Epifania e Re Magi tra mito e realtà

La solennità che si celebra oggi ha chiare origini orientali

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di Pietro Barbini

ROMA, venerdì, 6 gennaio 2012 (ZENIT.org) – Si celebra oggi la festa conosciuta con il nome di Epifania, dal greco “apparizione”, “rivelazione”, commemorativa dell’arrivo dei Re Magi, giunti a Betlemme al tempo del regno di Erode, per rendere omaggio al “Re dei Giudei” attraverso i doni di Oro, dono riservato ai re, l’Incenso, simbolo della divinità, e la Mirra, segno della sua umanità.

Questa è una festa ci è pervenuta dall’Oriente: se ne ha notizia a partire dal 215, data che fondamentalmente corrisponde al nostro Natale. Con il tempo, sia in Oriente che in Occidente, la festa diviene giorno teofanico, dedicato al battesimo di Gesù. Solo più tardi, e in alcuni luoghi, rispetto al battesimo prevale il mistero di un’altra teofania, ossia quella dei Magi, consolidatasi sempre di più nel tempo fino ad arrivare ai giorni nostri.

Fondamentalmente non esiste nessun documento sicuro che attesti quale fosse la provenienza di questi personaggi, quanti realmente fossero, quali fossero i loro nomi (alcune fonti, infatti, riferiscono nomi diversi rispetto ai canonici Melchiorre, Baldassarre e Gaspare) ma soprattutto che cosa fecero dopo la loro comparsa nella storia della Natività.

Nel Milione Marco Polo afferma di aver visitato le tombe dei Magi nella città di Saba, in Persia, ritenuta loro città d’origine, confermando anche i tre consolidati nomi e affermando anche che si trovavano riposti all’interno di tre tombe distinte, ancora incorrotti, con barba e capelli. Il beato Odorico da Pordenone, recatosi nel 1320 proprio in quella regione, confermerebbe quanto narrato da Marco Polo.

Dei Magi se ne parla nel Vangelo di Matteo (2,1-12), considerato la fonte più accreditata, e in alcuni vangeli apocrifi, oltre che nella profezia di Davide, che riferisce dei Magi già nell’Antico Testamento, e in tutte le altre documentazioni relative gli stessi sono postume. Si è pressoché concordi nell’identificare questi personaggi come appartenenti ad una casta sacerdotale persiana, studiosi di astronomia e astrologia, ed intimi discepoli e custodi della dottrina di Zoroastro. La credenza consolidata che fossero dei re prende origine dalla profezia del Salmo 72 che dice: “I re di Tarsis gli offriranno tributi”, e non da meno dal fatto che i doni offerti dagli stessi avevano un valore non comune, che a buon diritto potremo definire regale.

C’è una buona concordia anche nell’attribuire la loro provenienza dalla Mesopotamia, Persia e Caldea. Un dato è certo: dopo l’adorazione del Bambin Gesù, dei Magi non si ha più notizia. “Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”: così nel Vangelo di Matteo si conclude l’episodio relativo i Magi. Esistono alcune storie, leggende e racconti, ma niente di certo.

Dopo la Natività i tre ricompaiono solamente “da morti”. Le testimonianze riferiscono che i corpi furono recuperati in India da Sant’Elena e portati a Costantinopoli, arrivati poi a Milano, nel periodo delle Crociate, vi rimasero fino al 1164, anno in cui furono trasferiti da Federico Barbarossa a Colonia e qui riposti all’interno della Cattedrale dove vengono tutt’ora custoditi e adorati da numerosi pellegrini.

Se storicamente non abbiamo molti documenti relativi all’identità di questi curiosi personaggi, non si può dire lo stesso per ciò che concerne il forte valore simbolico di questa vicenda. La venuta dei Re Gentili, infatti, è fondamentale per il Cristianesimo, in quanto furono i primi a riconoscere il Salvatore e proprio loro gettarono le basi alla nascita della Chiesa Cristiana. La nuova Ecclesia, infatti, si genera dai sudditi dei Re Magi, diversi rispetto al popolo eletto, in quanto pagani, i cosiddetti non-circoncisi. Si dice anche che, in quanto sacerdoti del dio Ahura Mazda, seguendo la “lettura” del cielo, avevano rintracciato e riconosciuto il loro Salvatore universale, diventando così loro stessi l’anello di congiunzione tra il Cristianesimo, nascente, e i culti misterici orientali (nell’antichità si credeva che gli eventi importanti fossero preannunciati da fenomeni celesti particolari).

Per alcuni i Re Gentili indicherebbero le tre razze umane, discendenti dai tre figli di Noè, ossia, Sem, Cam e Iafef. Il Cardini dice che i Magi sono il simbolo delle età dell’uomo e delle dimensioni del tempo cosmico, espressioni dunque del presente, passato e futuro rotanti attorno al Cristo Kosmokrator e Kronokrator. Marsilio Ficino, invece, descrive i doni dei tre Magi come doni dedicati al “Signore delle stelle da parte di tre Signori dei pianeti” (oro=Giove; incenso=Sole; mirra=Saturno). I tre doni possono anche rappresentare i 3 continenti dell’antica tradizione (Europa, Africa, Asia).

Questo mito, insomma, porta con sé molteplici significati e interpretazioni. Il solo fatto che il tutto ci sia pervenuto dall’Oriente è indicativo. L’Oriente è il paese dove sorge il sole, dove la luce si diffonde, dove Dio è venuto al mondo. Dunque la ricerca della luce, anche nelle stesse rappresentazioni artistiche, si trasformava nel discorso metafisico della ricerca del sommo bene, dell’Assoluto e dunque di Dio. Bisogna ricordare inoltre che quando si parla di mito (dal greco mythos, cioè racconto) si intende un racconto di come qualcosa o qualcuno ha avuto origine.

A volte l’immagine dei Magi e la loro vicenda è stata interpretata come metafora del viaggio che ogni cristiano deve intraprendere nella propria vita per arrivare alla “Gerusalemme Celeste”. Spesso anche le rappresentazioni artistiche, realizzate intorno alla metà del ‘400, si sono fatte portatrici di valori laico-cavallereschi, che simbolicamente raffiguravano il viaggio interiore che ogni cavaliere doveva intraprendere nel corso della propria vita per raggiungere la purezza interiore.

Bisogna tenere bene a mente che anche nelle fiabe e nelle favole per bambini, tramandate da secoli e secoli, con il passare del tempo non esenti da manipolazioni fantasiose, c’è sempre un fondo di verità, un qualcosa che ha a che fare con la realtà. Le cose, insomma, non nascono dal nulla. Il mito, dunque, è un qualcosa che, per quanto possa o convincere o no, affascina, in quanto ci trascende e l’uomo in quanto tale, sin dalle sue origini, è attratto da tutto ciò che non riesce a contenere, da tutto ciò che lo oltrepassa, perché l’uomo in quanto tale, essere finito, aspira all’infinito, sempre alla ricerca di qualcosa che possa riempire quel perenne vuoto interiore che ciclicamente si ripresenta nel corso della propria vita, che non riesce mai a colmare definitivamente. Un vuoto che solamente Dio è in grado di riempire, la storia dell’uomo ne è la prova tangibile. Un vuoto interiore, o se si preferisce la mancanza di un senso, che i Magi hanno colmato facendo la scelta di seguire quella stella, quella stella che li ha condotti verso la luce, quella luce che ha rischiarato il mondo e cambiato le sorti dell’umanità e dell’uomo.

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ZENIT Staff

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