Egitto: i pretesti per trascinare il Paese in una guerra civile

Il segretario del patriarca copto cattolico commenta ad ACS l’attacco di domenica 20 ottobre davanti alla Chiesa della Vergine Maria, nel sobborgo cairota di Warraq

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“Il vero obiettivo dell’attentato era spingere i cristiani a chiedere l’intervento dei paesi occidentali, trasformando l’instabilità interna in un conflitto internazionale”. È quanto dichiara ad Aiuto alla Chiesa che Soffre padre Hani Bakhoum Kiroulos, segretario del patriarca copto cattolico Ibrahim Isaac Sidrak. Per il sacerdote egiziano è questo il vero motivo dell’attacco avvenuto domenica 20 ottobre davanti alla Chiesa della Vergine Maria, nel sobborgo cairota di Warraq. Erano circa le 8.30 di mattina quando due uomini in motocicletta hanno aperto il fuoco contro gli invitati a un matrimonio che attendevano l’arrivo della sposa.

Sono morte cinque persone tra cui due bambine di otto e dodici anni. “Credevano che colpendo la nostra comunità, ci avrebbero costretti a rivolgerci ad Europa e Stati Uniti – continua padre Hani – trascinandoci così in una guerra civile. Ma non funzionerà: noi cristiani abbiamo ampiamente dimostrato di essere genuinamente egiziani dopo quanto abbiamo subito questa estate”. Come dichiarato di recente ad ACS dal patriarca Sidrak, nonostante le violenze dello scorso agosto i cristiani non hanno cercato un aiuto dall’estero e le Chiese copte hanno perfino invitato la comunità internazionale a non intervenire: un atteggiamento apprezzato da molti egiziani di religione islamica.

Quanto accaduto a Warraq non deve però far pensare ad un conflitto tra musulmani e cristiani, un’idea che per padre Hani, “è semplicemente fuori dalla realtà. I copti non sono gli unici obiettivi degli estremisti, che attaccano le stesse istituzioni”.  

Nei giorni scorsi alcuni esponenti della Fratellanza musulmana hanno preso le distanze da quanto avvenuto domenica 20 ottobre ed espresso il loro cordoglio. Il sacerdote egiziano preferisce non discutere della loro sincerità, tuttavia sottolinea che “molti fondamentalisti sono entrati in Egitto proprio durante la presidenza Morsi. Ed ora paghiamo le conseguenze del loro modo di governare». Il segretario del patriarca copto cattolico fa notare come negli ultimi due anni molti dei gruppi oltranzisti stanziati nella penisola del Sinai abbiano iniziato ad operare in tutto il paese. Agenti di polizia sono schierati a difesa di molte chiese, ma a causa dell’imprevedibilità degli attacchi estremisti è impossibile garantire la completa protezione dei fedeli. «Quello del terrorismo è un dramma che affligge tutti gli egiziani, non solo noi cristiani, ma è una guerra che l’Egitto deve combattere”.

La lotta al terrorismo è uno dei tre passi fondamentali che il paese deve compiere per uscire dalla crisi iniziata con la deposizione di Morsi. “Innanzitutto – spiega padre Hani – abbiamo bisogno di una nuova costituzione e di nuove elezioni presidenziali e parlamentari. Quindi occorre individuare gli elementi terroristici che destabilizzano lo stato e infine promuovere la riconciliazione tra i diversi gruppi. I Fratelli musulmani devono saper anteporre gli interessi del paese ai propri. Solo così l’Egitto potrà finalmente essere uno stato davvero civile e democratico”.

Intanto il quotidiano ufficiale Ahram online ha reso noto in queste ore che il “comitato dei cinquanta”, incaricato degli emendamenti alla Costituzione approvata durante la presidenza Morsi, ha adottato ieri un articolo provvisorio che abolisce tutte le restrizioni esistenti alla costruzione di nuove chiese.

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ZENIT Staff

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