Esperienze di formazione nei diversi Seminari del mondo

Tavora rotonda in occasione di un Convegno alla Santa Croce sul celibato

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di Mirko Testa

ROMA, lunedì, 29 marzo 2010 (ZENIT.org).- Necessità di aggiornamenti sul tema del celibato in una prospettiva interdisciplinare, vita in comunità, colloqui frequenti con psicologi e direttori spirituali e un rapporto intimo con il Signore: sono queste alcuni suggerimenti emersi durante la tavola rotonda che ha riunito il 5 marzo scorso alcuni formatori e rettori di seminari in occasione del Convegno organizzato dalla Pontificia Università della Santa Croce sul tema “Il celibato sacerdotale: teologia e vita”.

A prendere la parola per primo è stato mons. Jerry Bitoon, membro della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, che dal 1998 al 2004 è stato rettore del Saint Peter’s College, il Seminario di filosofia della diocesi di San Paolo, nelle Filippine, che riunisce attualmente più di 80 studenti dai 16 ai 21 anni.

A suo avviso, “occorre che i formatori del seminario facciano insieme un regolare esame degli insegnamenti della Chiesa sul celibato e un dovuto aggiornamento sulla questione”, mentre “il programma della formazione al celibato dovrebbe essere calibrato periodicamente tenendo conto dei continui sviluppi nell’ambito della psicologia e della sociologia”.

Inoltre, ha aggiunto, “la formazione dovrebbe essere adattata ai singoli individui nel loro concreto e differenziato sviluppo personale per promuovere una formazione ad hoc”.

Nel Seminario diocesano di cui è stato rettore, ha spiegato mons. Bitoon, “i seminaristi si dividono in piccoli gruppi di circa 10-12 membri e ad ognuno di questi gruppi viene assegnato un sacerdote formatore come guida o elder companion”.

“Questo sistema offre ai formatori la possibilità di conoscere bene gli studenti, le loro difficoltà, le preoccupazioni, i dubbi e i problemi personali – ha raccontato –. Mentre il seminarista viene incoraggiato a tenere un colloquio di almeno 20-30 minuti alla settimana”.

Importante, ha continuato, anche “una sana vita di comunità”, capace di creare “un ambiente favorevole alla maturità psicologica ed emotiva negli studenti e di sviluppare in loro la capacità a relazionarsi con gli altri”.

Per mons. Jerry Bitoon, “la formazione deve essere anche impartita tramite la testimonianza dei formatori stessi”, che devono riuscire a comunicare “la bellezza dei valori del celibato”.

Importante anche la vita di preghiera, un aspetto, in base alla sua esperienza, che è stato via via sempre più trascurato da quei candidati al sacerdozio che in seguito hanno rinunciato alla loro vocazione.

Preghiera e vita spirituale

Successivamente è intervenuto mons. Giovanni Tani, Rettore del Pontificio Seminario Romano Maggiore, che ospita in tutto 85 alunni tra italiani e stranieri (una quindicina questi ultimi, provenienti in particolare da Croazia, Ucraina e America Latina).

“Il nostro progetto di formazione al celibato – ha spiegato – si struttura fondamentalmente sulla vita spirituale”; mirando a far sperimentare “la bellezza della preghiera” e “l’incontro con Cristo”, come “relazione fondante che regge la vita”, fin dall’anno propedeutico (il periodo di formazione che precede quello del Seminario Maggiore).

“Noi – ha spiegato – facciamo capire che la realtà spirituale non è una realtà astratta ma una persona concreta che s’incontra nel Vangelo, che s’incontra nell’Eucaristia in un rapporto che si dovrebbe poi strutturare in almeno due ore al giorno, la mattina, con la celebrazione dell’Eucarestia e nel pomeriggio con l’adorazione eucaristica”.

In questo contesto, si punta a far percepire il celibato come “dono di Dio e non come imposizione”; come “incontro con il Signore, come desiderio di vivere pienamente una relazione con Lui”.

