Evangelizzatrici silenziose nel cuore di Napoli

Viaggio nel monastero delle Adoratrici del Santissimo Sacramento, accompagnate da suor Chiara Benedetta, la più giovane tra queste suore che pregano 24 ore su 24 davanti al Corpo di Cristo

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Nel cuore di Napoli, a pochi passi dalla Cattedrale dove Papa Francesco incontra il clero, tra i rumori del traffico, le sirene della ambulanze e le gridate della gente, esiste un luogo di silenzio e di preghiera, dove il tempo sembra fermarsi e il ritmo frenetico rallentare. È un antico monastero dove il Corpo di Cristo è esposto 24 ore al giorno, sette giorni su sette, per 365 giorni all’anno. È il monastero delle Adoratrici Perpetue del Santissimo Sacramento. Noi di ZENIT siamo entrati in quest’oasi di spiritualità, accompagnati da Suor Chiara Benedetta, che vive nel convento da circa dieci anni. Questa giovanissima suora del sud Italia ci ha raccontato il carisma della adorazione che le suore svolgono, a turni, tutto il giorno, ma anche la sua vocazione nata quando era quasi una bambina fino al suo “Sì” al Signore per la clausura. “La nostra missione è pregare, sempre, perché la preghiera ha un grande effetto”, ci racconta. E Napoli è una città che necessita di preghiere, segnata dalla criminalità organizzata e dal traffico di droga. Suor Chiara e le sue consorelle vivono nel centro della città, ma come in una realtà distinta, pregando ogni giorno, quando ricevono brutte notizie ma anche belle, o per le intenzioni dei fedeli. E lo fanno incessantemente perché è ciò che Dio ha chiesto alla loro fondatrice. E perché, appunto, la preghiera è efficace. Lo hanno visto in tante occasioni.

***

Suor Chiara come è giunto il vostro ordine qui, nel cuore di Napoli?

Il nostro ordine è nato nel 1807. La fondatrice era italiana, la beata madre maria Maddalena della Incarnazione, francescana a 18 anni, a cui il Signore diede l’ispirazione di dar vita a un ordine dedicato completamente all’adorazione del Santissimo Sacramento. In una visione, la beata vide degli angeli vestiti di bianco e di rosso, che è il colore dei nostri abiti. All’epoca lei era novizia, ma il Signore l’aiutò poi nel suo cammino vocazionale e nella fondazione dell’ordine, che nacque quindi agli inizi dell’ottocento. Tra le prime due sue compagne c’era madre Giuseppa dei Sacri Cuori, la fondatrice di questo monastero di Napoli. Di madre Giuseppa la Chiesa sta portando avanti adesso la causa di beatificazione… Speriamo che arrivi presto, abbiamo tutte le ‘carte’ pronte! Tornando alla storia, madre Maddalena fondò il primo monastero a Roma, e, dopo numerose difficoltà – era l’epoca napoleonica in cui tantissimi monasteri venivano chiusi – morì nel 1824. Quindi, madre Giuseppe fu nominata superiora; viene considerata per questo la co-fondatrice. Anche se, in realtà, fu lei a scrivere la Costituzione e le regole dell’ordine dettate da madre Maddalena, impossibilitata da un problema fisico. Nel 1828, poi, donna Cardenas, contessa di una località vicino Napoli, lasciò in eredità alle monache una casa per aprire un monastero in città. Passò un po’ di tempo prima che venisse rispettato il suo testamento, però poi il monastero si aprì. Ed eccoci qua…

Il vostro carisma, diceva, è quello dell’adorazione eucaristica perpetua. Come lo vivete?

