Eliminare il lavoro minorile vale la pena

Studi evidenziano i benefici economici a lungo termine

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GINEVRA, sabato 27 marzo 2004 (ZENIT.org).- Un recente studio dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) sostiene che i benefici conseguenti all’eliminazione del lavoro minorile sono maggiori dei costi che ciò implica. Il rapporto “Investing in Every Child, An Economic Study of the Costs and Benefits of Eliminating Child Labor,” calcola che circa 246 milioni di bambini nel mondo sono attualmente impiegati nel lavoro.

Di questi, 179 milioni sono esposi a ciò che l’OIL definisce come le peggiori forme di lavoro, tali da mettere a rischio il benessere fisico, mentale o morale.

Strappare questi bambini via dal lavoro ed educarli, nell’ambito di un’azione graduale fino al 2020, potrebbe comportare un costo di 760 miliardi di dollari. Ma questo sarebbe di gran lunga superato a lungo termine dai benefici che l’OIL individua in 5,1 mila miliardi di dollari.

Lo studio definisce il lavoro minorile come ogni attività economica svolta da bambini di età inferiore ai 12 anni, o svolta da bambini dai 12 ai 14 anni che lavorano per più di 14 ore alla settimana, o svolta nelle peggiori condizioni lavorative da bambini di età inferiore ai 18 anni.

“Le buone politiche sociali sono anche buone politiche economiche”, ha affermato il Direttore Generale dell’OIL, Juan Somavia nel comunicato stampa dello scorso 6 febbraio che accompagnava la pubblicazione del rapporto. “L’eliminazione del lavoro minorile porterà ad un enorme ritorno d’investimento, oltre ad un impagabile beneficio sulla vita dei bambini e delle famiglie.”

Il rapporto pone come obiettivo l’educazione primaria universale per il 2015 e l’educazione secondaria inferiore universale per il 2020. L’OIL ha affermato che azioni ulteriori sarebbero necessarie per rimuovere e riscattare i bambini dalle peggiori condizioni di lavoro quali il lavoro vincolato (al pagamento di un debito, n.d.t.) e la prostituzione, e per aiutare i rifugiati e gli appartenenti alle classi inferiori.

Trasferimenti di reddito

Lo studio prende in considerazione una serie di fattori, nel calcolare i costi necessari per strappare i bambini al lavoro. Le famiglie sarebbero sostenute da un programma di trasferimenti di reddito, volto a compensare i costi che gravano sui bilanci familiari relativi ai trasferimenti dei bambini dal lavoro alla scuola. Questi programmi porrebbero come destinatari tutte le famiglie con bambini in età scolastica che vivono in povertà, fornendo gli aiuti sulla base del valore medio lavorativo di un bambino, del numero dei bambini per nucleo familiare e del suo grado di povertà.

Il rapporto non ha tuttavia tenuto conto dei valori di questo trasferimento di reddito, assumendo solo i costi relativi all’amministrazione del programma. Ma anche sommando i trasferimenti di reddito, lo studio osserva che i costi aggiuntivi sostenuti dalle famiglie dovuti al mancato guadagno del lavoro minorile non più attivo sono individuati dagli studiosi in 246,8 miliardi di dollari.

Lo studio stima inoltre sia il capitale che i costi correnti, relativi all’allargamento dell’istruzione ad un numero maggiore di bambini, ed alla necessità di ridurre le classi e di migliorare gli standard. Questi costi sommano a ben 493 miliardi di dollari, su un costo totale di 760 miliardi di dollari.

Per quanto riguarda l’altra parte dell’equazione, quella relativa ai benefici, l’OIL afferma che la maggiore capacità produttiva della futura generazione di lavoratori, dovuta all’accresciuto grado di istruzione, sarebbe sostanziale ed ammonterebbe a quasi 5,1 mila miliardi di dollari. Vi sarebbero poi i vantaggi economici derivanti dal miglioramento della salute dovuto all’eliminazione delle peggiori forme di lavoro minorile.

Il rapporto avverte che le cifre sui costi e i benefici sono approssimative e che vi sono “incertezze molto ampie nelle quantificazioni relative a molti aspetti di questo studio. Un’altra qualificazione di cui tenere conto è che riadattare il valore economico relativo ad un’istruzione più estesa, dipende dalla capacità dei Paesi di creare nuovi posti di lavoro che sfruttino i più alti livelli del capitale umano e di sviluppare politiche economiche appropriate”.

Ciò nonostante, il rapporto sostiene le sue affermazioni osservando che altre istituzioni quali la Banca Mondiale concordano sul fatto che aumentando i livelli d’istruzione dei bambini si ottengono effetti economici positivi.

