Etica della terra

ROMA, domenica, 2 luglio 2006 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito, per la rubrica di Bioetica, l’intervento della dottoressa Claudia Navarini, docente presso la Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.

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Gentilissima professoressa Claudia Navarini,

Leggo sempre con molto profitto ZENIT e in particolare la sua rubrica di Bioetica.

E’ appena stato pubblicato dalla Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace e dalla Commissione Episcopale per l’ecumenismo un sussidio per la Giornata per la salvaguardia del creato che sarà celebrata il 1° settembre 2006.

Il sussidio, intitolato “Dio pose l’uomo nel giardino di Eden perché lo coltivasse e lo custodisse (Gn 2,15)”, sottolinea in particolare la crisi ecologica e la necessità di un dialogo ecumenico fondato sui temi ambientali.

Ho notato che Lei e la Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum affrontate spesso il tema dei problemi etici sollevati dalle concezioni ecocentriche o biocentriche. Le chiedo quindi di illustrarci se è eticamente accettabile che in nome della salvaguardia del creato si accettino politiche di regolazioni delle nascite, e quali sono le indicazioni del magistero della Chiesa in merito all’uso della terra, nonchè allo sviluppo della scienza e della tecnologia relativamente ai problemi ambientali.

Caro Lettore,

grazie per la Sua domanda densa e articolata. La Giornata per la salvaguardia del creato è una preziosa occasione per riflettere sull’importanza della questione ecologica e in particolare sul posto dell’uomo nell’ordine naturale. Proprio per questo, occorre sfatare subito miti e leggende che rischiano di deformare la retta comprensione dell’etica ambientale, e che sono purtroppo sempre in agguato quando si parla di questo tema.

Il punto di partenza è la capacità dell’uomo di modificare l’ambiente naturale con l’attività tecnico-pratica e, dunque, l’orientamento – consapevole e inconsapevole – che l’essere umano, in virtù di questo suo potere, ha nei confronti di tutto il creato. A seconda del ruolo attribuito all’uomo rispetto all’ecosistema si potranno dare differenti giudizi sull’agire umano, che lo vedono per alcuni il “cancro del pianeta”, per altri il padrone assoluto, per altri un amministratore responsabile.

Il timore di fondo si origina dal peculiare rapporto fra i diversi generi di viventi e fra vivente e non vivente. Come è ben espresso da Hans Jonas, “nel caso della materia inanimata chi produce è l’unico agente nei confronti del materiale passivo. Nel caso degli organismi, un’attività s’imbatte in un’altra attività: la tecnica biologica collabora con l’attività propria di un ‘materiale’ attivo, con il sistema biologico che funziona secondo natura, cui si deve incorporare un nuovo elemento determinante” (H. Jonas, Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio di responsabilità, tr. it., Einaudi, Torino 1997, p. 125).

Un elemento tipico delle correnti ambientaliste è infatti l’idea che l’intelligenza con cui l’uomo interviene nei processi biologici e eco-ambientali sia in contrasto con una presunta intelligenza della natura, che, da sola, saprebbe e dovrebbe condurre la storia e l’evoluzione. Da qui nascono le teorie ecocentriche e biocentriche. Semplificando ma non troppo, il biocentrismo ritiene che non vi siano differenze essenziali fra gli esseri viventi, e che pertanto la dignità dell’uomo sia identica a quella di ogni “altro” animale.

Di conseguenza, non sussisterebbero ragioni per preferire la vita umana a quella di un rettile, di un topo o di un insetto. Le sperimentazioni sugli animali non sarebbero un passaggio obbligato verso la prudente applicazione all’uomo delle nuove scoperte, ma un ignobile abuso di potere, mentre l’uccisione di animali per ragioni alimentari, e più ancora estetiche e commerciali, sarebbero emblematici esempi di crudeltà. L’unica ragione legittima per sopprimere animali sarebbe la legittima difesa.

Questo approccio biocentrista “puro” si discosta dalle teorie che, mantenendo i principi di fondo, mettono tuttavia in discussione il riconoscimento di un valore oggettivo della vita, come vorrebbero alcune impostazioni biocentriche a sfondo religioso, soprattutto di derivazione orientale o orientalista. In tale ottica, non andrebbe riconosciuto un valore assoluto alla vita biologica, ma un valore relativo ad alcuni elementi valutativi. In questo senso, potrebbe essere legittimo sopprimere indifferentemente piante o animali o uomini, se sussistono le “dovute condizioni”. Nel tentativo di ristabilire la “parità” fra uomo e animale, i fautori di questa impostazione si sforzano di elevare i mezzi di protezione animale e vegetale, e nel contempo di diminuire la protezione all’uomo, specie quando si trovi in situazioni di “scarsa efficienza”.

