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Eucarestia e crisi del matrimonio (Prima parte)

La riflessione del cardinale Ennio Antonelli in vista del prossimo Sinodo

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“Ritengo che questo scritto riesca a coniugare e ribadire la preziosa dignità del matrimonio cristiano, come è stato vissuto nella Chiesa cattolica, con la comprensione delle situazioni concrete e complesse che condizionano la responsabilità soggettiva dei coniugi. Quello che emerge è che il tesoro di dignità e di grazia che è stato consegnato alla Chiesa chiede di essere rafforzato e illustrato anche a beneficio di chi si trova in situazioni critiche o di fragilità: è aumentando la luce che si generano il rinnovamento e la forza per percorrere il cammino” (p. 6). Queste parole tratte dalla Prefazione del card. Sgreccia all’agile e denso testo del Card. Antonelli sulla crisi del matrimonio ovvero del matrimonio in crisi ed il sacramento dell’Eucarestia, ne sintetizzano in modo chiaro e puntuale il valore del suo contenuto e soprattutto la sua utilità al fine di affrontare le varie problematiche della e sulla famiglia cristiana oggi, soprattutto in vista del prossimo Sinodo dei Vescovi.

Quello che ci sembra importante notare subito è che il testo è frutto della solida formazione e della lunga esperienza di pastore dell’Autore. Proprio per questo egli è riuscito con il presente testo a dare un contributo sintetico ed autorevole ai problemi della crisi del matrimonio, della “famiglia tradizionale” ed alla questione dell’eventuale ammissione delle coppie dei divorziati risposati all’Eucarestia. Dopo una breve premessa, nella quale si spiegano soprattutto i motivi, il senso ed il fine del suo scritto, l’Autore. affronta le varie tematiche in otto concisi capitoletti. È prima di tutto importante notare la sua ferma convinzione che oggi la principale urgenza pastorale è la formazione di famiglie cristiane che siano testimoni e modello nella società contemporanea, capaci di manifestare nella realtà della vita quotidiana che il matrimonio cristiano non è un’utopia, ma una possibilità concreta bella e possibile da realizzare. Di fatto, sono esse, più di qualunque altri, “… che possono annunciare il vangelo della famiglia, ‘non come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia’ (Papa Francesco, Evangelii gaudium, 14)” (p. 12). In concreto, dato il contesto culturale post-cristiano, la pastorale dovrà concentrarsi in modo tutto particolare nell’educazione teorica e pratica dei ragazzi e dei giovani all’amore cristiano, inteso come dono di sé, comunione e rispetto dell’altro; nella seria preparazione dei fidanzati al matrimonio, mediante itinerari commisurati alle diverse situazioni spirituali, culturali, sociali affinché esso sia non solo valido, ma anche fruttuoso; l’accompagnamento degli sposi, in modo particolare nei primi anni di matrimonio, attraverso incontri periodici condotti da coppie di sposi ed esperti. In ogni caso ciò che deve essere alla base di questo impegno e lo deve ispirare, è il punto fermo e non negoziabile dell’indissolubilità del matrimonio cristiano, rato e consumato, che si fonda sull’amore oblativo dei coniugi promesso per la vita ed aperto alla vita. Alla luce di questo punto fermo, l’Autore partendo dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione, dimostra il non senso e l’intrinseca contraddittorietà della sola ipotesi di poter ammettere i divorziati risposati all’Eucarestia fin tanto che dura detta unione; quanto sopra, nota giustamente l’Autore, vale anche per altre situazioni analoghe di oggettivo disordine morale. “Questa esclusione non discrimina i divorziati risposati rispetto al altre situazioni di grave disordine oggettivo e di scandalo pubblico. Chi ha l’abitudine di bestemmiare deve impegnarsi seriamente a correggersi; chi ha commesso un furto deve restituire; chi ha danneggiato il prossimo materialmente o moralmente, deve riparare. Senza impegno concreto di conversione, non ci sono assoluzione sacramentale e ammissione all’Eucarestia. Non devono essere ammessi tutti coloro che ‘perseverano con ostinazione in un peccato grave manifesto’ (CIC, 915). Non ha quindi senso pensare a fare un’eccezione per i divorziati risposati che non si impegnano a cambiare forma di vita o separandosi o rinunciando ai rapporti sessuali. Esclusione dalla comunione eucaristica non significa esclusione dalla Chiesa, ma solo comunione incompleta” (pp. 15-16) che richiede una vicinanza attenta e misericordiosa da parte della Chiesa. Non dimenticando al riguardo che pur non essendo possibile, per i motivi visti, l’ammissione ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucarestia, questo non esclude l’accesso alla misericordia di Dio per altre vie e che in ogni caso la grazia di Dio non è legata ai sacramenti (cf Familiaris consortio, 84; Reconciliatio et poenitentia, 34; “Sciendum tamen quod, sicut Deus virtutem suam non alligavit sacramentis quin possit sine sacramentis effectum sacramentorum conferre …”: S. Th. III, 64, 7 c). L’Autore prende quindi in esame in particolare i nn. 25, 41 e 52 della Relatio Synodi 2014, che trattano dell’approccio pastorale verso le persone che hanno contratto matrimonio civile, che sono divorziate e risposate ovvero conviventi, e spiega ancora più dettagliatamente, sempre alla luce della Scrittura e del Magistero, il non senso di una loro ammissione ai sacramenti, anche solo in determinate circostanze e situazioni. In particolare, riguardo alle unioni illegittime scrive, alla luce del principio, purtroppo spesso dimenticato da più di qualcuno, bonum ex integra causa malum ex quocumque defectu, “Certamente anche le unioni illegittime contengono autentici valori umani (per esempio, l’affetto, l’aiuto reciproco, l’impegno condiviso verso i figli), perché il male è sempre mescolato al bene e non esiste mai allo stato puro. Tuttavia bisogna evitare di presentare tali unioni in se stesse come valori imperfetti, mentre si tratta di gravi disordini. […] La legge della gradualità riguarda solo la responsabilità soggettiva delle persone e non deve essere trasformata in gradualità della legge, presentando il male come bene imperfetto. Tra vero e falso, tra bene e male non c’è gradualità. Mentre si astiene dal giudicare le coscienze che solo Dio vede, e accompagna con rispetto e pazienza i passi verso il bene possibile, la Chiesa non deve cessare di insegnare la verità oggettiva del bene e del male, mostrando che tutti i comandamenti della legge divina sono esigenze dell’amore autentico …” (pp. 31-32 e cf anche pp. 42-44 dove riprende e spiega più analiticamente la differenza tra “legge della gradualità” e “gradualità della legge”). Questo si applica, ovviamente, anche alle unioni omosessuali. Non è quindi pensabile un perdono da parte di Dio senza conversione e questo vale per tutte le possibili situazioni prese in esame, ma in modo particolare nei casi di matrimoni naufragati anche per la colpa di uno solo dei coniugi, che mai potrà giustificare un nuovo matrimonio, data la validità del precedente (cf p. 34). Non dimentichiamo che al riguardo abbiamo delle definizioni chiare del Concilio di Trento che non possono essere messe in discussione se non minando l’attendibilità dello stesso istituto conciliare e del Magistero (cf Concil. Trident., sess. XXIV, c. 5.; Concil. Trident., sess. XXIV, c. 7; Pio XI, Casti connubii). In questa prospettiva prende in esame e critica la prassi in uso presso le Chiese Ortodosse di concedere l’autorizzazione per un nuovo matrimonio dopo aver sciolto il precedente (cf pp. 35-36; 51).

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[La seconda parte sarà pubblicata domani, domenica 2 agosto 2015]

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ZENIT Staff

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