Non sarà facile tuttavia finanziare il programma a breve termine. Il rapporto ammette che fino al 2016 i costi saranno maggiori dei benefici, cosa che non cambierà finché la prima generazione di bambini avrà completato gli anni aggiuntivi di istruzione.

Ma lo studio pone questi costi nell’ambito del più ampio contesto della spesa pubblica. Per quanto riguarda il costo che deve sostenere lo Stato, “l’ammontare medio relativo al primo decennio non è nulla in confronto agli oneri attualmente sostenuti per finanziare il debito o la difesa”, sostiene l’OIL.

L’OIL calcola che il programma di eliminazione del lavoro minorile rappresenta “un notevole ma non esorbitante aumento nelle spese sociali correnti”. Lo studio calcola che l’onere fiscale medio per i governi nel primo decennio rappresenta l’11% nell’anno 2000 della spesa militare, con un aumento dei costi nella seconda decade fino al 27%.

Ma “questa è primariamente una questione politica piuttosto che economica, che può essere gestita nell’ambito del contesto più ampio di discussione relativo alla cooperazione allo sviluppo e alla remissione del debito, afferma il rapporto.

Rapporto USA sul lavoro

Il mese di febbraio ha anche visto la pubblicazione del 13° rapporto sul lavoro minorile preparato dal Ministero del lavoro USA. Il rapporto voluto dal Congresso ha messo a confronto le spese militari e di istruzione sostenute dai governi di 73 Paesi in via di sviluppo.

Il rapporto dal titolo “Advancing the Campaign Against Child Labor: The Resource Allocations of National Governments and International Financial Institutions”, rileva le tendenze relative alle somme finanziate dai governi, dalla Banca Mondiale e da altre istituzioni finanziarie internazionali impegnate nella prevenzione degli abusi del lavoro minorile e nel miglioramento dell’accesso all’istruzione di base.

Lo studio riporta che molti Paesi hanno dedicato maggiori risorse all’istruzione rispetto alla difesa militare. Tuttavia, molte banche di sviluppo multilaterali hanno investito una somma relativamente piccola di risorse in questi Paesi per l’istruzione di base e il lavoro minorile.

In Africa, ad esempio, la maggior parte dei Paesi spende dal 10% al 20% del bilancio governativo in istruzione, con una maggioranza che spende meno del 10% in campo militare. Le eccezioni riguardano l’Angola, il Burundi, l’Etiopia e il Sudan, i quali spendono più del 20% in progetti di carattere militare, e hanno dotazioni molto maggiori in campo militare che nell’istruzione. L’Angola spende non meno del 40% del bilancio statale sulla difesa militare, contro il 10,7% dell’istruzione.

In Asia, la spesa per l’istruzione in percentuale del bilancio statale si aggira dal 7,4% del Vietnam al 25% della Malaysia. In tale regione un maggior numero di Paesi spende più del 20% del bilancio preventivo in spese militari. Burma detiene il primato, dedicando il 93,6% del bilancio a tale settore.

La maggior parte dei Paesi dell’America latina e dei Caraibi, stanziano dal 10 al 20% del loro bilancio all’istruzione. Gran parte di loro spende meno del 10% in campo militare.

In questa regione il rapporto USA osserva che dei 282,3 miliardi di dollari che la Banca Mondiale ha dato in prestito ai Paesi membri nel 1990-2002, circa il 4% è stato dedicato al finanziamento di programmi di istruzione e circa l’1,6% al finanziamento degli aspetti relativi al
lavoro minorile dei programmi di protezione sociale.

Tenendo conto anche di altri fondi di progetti relativi, lo studio stima che circa 6 dollari su 100 prestati dalla Banca Mondiale nel periodo considerato sono stati destinati all’istruzione di base o a progetti di protezione sociale con componenti relative al lavoro minorile.

Lo studio ha evidenziato la necessità di maggiori sforzi per ridurre il lavoro minorile e per migliorare l’istruzione: “A prescindere dal corrente stadio di sviluppo di un Paese, l’istruzione ricopre un ruolo cruciale nell’aumento delle opportunità generali a disposizione della gente, e nel deviare dalle strade dirette a futuri di povertà”.

Il messaggio quaresimale di quest’anno di Giovanni Paolo II ha evidenziato l’esigenza di porre maggiore attenzione alle necessità e alle sofferenze dei bambini. Trasferire milioni di bambini dal lavoro minorile alle aule scolastiche non sarà compito facile né economico, ma porterebbe a un grande miglioramento della loro situazione.

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ZENIT Staff

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