Educare: uno sguardo che libera l'uomo

Emergenza educativa, sì, ma un po’ di ottimismo, perché educare è bello!

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COMO, domenica, 28 ottobre 2012 (ZENIT.org).- Riportiamo il testo della relazione tenuta mercoledì 24 ottobre da padre Franco Moscone, preposito generale dei Chierici Regolari Somaschi, presso la fondazione Cometa.

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Ringrazio la Fondazione Cometa per l’iniziativa di questa serata e per aver voluto portare a Como la mostra: San Girolamo Emiliani, 500 anni per l’educazione. Como, per noi Somaschi, è una delle città del Fondatore, quindi ci collega fisicamente alla sua opera e ci interpella a rimanere fedeli al suo carisma e missione. Un carisma che ha nel seguire Cristo Crocifisso il motivo ispiratore, ed una missione che si impegna e cresce nella sfida educativa a favore della gioventù, in particolare se povera ed abbandonata. La presenza ininterrotta a Como dei Somaschi, Girolamo vi arriva nel 1533, ormai quasi da 480 anni, dice attraverso una costellazione di opere differenti per tipologia ed approccio caritativo-pastorale proprio tale spiritualità (= centrarsi su Cristo Crocifisso) e missione (rischiare la sfida educativa).

Introduzione: uno sguardo sul verbo “educare”

Dentro il quadro del tema della serata (EDUCARE: uno sguardo che libera l’uomo), vorrei portare una sottolineatura particolare, indicare partendo dall’esperienza e dal modello educativo di San Girolamo, la bellezza della missione educativa. Tenendo conto del particolare momento storico che stiamo vivendo, dei continui richiami del Santo Padre, del riferimento carismatico della Fondazione Cometa al movimento di Don Giussani, ecc., darei questo titolo al mio intervento: Emergenza educativa, sì, ma un po’ d’ottimismo, perché educare è bello! Mi appoggio per motivare questo approccio al tema a due affermazioni che condivido profondamente e che ho citato al termine del mio intervento al Meeting di Rimini.

La prima è del brasiliano Paulo Freire: “l’educazione non cambia il mondo: cambia invece le persone che vanno a cambiare il mondo”. Forse è per questo, che non cambia il mondo, che l’educazione è sottostimata, non fa parte degli interessi economici, non sembra muovere il PIL, ed al suo posto sono preferite altre parole: didattica, informazione, metodologia, ecc. Se dunque vogliamo rilanciare l’educazione per quello che veramente è, dobbiamo partire non dal versante economico, ma da quello relazione, usando una parola altisonante, partire dal versante estetico.

Eccomi così alla seconda affermazione, è tratta dalla lettera del card. C.M. Martini Dio educa il suo popolo alla Diocesi Ambrosiana del 1987: “educare è difficile, educare è possibile, educare è prendere coscienza della complessità, educare è cosa del cuore, educare è bello”[1]. Si tratta, come dice il cardinale, di cinque tesi, attraverso cui suddivide la lettera al fine di suscitare la possibilità di fronte alla complessità dei problemi odierni di rinnovare la passione educativa.

Prima parte: appassionati dell’arte educativa

Se l’educazione ha un valenza estetica è perché si tratta di un’arte, e come sottolineava Paolo VI la più difficile e delicata delle arti. Nella difficoltà e nella delicatezza dell’educazione ne scopriamo la bellezza e ci appassioniamo ad essa.

A motivo della difficoltà e dell’urgenza in cui tutti ci troviamo in una civiltà globalizzata e che viaggia a ritmi velocissimi, tanto da toglierci il fiato, parliamo con troppa facilità di emergenza educativa. E’ vero, siamo in situazione d’emergenza se ascoltiamo solamente la cronaca dei nostri tempi e manteniamo uno sguardo orizzontale sugli individui e la società civile. Ma un tale sguardo indulge al pessimismo educativo e, credo, non sia poi del tutto evangelico ed ottimale per chi con passione voglia lanciarsi nella sfida educativa. Permettetemi allora tre osservazioni per “relativizzare” l’emergenza,e recuperare il positivo ed il bello dell’educazione.