L’ecocentrismo, che sfocia in un’oscura “etica della terra”, tenta di eliminare anche al basilare differenza etica e metafisica fra vivente e non vivente, ritenendo che la Terra, nel suo insieme, è perfettamente in grado di mantenere l’equilibrio ottimale fra tutti gli elementi che la compongono, laddove l’uomo, avendo a cuore soprattutto il suo proprio benessere, non farebbe altro che alterare tale equilibrio creando scompensi planetari e generando catastrofi su catastrofi. L’ecocentrismo è percorso da un determinismo radicale, che coerentemente seguito porterebbe a negare la validità di qualunque intervento volontario dell’uomo, cioè di qualunque intervento che non sia già rigidamente determinato da processi fisico-naturali, anche di elementare manutenzione dell’ambiente naturale, o di coltivazione e di allevamento. Ben prima, dunque, di intervenire con la tecnologia industriale e con le biotecnologie.

Tali visioni naturalistiche e orizzontali si saldano storicamente con due interessanti filoni filosofici e culturali: l’eugenismo e le nuove religioni (cfr. A. Gaspari, Da Malthus al razzismo verde. La vera storia del movimento per il controllo delle nascite, 21mo Secolo, Milano 2000). Perdere di vista il senso dell’uomo nella storia e nel mondo, infatti, comporta necessariamente la sua riduzione a elemento accessorio, da scegliere e scartare come un oggetto qualsiasi, o da selezionare – ad imitazione dell’intangibile quanto ascientifica selezione naturale – per migliorarne la qualità (cfr. C. Navarini, Etica e darwinismo, “Radici cristiane”, n. 14, maggio 2006, pp. 65-67). Non a caso, questi movimenti sono invariabilmente associati a politiche demografiche violentemente antinataliste.

Il rifiuto della centralità dell’uomo e dell’importanza del suo apporto razionale nella guida responsabile dell’ambiente ha scatenato poi un’ondata di neopaganesimo e di panteismo, che interpreta le “leggi della natura” come un nuovo culto in cui Gaia, la terra divinizzata, si sostituisce al Dio creatore e vanifica gli sforzi intelligenti dell’uomo di custodire il creato (cfr. R. Cascioli e A. Gaspari, Le bugie degli ambientalisti. I falsi allarmismi dei movimenti ambientalisti, Piemme, Casale Monferrato 2004, soprattutto pp. 157-158). D’altra parte, non è nuovo, nella storia del pensiero, il legame fra razionalismo assoluto e magia, fra rifiuto di Dio e apertura agli dei o alla gnosi. La sete religiosa dell’uomo, strutturalmente aperto alla trascendenza e all’infinito, se non riposa nel vero Dio si appoggia ostinata ad improbabili caricature del divino.

Tale deformazione è stata da tempo individuata dal Magistero della Chiesa Cattolica. Nel 2003, un documento a cura del Pontificio Consiglio della Cultura e del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso denunciava esplicitamente le teorie biocentriche, panteiste e neopagane (Gesù Cristo portatore dell’acqua viva. Una riflessione cristiana sul “New Age”, 2003). E presentando il documento, il Card. Poupard faceva esplicito riferimento all’ecologismo: “I temi fondamentali della cultura esoterica sono presenti anche nei campi della politica, dell’e
ducazione e della legislazione. È il caso, in particolare, dell’ecologia. L’enfasi posta dall’ecologia radicale sul biocentrismo nega la visione antropologia della Bibbia, nella quale gli esseri umani sono al centro del mondo perché sono considerati qualitativamente superiori ad altre forme naturali. […] la stessa matrice culturale esoterica si ritrova nell’ideologia che sottostà alle politiche demografiche e agli esperimenti di ingegneria genetica, che sembrano esprimere il sogni degli esseri umani di crearsi un nuovo sé. Come si spera di farlo? Decifrando il codice genetico, alterando le regole naturali della sessualità, sconfiggendo i limiti della morte”.

C’è invero un’altra via per affrontare la questione ambientale, ovvero l’antropocentrismo, che cerca di individuare il posto centrale proprio dell’uomo e le sue responsabilità all’interno dell’ecosistema. “Secondo la teoria antropocentrica, l’uomo ha una posizione centrale e predominante nell’ambito dei viventi. Questa centralità può rivestire il carattere di assoluto dominio dell’uomo sull’ambiente naturale, fino al punto di poter disporre a piacimento di ogni altro organismo o risorsa ambientale – antropocentrismo forte – , oppure può indicare una guida e una responsabilità affidate all’uomo nei confronti del creato, proprio in ragione della sua “signoria”, che gli viene non da una umana “volontà di potenza” ma dalla gerarchia naturale dei viventi di cui egli rappresenta il vertice – antropocentrismo moderato e debole – . Tale prospettiva si spiega adeguatamente soltanto in un’ottica creazionista, per la quale all’origine del mondo e dei suoi abitanti si trova la volontà di Dio che tutto ha disposto con ordine e finalità” (C. Navarini, Il posto dell’uomo nel creato e le violenze del naturalismo, ZENIT, 6 novembre 2005).