Nel corso degli anni, ha continuato mons. Giovanni Tani, vengono poi svolti incontri con esperti e psicologi, che illustrano argomenti come “l’integrazione affettiva nel celibato, la conoscenza di sé, l’omosessualità, i comportamenti sessuali, gli effetti negativi dell’inconscio, l’affettività del sacerdote, l’amore coniugale. Inoltre, prima del diaconato, c’è un ritiro ampio sul celibato”.

“Noi formatori – ha sottolineato – cerchiamo anche di osservare dagli atteggiamenti esterni se ci sono degli indicatori che ci possono far pensare a dei problemi: come un atteggiamento molto dipendente dagli altri oppure un atteggiamento di dominio o ancora il bisogno di plauso, l’uso indiscriminato del denaro, o il ricorso eccessivo al mangiare e al bere. Tutti indicatori su cui lavorare per cercare di capire di più”.

Il celibato nei diversi riti

Subito dopo, mons. Pedro Huidobro, cappellano della Pontificia Università della Santa Croce e rettore per molti anni del Collegio Ecclesiastico Internazionale Sedes Sapientiae, ha condiviso la sua esperienza personale legata alla fomazione di seminaristi di rito greco-cattolico provenienti dalla Romania, che avevano quindi la possibilità di sposarsi prima della ordinazione diaconale.

Questi studenti, ha raccontato, erano stati inviati dal Cardinale Alexandru Todea che aveva trascorso parecchi anni nelle carceri sotto il regime comunista e dittatoriale di Ceauşescu: “il Cardinale aveva scelto i seminaristi da inviare a Roma tra quelli che veramente avevano manifestato la loro intenzione di vivere il celibato”, in modo da “prepararli al tipo di formazione che avrebbero ricevuto”.

“Il primo anno a Roma – ha detto – l’inserimento nel seminario risultò del tutto soddisfacente, mentre nel secondo anno non si trovavano più a loro agio e mancava uno spirito di collaborazione nella loro formazione”.

“Dei 10 seminaristi rumeni di rito greco-cattolico rimasti in seminario per più di un anno tutti tranne uno hanno manifestato gli stessi disagi nel secondo anno di permanenza – ha continuato –. E soltanto quest’ultimo candidato ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale celibataria. Gli altri nove sono tornati in Romania dove hanno continuato gli studi. Di questi, i quattro che hanno ricevuto l’ordinazione sacerdotale, lo hanno fatto dopo essersi sposati”.

“Anni dopo – ha spiegato mons. Pedro Huidobro – parlando con alcuni di loro sulle difficoltà che hanno incontrato in seminario, siamo arrivati alla conclusione che la ragione era la formazione impartita alla Sedes Sapientiae improntata al sacerdozio celibatario”.

“Infatti – ha aggiunto – sebbene non si trattasse di un argomento frequente nella formazione, casomai il contrario, il fatto stesso di convivere con altri candidati al sacerdozio che avrebbero vissuto il celibato, li faceva sentire a disagio”.

“D’altronde – ha continuato il cappellano della Santa Croce – l’atmosfera e l’impostazione generale del Seminario di provenienza, in Romania, erano votate al matrimonio. E i seminaristi cercavano di trovarsi una fidanzata, in alcuni casi anche con una certa urgenza, vista la necessità di doversi sposare prima dell’ordinazione diaconale”.

“La conclusione a cui sono giunto – ha spiegato – è la non compatibilità nella formazione, all’interno di uno stesso Seminario, di candidati al sacerdozio di riti che prevedono il celibato come condizione per ricevere il sacramento dell’ordine o hanno fatto una scelta celibataria insieme a candidati di riti che contemplano la possibilità per i sacerdoti di essere uxorizzati”.

“E andando a monte – ha osservato ancora – si può anche concludere che rifiutare un aspetto della formazione al sacerdozio anche se si accettano tutti gli altri in pratica compromette tutta la formazione. La visione del ministero sacerdotale uxorizzato è infatti molto diversa da quella del sacerdote celibe, cioè la prima somiglia più a un impiego il che logicamente condiziona anche il resto della formazione”.

