Pontificie Opere Missionarie

Ecumenismo e missione: due “parenti stretti”

Comunione e riconciliazione sono i due obiettivi fondamentali della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani

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Sta per concludersi la Settimana di preghiera per l’Unità dei cristiani, ma mai l’impegno e la preghiera per l’unità tra i cristiani, come ha ricordato Papa Francesco nell’Angelus di domenica scorsa, 22 gennaio: “Vi invito a perseverare nella preghiera, affinché si compia il desiderio di Gesù: Che tutti siano una sola cosa”. All’inizio della Settimana di Preghiera aveva detto: “Comunione, riconciliazione e unità sono possibili. Come cristiani, abbiamo la responsabilità di questo messaggio e dobbiamo testimoniarlo con la nostra vita. Dio benedica questa volontà di unione e custodisca tutte le persone che camminano sulla strada dell’unità”.
Nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium aveva scritto: “L’impegno ecumenico risponde alla preghiera del Signore Gesù che chiede che ‘tutti siano una sola cosa’ (Gv 17,21)”. La credibilità dell’annuncio cristiano sarebbe molto più grande se i cristiani superassero le loro divisioni e la Chiesa realizzasse «la pienezza della cattolicità a lei propria in quei figli che le sono certo uniti col battesimo, ma sono separati dalla sua piena comunione… L’ecumenismo è una via imprescindibile dell’evangelizzazione” (nn. 244,246).
In questa dimensione è interessante notare come il cammino ecumenico iniziò verso la fine del 1800 per la sensibilità di alcuni pastori anglicani missionari in India, che portò alla prima Conferenza Missionaria di Edimburgo nel 1910, che diede poi vita nel 1930 al Consiglio Mondiale delle Chiese e successivamente al Consiglio Ecumenico delle Chiese.
Anche in campo cattolico tra i primi a muoversi per l’ecumenismo fu un altro missionario, il beato Paolo Manna del PIME, fondatore della Pontificia Unione Missionaria, che nel 1941 pubblicava un libro coraggioso e profetico per quei tempi: I Fratelli Separati e noi – Considerazioni e testimonianze sulla riunione dei cristiani. “Generale fu il riconoscimento dei meriti specifici del libro per la novità d’impostazione, la ricchezza d’informazione, il caldo afflato apostolico, la sincera coraggiosa disanima di certe situazioni storiche, la praticità dei suggerimenti”, scrisse il primo biografo del Padre Manna, P.G. B. Tragella, iniziatore dello studio della missiologia in Italia. Padre Manna motiva la sua riflessione sull’unione di tutti i cristiani per la credibilità stessa dell’annuncio del Vangelo riferendosi all’esperienza compiuta nel suo viaggio tra le missioni dell’Asia tra il 1927 -1929. Scrive infatti: “L’unione dei cristiani è il più grave bisogno del mondo d’oggi, d’una importanza superiore alla stessa propagazione della fede tra i non cristiani, perché questa non si avrà piena e totale senza l’unione dei cristiani”. Poi spiega i motivi che lo hanno spinto a scrivere il volume in questione e lo spirito con cui lo ha scritto: “Lo studio della vita e dello sviluppo della Chiesa…più che uno studio dev’essere una meditazione, una preghiera e, per chi in questa Chiesa occupa posti di responsabilità, anche un esame di coscienza; perché il fermo e sempre più largo stabilimento della Chiesa in questo mondo non è impresa umana, ma lo svolgimento progressivo del grande mistero dell’umana salvezza operata dal Figlio di Dio e affidata soprattutto allo zelo dei sacerdoti. È con questo spirito che abbiamo scritto queste pagine e così pure che vorremo venissero lette e meditate”.
Il cammino della missione si realizza allora nell’amore più vero, più puro, più totale per ciascuno e per tutti. La nostra vita cristiana è fondata su quella esemplare di Cristo, per cui ciascuno e tutti, la Chiesa, non solo fanno morire in se stessi tutte le inimicizie, ma si pongono come Pace per i vicini e per i lontani, a costo anche della propria vita. “Voi un tempo eravate stranieri e nemici, con la mente intenta alle opere cattive che facevate, ma ora egli vi ha riconciliato per mezzo della morte del suo corpo di carne, per presentarvi santi, immacolati e irreprensibili al suo cospetto” (Col 1,21-22). Effetto della redenzione operata da Cristo è questa vita nuova espressa da Paolo con tre aggettivi: santi, immacolati, irreprensibili. Per mezzo di questa vita nuova, che è personale e deve essere comunitaria, Cristo inaugura i tempi nuovi, il tempo definitivo in cui la Chiesa, comunione dei credenti, deve realizzare la missione che Paolo definisce come “Cristo in voi speranza della gloria” (Col 1,27).
La missione è un prezioso cammino di comunione. Il cristiano deve vivere in comunione profonda perché gli uomini vivano la Pace, che è Gesù stesso, “nostra Pace”, come scriveva ancora Paolo.
Oggi l’umanità deve sentirsi chiamata e attirata dalla vita di comunione di tutti i cristiani, che proprio a partire da loro devono offrire la realtà della comunione tra i credenti in Cristo perché qui si gioca la credibilità stessa dell’ecumenismo.
Allo scadere del secondo millennio, Giovanni Paolo II, andando nel Caucaso e nella Georgia ortodossa, pregava: “Spero ardentemente e prego ogni giorno perché la collaborazione tra le nostre Chiese cresca a ogni livello come espressione eloquente e necessaria della testimonianza del Vangelo alla quale noi tutti, Ortodossi e Cattolici, siamo chiamati… Che ognuno sia un testimone della pace di Cristo, sempre impegnato nel promuovere la comprensione e il dialogo, in particolare con i nostri fratelli e le nostre sorelle ortodossi!”.
Sempre nell’Udienza Generale di mercoledì 18 gennaio papa Francesco si è rivolto anche alla delegazione dell’Itinerario Europeo Ecumenico ed ha affermato: “La vostra tappa a Roma è un importante segno ecumenico, che esprime la comunione raggiunta tra noi attraverso il cammino di dialogo nei decenni scorsi. Il Vangelo di Cristo è al centro della nostra vita e unisce persone che parlano lingue diverse, abitano in Paesi diversi e vivono la fede in comunità diverse”.
Il motivo ultimo dell’urgenza dell’ecumenismo per la credibilità della missione della Chiesa veniva già espresso da san Paolo nella prima lettera ai Corinti, una comunità segnata da divisioni: “Cristo è stato forse diviso?.
Questo interrogativo interpella oggi in modo urgente e drammatico tutti noi cristiani responsabili di realizzare l’accorata preghiera di Gesù nell’Ultima Cena: “Padre, che tutti siano Uno, come tu in me ed io in te” (Gv 17,20). E questo per rendere credibile la missione per la quale il Padre lo ha inviato e Lui, Gesù, ha inviato poi gli apostoli e con loro tutti i battezzati nel suo nome: “Perché siano perfetti nell’ unità e il mondo creda che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me” (Gv 17,23).

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Giuseppe Buono

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