

Come rendere attuale la carità cristiana nella relazione umana e professionale con la persona che vive queste sofferenze? Occorre guidarla a fare memoria della sua totalità di persona, nel qui e ora (difficile) della sua esistenza: facilitare la ri-costruzione del senso pieno e vero del suo essere unico e irripetibile, nella relazione con coloro che si occupano dell’assistenza.

E’ utile e opportuno che gli operatori nella relazione di aiuto si chiedano: “E’ possibile per me aiutare una persona a mantenere o a ritrovare il senso della sua vita, se non alimento in me la consapevolezza del mio senso della vita?”. E ancora: “Come si può essere di supporto e guidare la persona con un male inguaribile a porsi le domande ultime della persona umana, se queste domande non me le pongo io in prima persona?”.

L’ascolto empatico nella relazione di aiuto in questi casi necessita dell’accettazione paritaria di sé e dell’altro da parte di chi intende instaurare la relazione di cura.

Empatizzare con la sofferenza dell’altro non può solo basarsi sul “sentire l’altro” emozionalmente, comprenderne le limitazioni e il disagio, mettendosi nei suoi panni. Essere in relazione empatica, tenendo conto della totalità della persona che soffre, significa riconoscerle le robuste profondità delle sue risorse psico-esistenziali; questo stimola la persona, che vive il dolore di un male inguaribile, a autoaccettarsi e autocurarsi, ritrovandosi nella relazione di cura, che la guida a ri-conoscere e ritrovare il senso della vita, che progressivamente  si amplia  in una relazione verticale psico-spirituale.

Con tutto questo vi ho detto solo – spero in buon modo – ciò che già sapevate per conto vostro. Vi auguro un ottimo lavoro nelle giornate che vi stanno davanti.

+ Enrico dal Covolo

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Enrico dal Covolo

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