Per noi l’adorazione non è un’attività tra le altre. Ogni giorno abbiamo l’adorazione in orari differenti, facendo turni 24 ore al giorno. Quando usciamo dalla Messa vediamo in che orario la madre superiora ha collocato ognuno di noi. In questo modo, quell’ora di adorazione diventa il centro della giornata: ruota, cioè, tutto intorno a questo momento di intimità con il Signore, di dialogo con il mio Sposo. Inoltre, il carisma dell’adorazione che Dio ha chiesto alla nostra fondatrice ha un aspetto di riparazione. La visione di madre Maddalena avvenne lo stesso anno in cui scoppiò la rivoluzione francese, nel 1789, ma qualche mese prima. E mi piace pensare che il Signore stava già preparando il terreno perché nella Chiesa ci fossero delle anime che Lo amassero completamente, che vivessero in solitudine con Lui e Gli dessero quell’amore che gli altri non davano. Perché riparazione non significa “io soffro, devo per forza soffrire perché un altro fa e allora mi mortifico”. Non è questo il senso! Ma dare al Signore quell’amore che gli altri non danno. Noi, poi, nello specifico, riprendiamo degli aspetti della vita di Gesù, che fu il primo adoratore. La nostra adorazione si divide perciò in quattro momenti di 15 minuti l’uno per un’ora: lode, riparazione, intercessione e ringraziamento. Sono aspetti presenti nella vita di Cristo. Quindi l’adoratrice adora Gesù che loda, ripara, intercede e rende grazie.

E questa adorazione è aperta al pubblico? Voi siete un monastero di clausura, c’è un modo per far vivere agli altri questo vostro carisma?

Si, la Chiesa resta aperta durante il giorno con il Santissimo Sacramento esposto in modo solenne. Secondo ispirazione della fondatrice, i nostri conventi devono stare sempre nel centro della città, in modo che la gente, presa sempre dal ritmo frenetico della vita, possa trovare un posto per fermarsi e riposarsi con Dio. Da un anno abbiamo avviato poi una iniziativa a cui la gente ha risposto molto bene, ovvero un’adorazione eucaristica comunitaria, in Chiesa, a cui prendono parte tutte le sorelle accompagnate dai fedeli. Quindi animiamo l’adorazione con canti e preghiere che la gente conosce in modo da coinvolgerli. Abbiamo avuto questa idea specificatamente per la città di Napoli e abbiamo visto che la gente è rimasta contenta e hanno trascinato tanti altri. Abbiamo conosciuto molte persone che si sono avvicinate e ci hanno chiesto di pregare per loro o per i loro cari. Quindi, pur essendo di clausura, separate dal mondo da una grata in Chiesa, siamo vicine ai fedeli in questa comunione data dalla preghiera.

Il monastero sorge al centro di Napoli, una città dove le sofferenze e le difficoltà sono palpabili. Siete quindi un po’ una luce nel buio generale…

Con la preghiera cerchiamo di fare quello che possiamo. Sappiamo che Napoli è una città con tanti problemi, il cappellano del carcere di Poggioreale viene spesso qui a celebrare la Messa e ci racconta tante storie di sofferenze, tante situazioni negative… Riceviamo anche tante notizie, tante richieste di preghiere e via dicendo. Siamo quindi informate, eppure è come se vivessimo in una realtà differente. La nostra forma di restare qui si realizza nella preghiera. Il nostro carisma e la nostra missione è di essere “evangelizzatrici silenziose”. Cioè pregare per tutto il male intorno, per le persone sofferenti, perché la preghiera cambia, è efficace! Certo poi manteniamo ad esempio una comunicazione con i detenuti, attraverso delle lettere in cui diamo loro conforto. Ma sappiamo che più di ogni altra cosa ciò che serve a questa gente è la preghiera, perché essa ha un grande effetto. E lo abbiamo visto tante volte.

Napoli vivrà oggi un giorno speciale: la visita del Papa. Voi lo incontrerete in Cattedrale per l’appuntamento con il clero e i religiosi. Come vi siete preparate a questo evento?

Siamo molto contente perché nella precedente visita di Benedetto XVI non abbiamo avuto l’opportunità di stare così vicine al Santo Padre.Inoltre è un motivo di grande gioia il fatto che questo incontro avvenga proprio nell’Anno della Vita Consacrata. È dunque un evento eccezionale. Noi, infatti, usciamo dal monastero solo per motivi di emergenza, ma mai comunque tutta l’intera comunità. La nostra presenza è quindi un modo soprattutto per ringraziare il Pontefice di aver dedicato un anno a noi consacrati. Poi lo vogliamo salutare come nostro pastore; speriamo quindi che il momento in Cattedrale non sia una festa tra amici ma davvero un incontro del pastore con il suo gregge, di cui conosce le ferite e i doni.