L’Africa e la questione della fecondità

< a> Da canto suo mons. Njen Gérard, capo ufficio alla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, che ha vissuto per tre anni nel Seminario minore “Giovanni XXIII” di Ebolowa ed è stato formatore nel Seminario del Camerun, ha riportato alcuni dati contenuti in un dossier sulla vita materiale e spirituale dei sacerdoti camerunensi risalente all’82.

Nell’inchiesta, in cui si chiedeva quale fosse il valore più difficile da vivere, emersero in ordine di importanza: la povertà, poi l’accoglienza/l’ospitalità, il celibato, la sofferenza, la passione per la giustizia, la fedeltà/perseveranza, il perdono, la vita fraterna, la disponibilità, la condivisione e la testimonianza.

In merito al celibato, si indicavano questi ostacoli: la mentalità dell’ambiente sociale, la mancanza di fiducia, il sospetto, la mancanza di una comunità, l’appello profondo all’amore umano, l’ipocrisia.

Mons. Njen Gérard ha quindi affermato di aver tratto grande giovamento, negli anni della sua formazione, dalla lettura dell’Enciclica del Pontefice Pio XI Ad Catholici Sacerdotii fastigium, risalente del 1935, mentre al contrario “oggi è difficile trovare un documento che ti parla della bellezza del celibato ecclesiastico”.

A suo avviso, decisivo è il titpo di educazione che si apprende in famiglia, perché “se il bambino ha imparato la castità e la continenza in famiglia, che non valgono solo per i sacerdoti, continuerà a rispettarle anche in Seminario”.

La questione principale, ha sottolineato è però che “in Africa abbiamo problemi specifici legati all’ambiente e al matrimonio”; “l’Africa è assetata di fecondità” ed è “difficile dire a un africano di rimanere senza produrre qualcosa”.

“Io ho 37 nipoti e 7 tra fratelli e sorelle – ha raccontato –. E uno dei miei fratelli mi ha detto una volta scherzando: ‘Ne faccio uno in più perché tu non ne hai’”.

Il contributo della famiglia nella formazione

Don José de Jesus Palacios Torres, già rettore per 5 anni del Seminario dell’Immacolata Concezione della diocesi di Celaya, in Messico, ha parlato infine della necessità di inquadrare la formazione al celibato nella cornice di una formazione umana, spirituale, intellettuale e pastorale a tutto tondo.

“Noi abbiamo un direttore spirituale per il Seminario minore e due per il Seminario maggiore per un totale di 122 seminaristi”, ha raccontato. “E anche noi formatori teniamo un incontro periodico come i seminaristi per parlare di temi concreti riguardanti la formazione e il celibato”.

Secondo don José de Jesus Palacios Torres, al lavoro di discernimento che ogni seminarista deve fare per comprendere se si sente realmente chiamato al sacerdozio e alla vita celibataria “deve aggiungersi anche l’aiuto della famiglia del seminarista”.

Per questo, ha continuato, “come Seminario abbiamo voluto coinvolgere il più possibile le famiglie dei seminaristi convinti che la nostra formazione è rivolta sì a questa persona ma che in seguito questa persona tornerà dalla famiglia cui appartiene e che quindi potrebbe essere più difficile vivere una vita celibataria”.

Anche il sacerdote messicano ha sottolineato come aspetto decisivo quello di “crescere nell’amicizia e nella fraternità della comunità” e a questo proposito ha parlato della istituzione dei cosiddetti ‘equipos de vida’, cioè di gruppi di persone che si riuniscono periodicamente per affrontare questioni legate alla vita spirituale e che possono fornire un contributo determinante “non soltanto nella comunità ma anche nel lavoro pastorale che il seminarista si trova ad affrontare ogni settimana”.

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ZENIT Staff

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