Effetti della crioconservazione sul patrimonio genetico degli embrioni

Embrioni crioconservati | Servono adeguati studi di follow up

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di Domenico Coviello*

ROMA, lunedì, 9 luglio 2012 (ZENIT.org).- Ipatrimonio genetico dell’uomo è sicuramente l’elemento di studio più affascinante nel settore biomedico dai tempi più antichi della storia della medicina. Tuttavia solo nello scorso secolo la scoperta della struttura del Dna pubblicata da James Watson e Francis Crick nel 1953 (Nature. 1953 Apr 25;171(4356):737-8) e la scoperta del numero dei cromosomi umani pubblicata da Jerome Lejeune (e coll.) nel 1959 (French Academy of Sciences, January 26, 1959) hanno dato l’avvio alla moderna genetica con la possibilità di studiare le caratteristiche del patrimonio genetico e le cause dei danni riscontrati nelle patologie umane. Per valutare i danni prodotti dall’ambiente sul patrimonio genetico è possibile valutare lo stato d’integrità del Dna e il corretto numero (e struttura) dei cromosomi oppure, quando questo non è possibile, si valuta il fenotipo, cioè l’insieme delle caratteristiche morfologiche e funzionali che si manifestano nell’organismo oggetto di studio.

Il primo approccio è certamente più complesso sia per la sua esecuzione sia per la varietà di situazioni a cui viene applicato. Per esempio può essere utilizzato un test molto aspecifico (sul Dna totale) per valutare possibili danni prodotti dall’ambiente su popolazioni di cellule (monitoraggio biologico), oppure con test mirati specifici per il singolo soggetto come per esempio la ricerca di specifiche mutazioni cromosomiche o geniche note come causa di malattia.

Nel caso di embrioni crioconservati, viene utilizzato il secondo approccio, cioè l’osservazione del fenotipo che prevede la segnalazione di embrioni che evidenziano uno sviluppo anomalo o bambini che nascono con difetti congeniti.

Però prima di discutere più in dettaglio gli effetti della crioconservazione sul patrimonio genetico degli embrioni dobbiamo aver chiaro il percorso e le considerazioni che precedono questa specifica fase.

Tutto il procedimento viene definito Procreazione Medicalmente Assistita (Pma) e in particolare vorrei distinguere tre aspetti specifici:

La fecondazione in vitro (In Vitro Fertilization – IVF), con le sue due principali applicazioni: FIVET (Fecondazione In Vitro e Trasferimento dell’Embrione) e la ICSI (Iniezione Intra – Citoplasmatica di uno Spermatozoo) attuata nella sua forma classica con l’impianto di embrioni freschi

Il congelamento degli embrioni ed il successivo impianto in utero

Lo sviluppo da embrione a bambino e le possibili conseguenze sul suo genoma dovute all’intero processo

Per quanto riguarda il primo punto in diversi studi viene riportata una frequenza aumentata di anomalie congenite in bambini nati da fecondazione assistita con una variabilità dal 5,7% al 7% rispetto ad una frequenza dell’2-3% della popolazione di bambini nati naturalmente (Wen J, et al. Fertil Steril. 2012 Jun;97(6):1331-1337; Sagot P, et al. Hum Reprod. 2012 Mar;27(3):902-9; Ramin Mozafari Kermani, et al. Archives of Iranian Medicine, Volume 15, Number 4, April 2012; Sala P, et al. Minerva Ginecol. 2011 Jun;63(3):227-35); Artini PG, et al. Gynecol Endocrinol. 2011 Jul;27(7):453-7. Viene anche riportato che tale rischio aumentato di anomalie congenite non è differente tra FIVET ed ICSI (Wen J, et al. Fertil Steril. 2012 Jun;97(6):1331-1337). E’ importante ricordare che tali dati epidemiologici sono disponibili in quanto il periodo temporale di osservazione dall’inizio della Pma classica è abbastanza lungo.

Per quanto riguarda il secondo punto, relativo al congelamento degli embrioni ed in particolare alla più recente tecnica di “vitrificazione”, i dati sono molto più recenti.

In uno studio che valuta i dati retrospettivi nel periodo 2002–2006 (Better perinatal outcomes following transfer of fresh blastocysts and blastocysts cultured from thawed cleavage embryos: a population-based study. Wang YA, Chapman M, Costello M, Sullivan EA. Hum Reprod. 2010 Jun;25(6):1536-42.) viene affermato che non vi è un aumento di rischio di bambini nati con anomalie congenite rispetto alla tecnica tradizionale e che il trasferimento di embrioni freschi porta ad un maggior numero di bambini nati, ma che invece il trasferimento di embrioni crioconservati porta ad un numero maggiore di bambini sani. Tuttavia la definizione di riferimento quale “bambino sano” è limitata a “gravidanza singola a termine, peso ≥2500 g, sopravvivenza per almeno 28 giorni senza la manifestazione di anomalie congenite”.