Prima osservazione: ogni età, ogni generazione ha vissuto ed è chiamata a vivere nel proprio tempo tale emergenza educativa. Non è mai esistita età/generazione, né esisterà che non debba passare attraverso questa sfida: quindi, primo dovere è non spaventarsi nell’affrontare tale impegno. A motivare tale osservazione potrei portare tante testimonianze dalla storia civile o dalla letteratura, preferisco fare brevi accenni biblici:

tutti i libri dei Profeti sono richiami pressanti, urgenti (per il loro tempo e le loro situazioni) al bisogno di riprendere ad educare il popolo dell’Alleanza (= situazione d’emergenza); il libro del Siracide (come quasi tutti i libri detti sapienziali) si pone come un manuale dell’educazione che un buon padre lascia al proprio figlio perché lo trasmetta ai nipoti …; i Vangeli sinottici, nella parte centrale – viaggio verso Gerusalemme – si presentano come l’opera educativa di Gesù verso i suoi discepoli (= affrontò più di una emergenza); la Bibbia si apre presentando un fallimento educativo: Gn 3 (il peccato originale). Ma se è così allora dobbiamo dire che il primo ad aver fallito in questo campo è lo stesso Creatore, è Dio!

Seconda osservazione: nel campo educativo la situazione di oggi si è fatta solo più complessa, ma non per questo irrisolvibile (la novità sta, secondo me, non tanto in modalità psicologiche inedite dei giovani di oggi, ma nella complessità socio-culturale). A motivare tale affermazione tre citazioni:

“Nessuna epoca ha saputo meno della nostra che cosa sia l’uomo” (M. Heidegger). Ciò non significa che non si possa cercare di sapere, e tanto meno di darci per vinti; “Esorto il mondo a osare di guardare in faccia la realtà. L’uomo è divenuto un superuomo riguardo al potere. Ma – ecco il fatto pericolosissimo e nefasto – più cresce il potere dell’uomo e più l’uomo diventa un pover’uomo. Le nostre coscienze non possono non essere scosse da questa considerazione: più cresciamo e diventiamo superuomini, più siamo disumani” (A. Schweitzer alla consegna del Nobel per la pace nel 1952); “oggi il massimo potere si unisce al massimo vuoto; e il massimo di capacità va insieme al minimo sapere intorno agli scopi ultimi della vita”(Hans Jonas 1903-1993).

Le tre voci che ho riportato vanno verso il tentativo di individuare una cultura capace di proporre alla società anche la soluzione educativa:

tornare al centralismo dell’antropologia (= sapere cos’è l’uomo prima di sapere di cosa l’uomo è in grado di fare o può fare); Heidegger rifarsi a un sano realismo, che trova nella coscienza il luogo del giudizio e della misura sulle possibilità d’azione; Schweitzer ritornare ad un sapere forte sulle finalità dell’uomo; Jonas.

Terza osservazione: applicare all’educazione la frase più ripetuta nella Bibbia (ben 365 volte, una per giorno dell’anno!), e la più cara a Giovanni Paolo II: “non abbiate paura!”.  Il card. Martini, che per primo nella Chiesa italiana ha sollevato il problema educativo, non ha mai usato la parola emergenza, ha invece preferito richiamarsi ai Padri (Agostino in particolare) facendo riferimento al Maestro interiore. Se le cose stanno così, se esiste per tutti, ma soprattutto per i giovani, un Maestro interiore (e noi cristiani sappiamo chi è questo Maestro: lo Spirito Santo), allora, cari genitori, insegnanti, educatori, non scoraggiamoci, abbiamo dalla nostra parte un grande Alleato, e questo Alleato abita addirittu
ra nel cuore di ogni persona.

Aggiungo alle tre osservazioni fatte sopra, allo scopo di appassionarci alla bellezza dell’educazione, sgombrando il campo dall’indulgere al pessimismo e dal sentire l’educazione come un peso, due affermazioni su ciò che non è educare.

Prima affermazione: educare non è manipolare. Se l’educazione è un’arte, lo è in modo del tutto particolare. Non è manipolare, perché non richiede una sola libertà (quella dell’educatore/artista) che si impone su una materia (l’opera d’arte/educando). Si tratta dell’incontro di due libertà: quella dell’artista e della sua opera, dell’educatore e dell’educando. E queste libertà si incontrano dentro il quadro di una terza libertà, la libertà originaria, quella del Creatore (la libertà di Dio liberatore).