A proposito di doni, lei è giovanissima, quando e come ha scoperto la sua vocazione? Soprattutto quando ha sentito la chiamata a seguire Dio in un luogo come questo?

Io sono nata in una famiglia cristian
a, i miei genitori hanno avvicinato me e i miei fratelli alla Chiesa sin da bambini. Io vengo da una famiglia numerosa e quindi in un certo qual modo ero abituata a vivere “in comunità”. Già da piccola sentivo però che il Signore mi chiedeva qualcosa di più. Ho sempre amato molto la famiglia, penso che sia una delle cose più belle che Dio abbia creato. Ma la chiamata alla vita consacrata è stata qualcosa di più forte. Essa infatti non è un ripiego al “non essersi trovata bene nel mondo”, non è nemmeno un rifugio, così non sarebbe una vocazione… Per me la famiglia è sempre stata importantissima, i miei genitori mi hanno accompagnata in ogni mio passo. E – come raccontavo – sin da piccola vedevo che rispetto ai miei compagni di scuola Dio mi diceva qualcosa di più: avevo la possibilità di vedere le mie difficoltà, le mie crisi adolescenziali, alla luce della Parola, con una Chiesa che mi accoglieva, una famiglia che mi parlava di Dio. Ho cominciato presto a chiedermi cosa volesse il Signore da me.

Ad un incontro vocazionale poi ho sentito in modo molto forte che Dio mi amava, così come ero. Ma questo amore per avere effetto doveva tradursi in una esperienza, non rimanere solo una parola. E quindi ho deciso di affidare a Lui tutta la mia vita. Non sapevo come… Pensavo di partire come missionaria, ma al contempo sapevo che non era ciò che Dio mi chiedeva. In seguito, un sacerdote mi disse che conosceva questo monastero e mi propose di trascorrere qualche settimana qui. Io ho sempre escluso la clausura perché non ero ‘il tipo’: sono sempre stata una pratica, amante dei computer, della tecnologia, mi piaceva giocare a calcio, mettere i pantaloni e le scarpe da ginnastica…

Quindi cosa successe quando arrivò qui?

Venni qui un po’ scettica per una esperienza di tre giorni. Mi aspettavo monache tristi, vestiti grigi, vocazioni aride. E, tra l’altro, avevo molto timore di venire in una città come Napoli. Invece quando arrivai, appena le suore mi aprirono la porta rimasi subito impressionata da quante ragazze giovani ci fossero, con gli abiti bianchi e rossi, così vistosi… E pensai: “Se tutte queste ragazze hanno scelto di stare ‘chiuse’ qui un motivo ci sarà…”. Anche perché le vedevo così allegre, serene, il loro era un sorriso vero, non un sorriso ‘da hostess’. Mi hanno trasmesso anche a me questa allegria e questa libertà che sentii anche in seguito. Mi spaventai molto nel pensare: “Davvero il Signore mi chiama alla clausura?”.

Poi ci fu la prima adorazione notturna che mi toccò nel profondo. Era l’una di notte e pensavo a cosa potesse fare una ragazza della mia età a quell’ora. Io invece stavo lì, davanti al Corpo di Cristo esposto, pregando. Fu come aver preso la cotta per un ragazzo: sentivo che il Signore parlava al mio cuore e che mi voleva qui, in questo monastero. Con ciò non voglio dire che è stato un percorso facile, anche la vocazione stessa è stata difficile da accettare, per me come per la mia famiglia. Però proprio loro mi hanno incoraggiata dicendo: “Se è Sua volontà, Dio ti aprirà le porte”. E così è stato.   

Spero quindi che quello che ho provato io possano sperimentarlo anche altre ragazze, che il Signore chiami anche altre giovani al monastero. Noi monache scherziamo infatti dicendo che siamo le uniche donne che sperano che il loro Sposo “le tradisca” con altre.

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Rocío Lancho García

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