È almeno dagli anni Ottanta che la Chiesa scioglie i nodi della “questione ambientale” attraverso il ricorso al principio di responsabilità, per il quale si dà una solidarietà fra l’uomo e il resto del creato; creato che è affidato all’uomo e su cui egli deve dominare non in maniera dispotica, ma in modo amorevole e sollecito, per l’edificazione del bene comune, che promuove il benessere umano e con esso quello degli altri esseri. Come dicevano i vescovi tedeschi nel 1980, “le altre creature esistono per l’uomo, ma l’uomo esiste solo con esse” (Conferenza Episcopale Tedesca, Dichiarazione su Futuri della creazione e futuro dell’umanità, settembre 1980, in “Medicina e Morale”, 2, 1980, pp. 367-381).

E ancora: “Solo nella solidarietà con il resto della creazione, solo nel comportamento responsabile verso il mondo degli animali, delle piante e delle cose, può a lungo andare vivere come signore della creazione, senza diventare schiavo delle sue manie di grandezza, uno schiavo respinto dalla creazione” (ibidem). In questo senso vanno evidentemente denunciati come irresponsabili gli abusi che l’uomo commette quando calpesta le bellezze naturali, quando infligge sofferenze inutili agli animali, quando è più preoccupato della produttività e degli interessi economici che degli equilibri socio-ambientali.

E tuttavia la radice di tale atteggiamento non risiede nella tecnologia, nell’uso e nella modificazione dell’ambiente. Quando l’uomo agisce nell’interesse proprio e delle generazioni future, non si crea alcun conflitto con i “diritti dell’ambiente”, che anzi viene migliorato e promosso dall’intervento umano, meritevole di salvaguardare le specie in estinzione, di bonificare e coltivare dove la natura da sola porterebbe solo desolazione e distruzione, di guidare e orientare nei limiti del possibile le forze naturali in senso costruttivo, di migliorare le specie, di promuovere l’ordine e l’armonia con il proprio lavoro, nel segno di una sempre più vasta idea di etica della cura. L’analisi dei dati a disposizione dimostra che non solo l’attività dell’uomo non danneggia l’ambiente, ma che anzi è proprio l’attività umana a rendere possibile la sopravvivenza dei più vari “ecosistemi”, nonché di intere specie animali. Nonostante il conformismo catastrofista dei media, le condizioni della natura sono incredibilmente migliorate, e proprio laddove la densità di popolazione è cresciuta assieme allo sviluppo tecnologico (cfr. gli amplissimi dati offerti da Cascioli e Gaspari nel già citato Le bugie degli ambientalisti…cit.).

Afferma chiaramente Giovanni Paolo II nel Messaggio per la Giornata mondiale della pace del 1990: “E’ il rispetto per la vita e, in primo luogo, per la dignità della persona umana la fondamentale norma ispiratrice di un sano progresso economico, industriale e scientifico” (Giovanni Paolo II, Pace con Dio creatore. Pace con tutto il creato, 18 dicembre 1990). Al contrario, “l’inquinamento o la distruzione sono frutto di una visione riduttiva e innaturale, che talora configura un vero e proprio disprezzo dell’uomo” (ibidem).

Tale rapporto fra uomo e ambiente viene ribadito con forza dall’enciclica Evangelium Vitae (1995), e in maniera ancora più esplicita nel Discorso ai partecipanti al Convegno su Ambiente e salute del 24 marzo 1997. Questi e altri interventi magisteriali pubblicati negli stessi anni sottolineano come la tutela ambientale non possa venire da teorie che “considerano la biosfera come una comunità bioetica di valore indifferenziato ed eliminano ogni differenza ontologica ed assiologia tra l’uomo e gli altri esseri viventi, cancellando, di fatto, la superiore responsabilità dell’uomo nei confronti di tutte le realtà naturali” (E. Sgreccia, M. Pennacchini, M.B. Fisso, I documenti della Chiesa sulla questione ambientale, “Medicina e Morale”, 4, 2000, p. 667).

Al contrario, è proprio il riconoscimento della superiorità dell’uomo, della sua differenza ontologica data dalla dimensione spirituale – che gli conferisce intelligenza, volontà e libertà – la chiave di volta per garantire un autentico equilibrio eco-logico, e per fondare un’etica dell’ambiente che applichi responsabilmente, ad esempio, il principio di precauzione, consapevoli dei rischi e dei benefici che qualunque saggia decisione comporta quando non vi sia un’evidenza (cfr. C. Petrini, Bioetica, ambiente, rischio: evidenze, problematicità, documenti istituzionali nel mondo, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 2003).

Di recente il pensiero della Chiesa in tema di ambiente è stato sintetizzato nel Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa (2005), ai nn. 456-465, da cui si evince una volta di più come la questione ambientale vada affrontata ammettendo, in primo luogo, la centralità dell’uomo nel mondo naturale e la sua superiorità, e di conseguenza l’esigenza di essere tutore sapiente e custode del creato stesso. D’altra parte, come sottolineava Alfons Auer nel 1988 (Etica dell’ambiente. Un contributo teologico al dibattito ecologico, Queriniana, Brescia 1988, p. 73), “l’uomo è l’unico essere, in questo mondo, in grado di assumersi delle responsabilità”.

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ZENIT Staff

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