Eutanasia? No, voglio la Vita eterna!

21 novembre, Solennità di Cristo Re dell’Universo

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di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 19 novembre 2010 (ZENIT.org).- “In quel tempo (dopo che ebbero crocifisso Gesù) il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: “Ha salvato altri! Salvi se stesso se è lui il Cristo di Dio, l’eletto”. Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso”. Sopra di lui c’era anche una scritta: “Costui è il re dei Giudei”. Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!”. L’altro invece lo rimproverava dicendo: “Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quel che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male”. E disse: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Gli rispose: “In verità io ti dico: oggi sarai con me nel Paradiso”  (Lc 23,35-43).

Commentando la promessa di Gesù “oggi sarai con me nel Paradiso” (Lc 23,43), un noto biblista spiega:

La parola ‘paradiso’ deriva da un vocabolo di origine persiana che indica un parco regale e lussureggiante. E se lo collochiamo in cielo è perché la sfera celeste è sopra di noi, purissima e invalicabile, e quindi ci sembra adatta a rappresentare il divino e l’infinito.  All’opposto ‘inferno’ è una parola che indica qualcosa di ‘inferiore’, di sotterraneo, collocato appunto all’antipodo del cielo. La Bibbia presenta il destino a cui è chiamato il giusto proprio come il ‘paradiso’ per eccellenza” (G. Ravasi, in “150 Risposte. Questioni di fede”, p.110).

Dopo l’estremo colloquio con Gesù, riferito da Luca, il malfattore buono udì il Signore gridare a gran voce: “Padre, nelle tue mani affido il mio spirito”, e subito dopo lo vide spirare (Lc 23,46).

Vide anche, per tutto il tempo dell’agonia, la Madre di Gesù presso la croce. Anche il malfattore cattivo sentì e vide tutto questo.Uno riconobbe il Signore, lo difese e lo chiamò dolcemente per nome; l’altro non lo riconobbe e bestemmiò il suo nome.

Forse fu proprio Maria ad ottenere al primo la grazia di riconoscere il Figlio di Dio, affidandosi alla sua Misericordia. Non è fuori luogo, infatti, pensare che in quelle ore di martirio presso la croce, Maria abbia pregato anche per i due sventurati compagni di Gesù.

Sì, non era ancora stata composta l’Ave Maria e già veniva esaudita: “prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte”.

Per entrambi, dunque, pregò la Madre, ma uno solo si convertì.

Rivediamo, allora, momento per momento, ciò che accadde sul Golgota dopo la morte di Gesù.

A un certo punto, non saprei dire se con orrore o sollievo, sia il malfattore cattivo che quello buono vedono avvicinarsi il soldato incaricato di spezzare le gambe inchiodate. Lo vedono mettersi in posa per vibrare il colpo micidiale: non sappiamo se furono prima quelle del buono ad essere spezzate o quelle del cattivo. Per entrambi una breve attesa..poi l’urlo di dolore e subito l’asfissia che pone fine al tormento.

Uno fu accolto fra gli angeli,..e l’altro? Verrebbe da dire: scese all’inferno, poiché morì bestemmiando il nome del Salvatore.

In realtà non possiamo concludere nulla sulla sorte eterna di costui, ma l’ipotesi che si sia salvato non è ingiustificata se riflettiamo sulle seguenti parole (anche se si riferiscono ad un caso di suicidio):

Solo Dio, ‘che conosce i cuori e i reni’, come dice la Bibbia, ossia il conscio e l’inconscio più intimo di una persona, può giudicare il segreto ultimo del suicida. Un teologo francese, Roger Troisfontaines, negli anni sessanta nel saggio ‘Je ne meurs pas’ ha pensato che Dio conceda all’uomo, giunto alla frontiera estrema della vita, la possibilità di un’ultima opzione attraverso uno sguardo sintetico e supremo della propria esistenza: ormai la persona è sul crinale tra tempo ed eterno e ha l’istantanea illuminazione che la abilita alla scelta netta e radicale tra  bene e  male, conversione e ostinazione, Dio e orgoglio. E’ proprio con questa speranza che anche la prassi ecclesiale è ora molto rispettosa con i suicidi” (G. Ravasi, id., p, 119-120).  

Se questo è vero, come la speranza cristiana ci inclina a credere, allora “ogni azione o omissione che di natura sua, o nelle intenzioni, procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore” (definizione classica di eutanasia, “dolce morte”), rischia di condannare la persona ammalata all’infinita, intollerabile amarezza della morte eterna.

L’eutanasia, infatti, passiva o attiva che sia, rischia di impedire alla persona ammalata di vivere l’istante più prezioso dell’intera sua vita, quello nel quale la Misericordia divina concede all’umana libertà l’ultima possibilità di riconoscere ed adorare “l’Autore della vita” (At 3,15) e Re dell’Universo, nostro Signore Gesù Cristo.

E’ vero che anche la morte scelta ed inflitta per volontà propria non toglie la possibilità di quest’ultimo istante di ravvedimento, tuttavia la decisione di togliersi o farsi togliere la vita è in sé un atto gravemente peccaminoso capace di oscurare l’ultimo raggio di luce salvifica che giunge dal Paradiso, dal momento che si vuole impedire a Dio di essere Dio, l’Unico che ha il potere sulla vita e sulla morte.

Io credo che se il malfattore buono avesse rivolto la fiducia del suo sguardo a Gesù già morto, ugualmente egli sarebbe stato accolto in Paradiso; ma se il soldato gli avesse spezzato le gambe prima della grazia della sua conversione, gli sarebbe stata tolta la speranza e la dolcezza di sapersi perdonato dal Crocifisso.

* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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ZENIT Staff

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