Seconda affermazione: l’educazione non è una disciplina, ma è una relazione. Una particolare modalità di relazione tra generazioni e livelli diversi (adulto e giovane; maestro ed allievo, padre/madre e figlio; ecc.). E la relazione come tale richiama continuamente la triplice libertà accennata nell’affermazione precedente. Mi pongo sovente questa domanda: che cosa ricorderanno (secondo l’etimologia = porteranno nel cuore) di noi da grandi i nostri figli/alunni/allievi? Le cose che gli abbiamo dato, le lezioni che gli abbiamo imposto, i regali che gli abbiamo fatto (in altre parole: le cose con cui li abbiamo riempiti), o il tempo passato con loro? Io credo che ricorderanno (manterranno nel cuore) il con della qualità del tempo con cui ci siamo relazionati con loro.

Se quanto affermato è vero, allora, anche in un quadro di apparente emergenza (e sarà sempre emergenza nel nostro settore!), possiamo essere sicuri che educare è un’arte gioiosa, e non può essere un lavoro forzato (cfr. sempre il card. Martini), che educare è bello e piacevole, e non può essere diversamente perché la bellezza parla all’organo dell’affettività/relazione che è il cuore. Ha ragione Dostoevskij quando afferma che la bellezza salverà il mondo, e lo salverà partendo dalla bellezza educativa.

Seconda parte: il metodo educativo di san Girolamo è esteticamente bello

Passo ora a San Girolamo ed al suo metodo educativo. Siccome sono un insegnante ve lo presento, non da esperto di pedagogia o didattica, ma da chi ha trascorso anni sui banchi di scuola, nei corridoi e sui campi da gioco, ed anche con in quelle esperienze che si chiamano “gite scolastiche”. L’ho costruito, per facilità di comunicazione, secondo uno schema grammaticale, fatto di quattro passaggi. Anche se non si trovano in questo particolare schema nei testi di Girolamo Emiliani, o in quelli che di lui parlano, si tratta di passaggi presenti e forti del suo carattere educativo e mi fanno dire, per averlo provato, che il suo metodo è esteticamente bello[2].

Primo passaggio: la precedenza del passivo

Girolamo conosce se stesso qual è veramente, con tutte le sue sofferenze e debolezze, e quale potrebbe essere, non da una ricerca psicologica su se stesso, o da una programmazione esistenziale (= preparazione di una carriera), ma a partire da un evento; e per di più da un evento di sconfitta. Quanto celebriamo quest’anno è proprio questo: riconoscere che una sconfitta, invece di diventare frustrazione e morte, si è trasformata in nuova occasione (un suo amico la definisce occasione della Provvidenza) e strumento di vita e risurrezione per se e per altri. L’esperienza del mese di carcere è stata per lui come il tempo della gestazione, l’utero in cui ha avvertito una presenza che lo preparava alla vita. Lì ha imparato su se stesso che non c’è luogo e persona senza Dio, ma che Dio gli è al fianco e lo solleva: quello che conta non è trovare Dio, ma lasciarsi trovare da Lui … ed a volte Dio ci permette di scendere fino all’inferno perché poi possa prenderci per mano. Da quell’inferno ne esce “miracolosamente” libero, ma non basta, c’è una strada da percorrere. Anche questa non può essere condotta in solitario. Non basta conoscere la meta, c’è bisogno di qualcuno che mi indichi i passi, mi sostenga nelle difficoltà, mi rincuori nella fatica, se no la libertà appena acquisita rischia di trasformarsi in nuovo carcere, esternamente più ampio, ma infinitamente più insensato. Girolamo ha fatto questa esperienza nel mese di carcere e nella notte della liberazione: una esperienza che lo ha educato, e che prima di aprirgli le porte del carcere fisico, gli ha aperto e continuato a tenergli aperte le porte del suo cuore.