E’ intuitivo che tale definizione di “bambino sano” è sicuramente parziale: l’esito di possibili danni sul Dna si può manifestare anche a distanza di mesi o di anni. Conosciamo bene dalla genetica classica che l’effetto di alcune mutazioni ereditarie si manifesta solo in età adulta, tali condizioni vengono definite anche come malattie ad esordio tardivo.

Quindi anche se studi recenti riportano dati che non si evidenzia un aumento di rischio di difetti alla nascita tra embrioni crioconservati rispetto alla Pma che utilizza embrioni non congelati, in realtà dobbiamo ricordare: a) anche con l’utilizzo della vitrificazione rimane un rischio aumentato di anomalie congenite rispetto alle nascite naturali, b) manca una valutazione a lunga distanza per evidenziare ulteriori danni della crioconservazione non visibili nel breve periodo (Neonatal outcome and birth defects in 6623 singletons born following minimal ovarian stimulation and vitrified versus fresh single embryo transfer. Kato O, Kawasaki N, Bodri D, Kuroda T, Kawachiya S, Kato K, Takehara Y. Eur J Obstet Gynecol Reprod Biol. 2012 Mar;161:46-50; M.Wikland et al. Obstetric outcomes after transfer of vitrified blastocysts. Human Reproduction, Vol.25, No.7 pp. 1699–1707, 2010).

Per quanto riguarda il terzo punto è noto che oltre alle classiche mutazioni del Dna o dei cromosomi che determinano difetti congeniti esistono alterazioni non della sequenza del Dna, ma di fattori che regolano i geni stessi, determinandone l’accensione o lo spegnimento. Questi meccanismi sono parte di una disciplina che, seppur non nuova, solo recentemente ha rivelato la sua enorme importanza nella regolazione del genoma: l’Epigenetica. Infatti mentre solo 1-3% del nostro Dna codifica per le circa 30mila proteine che costituiscono il nostro corpo, circa il 30-50% del Dna contiene sequenze che servono a regolare i geni. Questa regolazione avviene con una fortissima interazione con l’ambiente – intendendo quest’ultimo nel senso più ampio del temine – partendo dai messaggi tra cellula e cellula dello stesso tessuto, a segnali esterni al nostro organismo che vengono attivati anche da stati emotivi per stimoli esterni. In quest’ottica anche stimoli derivati da variazione della temperatura potrebbero influire su meccanismi epigenetici e potrebbero evidenziare gli effetti solo a distanza di tempo o anche nella generazione successiva. Esistono inoltre regioni del genoma umano che subiscono tale regolazione epigenetica proprio durante la formazione del gamete, per cui alcuni geni sono attivi solo nei gameti maschili ed altri solo nei gameti femminili: l’equilibrio genico nasce da una unione corretta di gameti derivati dai due sessi.

Tale fenomeno viene denominato “Imprinting” e può essere paterno o materno.

Esistono diverse segnalazioni di un aumento di errori dell’imprinting in bambini nati tramite Pma (Emily L. et al. Epigenetics and Assisted Reproductive Technology: A Call for Investigation. Am. J. Hum. Genet. 74:599–609, 2004; Gicquel C. et al. In Vitro Fertilization May Increase the Risk of Beckwith-Wiedemann Syndrome Related to the Abnormal Imprinting of the KCNQ1OT Gene. Am. J. Hum. Genet. 72:1338–1341, 2003; K. H. Ørstavik K.H. et al. Another Case of Imprinting Defect in a Girl with Angelman Syndrome Who Was Conceived by Intracytoplasmic Sperm Injection. Am. J. Hum. Genet. 72:218–219, 2003)

Studi recentissimi valutano diversi parametri che caratterizzano
lo stato epigenetico dello sperma, quali ritenzione e modificazioni istoniche, modificazioni della cromatina e la metilazione del Dna, portando evidenze del coinvolgimento del gamete maschile non solo quanto tale, ma anche come elemento in grado di determinare vari aspetti dello sviluppo embrionale. Le modificazioni epigenomiche vengono quindi poste alla base di patologie del soggetto anche in età adulta (T G Jenkins and D T Carrell. The sperm epigenome and potential implications for the developing embryo. Reproduction. 2012 Jun;143(6):727-34).

In conclusione possiamo dire che mentre esiste una documentazione consolidata sull’aumento delle anomalie congenite nei neonati che hanno subito un processo di Pma, non è ancora stato adeguatamente studiato il possibile effetto della crioconservazione sul patrimonio genetico degli embrioni e servono studi di follow up con periodi di tempo adeguati per poter chiarire i possibili effetti patogenetici anche alla luce delle recenti e crescenti conoscenze sui meccanismi epigenetici.

* Direttore della S.C. Laboratorio di Genetica Umana, E.O. Ospedali Galliera di Genova
Consigliere nazionale Associazione Scienza & Vita

(per consultare la newsletter di Scienza & Vita, si può cliccare sul seguente link: http://www.scienzaevita.org/materiale/Newsletter58.pdf)

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ZENIT Staff

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