Senza questa esperienza che definisco precedenza del passivo, non sarebbe successo nulla nella sua vita di quanto lo portò a essere organizzatore di opere di carità educativa e Fondatore. La precedenza del passivo mi assicura che posso educare, perché sono stato prima educato, posso amare (e ci riesco ad amare) perché sono stato prima amato (1Gv 4,10).

Secondo passaggio: il presente d’incarnazione

C’è un’espressione che ritorna con forza negli scritti di Girolamo, e che viene ben osservata e quasi stenografata dal suo amico (Anonimo): quest’espressione è resa con la formuletta “stare con”. Si tratta di stare con Cristo, ma questo stare con Cristo ha un’esigenza, quella di stare con i fratelli, e tra questi con i più piccoli, perché sono loro (i più piccoli) che meglio rappresentano Cristo. Questo stare con è l’esperienza del discepolo nei confronti del Maestro (Mc 3, 14: li costituì perché stessero con Lui), che si trasforma immediatamente in funzione educativa (Mc 3, 15: per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni). Come si comporta Cristo con i discepoli, così deve essere per i discepoli con la gente a cui sono mandati. Di questo Girolamo ne era non solo convinto, ma ne diventa testimone vivente ed attraente.

Chiamo quest’atteggiamento di Girolamo con un’espressione resa famosa ultimamente da Daniel Pennac nel suo libro Diario di Scuola e specificata come presente d’incarnazione[3]. Non credo che Pennac intendesse la valenza cristologica di tale formula, ma Girolamo non ne ha avuto mai dubbi che fosse così. Nello stare con i piccoli sta con Cristo, e come Cristo diventa strumento di salvezza: educare è salvare alla vita piena. L’educatore che salva è colui che sta qui ora con me, che non mi abbandona, che ricomincia ad ogni passo, che prima di giudicarmi mi ama e se mi giudica è perché mi ama! Un’esperienza così è possibile solo come previo lavoro educativo su se stessi.

Terzo passaggio: i verbi ausiliari dell’educazione

Girolamo ha vissuto da educatore in una situazione socio-culturale fragile e di confine, non molto differente da quella di oggi. Il suo stile, acquisito dall’esperienza di essere stato trovato ed accompagnato da Dio, si è presentato come un continuo prendersi cura dei suoi fratelli più piccoli costruendo una relazione educativa ben supportata da particolari attenzioni. Raccoglierei oggi tali attenzioni in uno schema verbale che chiamerei i verbi ausiliari dell’educazione. Ne faccio un breve e veloce elenco, senza voler essere esauriente, e limitandosi a verbi che iniziano con la lettera A.

 Ascoltare: attitudine a lasciar parlare l’altro, a creare le condizioni perché l’altro possa parlare; ascoltare è far parlare, è dare parola
(cfr. ob-audire: dare, prestare ascolto, contro la logica dell’audience che è fare ascolto). Educo se faccio parlare i giovani: non sapendo più ascoltare hanno perso anche la capacità di parlare.

Accogliere: è fare spazio dentro di sé all’altro, è tenere e mantenere uno spazio dentro di sé per l’altro, è dare tempo all’altro. Accogliere fa sentire all’altro, che riconosco come fratello, tutto il suo valore e la sua unicità.

Attendere: non avere fretta, non correre e non rincorrere, rispettare i tempi dell’altro, avere pazienza (cfr. è questa la virtù più citata e ricorrente nelle lettere e preghiere di Girolamo).

Accorgersi: il verbo indica un movimento ben preciso: dirigersi verso il cuore (l’etimo di accorgersi è proprio ire ad cor). Si tratta di saper stare vicino al cuore: intuire lo sguardo smarrito, spaventato, silenzioso dell’altro, leggere nel silenzio come nell’aggressività della voce, distinguere l’esterno aggressivo dall’interno che domanda aiuto e comprensione.

Accompagnare: l’educatore è chi fa strada insieme con l’altro; è colui che per primo dà la mano; è colui che aiuta ad interrogarsi sul perché; è colui che orienta (= l’etimo di met-odo).

A questi verbi ausiliari se ne possono associare altri: ammonire (= aiutare a pensare, a custodire, a fare memoria), annunciare (ovviamente le “buone notizie”, celebrando la “strategia del positivo” non la vittoria della cronaca o la forza del negativo), ammirare, aggregare, animare.

Di tutti questi verbi ausiliari trovo conferma viva nel metodo educativo del mio Fondatore e ne verifico ogni giorno l’efficacia positiva: l’educazione del cuore passa attraverso il coniugare questi verbi ausiliari.

Quarto passaggio: la Compagnia come luogo educativo

Girolamo chiamò quanto stava sorgendo attorno a lui Compagnia dei servi dei poveri. E così veniva colto da quelli che lo avvicinavano: persona capace di mettere insieme molte buone persone sia sacerdoti che laici, di costituire comunità di poveri abbandonati istruiti nella vita cristiana che si guadagnavano da vivere con il loro lavoro. Per Girolamo non poteva essere diverso: educato nella Compagnia del Divino Amore, doveva costituire Compagnie perché i suoi piccoli crescessero educati alla beata vita del santo Vangelo e da buoni cittadini. L’educazione ha bisogno di uno spazio che unisce e riscalda i cuori, senza questo spazio non si educa, perché l’educazione è cosa del cuore ed il cuore non è solitario, ma cresce legandosi con infiniti legami d’amore (Saint-Exupéry, Il piccolo Principe). Questo miracolo di Compagnia continua. Vi leggo quanto mi ha scritto un’insegnante della nostra scuola di Corbetta che ha fatto l’accompagnatrice alla mostra durante lo scorso meeting a Rimini: “…l’esito oserei dire è stato più grande di ogni aspettativa, chi è passato a vede la mostra ha portato a casa un santo più amico ed attuale … che commozione, da quasi quindi anni assisto quotidianamente al miracolo di vedere bambini e ragazzi felici di venire a scuola e le assicuro che non è un’esagerazione. Qualche anno fa, a metà anno abbiamo inserito in prima elementare una bambina … i genitori ci hanno fatto questa richiesta motivandola così: abitiamo nello stesso palazzo di una delle vostre alunne, l’entusiasmo che questa bambina continua a manifestare per la sua scuola ci ha fatto venire una desiderabile invidia, siamo venuti a vedere l’open day e abbiamo scoperto che i vostri alunni sono tutti così contenti, questo lo vogliamo anche per nostra figlia”.

Conclusione: educare è bello e lo rivela l’esperienza personale

Raccontare due episodi:

Gita scolastica a Napoli. Ho imparato cosa significhi l’affermazione di Girolamo “con questi miei fratelli più piccoli voglio vivere e morire”, quando da loro mi sono sentito dire la stessa frase rovesciata: “se portano te in questura devono portare anche tutti noi!”. Con un gruppetto di adolescenti italiani in Romania. Ho imparato cosa significhi essere grandi nel Regno di Dio, quando mi è stato detto “potrò raccontare tornando a Torino di aver lavato i piatti col generale dei Padri Somaschi!”.

Ed a tutti un augurio evangelico:

… che ogni genitore/insegnante/educatore sia bello come il Pastore del Vangelo di Giovanni (Gv 10, 11ss), bello per entusiasmo e passione educativa, innamorato della vita, ed abbia come motto (= come criterio di giudizio e di lavoro) quello di Paolo in 1Tess 5, 21: “vagliate ogni cosa e trattenete tutto ciò che trovate di bello”[4].

*

NOTE

[1] Per una sintesi del pensiero del card. Martini sull’educazione cfr. MARTINI: Educare nella postmodernità a cura di Franco Monaco, Ed. La Scuola, Brescia 2010. Le citazioni sono prese tutte da questo testo.

[2] Riporto, quasi alla lettera, la prima parte dell’intervento al Meeting dal titolo Cuore ed Educazione:l’esperienza di Girolamo Emiliani. Ho cambiato la testimonianza riportata al termine del quarto passaggio (citazione da una lettera giuntami dopo il Meeting).

[3] Daniel Pennac, Diario di Scuola, Feltrinelli, Milano 2008

[4]  Nel testo greco si legge to kalòn katéXete, quindi la traduzione migliore è ciò che è bello, non ciò che è buono, come si trova nelle traduzioni ufficiali.

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ZENIT Staff

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