Ecologia umana per salvare i popoli dell'Amazzonia

L’Arcivescovo di Palmas denuncia i piani di sterilizzazione

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di Alessandra Nucci

PALMAS, domenica, 13 aprile 2008 (ZENIT.org).- Al Colloquium Internazionale sul tema dei “Carismi”, organizzato la settimana scorsa a Roma dall’International Catholic Charismatic Renewal Services (ICCRS) e dalla Catholic Fraternity of Charismatic Covenant Communities and Fellowships, ha partecipato in veste di consigliere spirituale della Fraternità cattolica monsignor Alberto Taveira Corrêa, Arcivescovo di Palmas (Brasile), Arcidiocesi di 250.000 anime.

A monsignor Taveira, ZENIT ha chiesto notizie sulla situazione ambientale dell’Amazzonia, sul cui lembo meridionale si trova il territorio della sua Arcidiocesi.

Si sente sempre ripetere che la Foresta Amazzonica deve rimanere assolutamente intatta per fare da “polmone del mondo”. Vi abitano però delle popolazioni che, come tutti, hanno bisogno di strade, di sviluppo. Le risulta che gli ambientalisti tengano conto di tutto questo?

Alberto Taveira Corrêa: Io sono al sud, all’inizio dell’Amazzonia, mentre è l’alta Amazzonia la zona che è vista da tante persone come “polmone del mondo”. Posso dire però che è senz’altro importante il contributo degli ambientalisti, che vogliono dare il dovuto valore alla natura, all’acqua e all’aria.

Tuttavia, talvolta si trovano persone che arrivano quasi a una divinizzazione della natura, e questo non va bene. Ricordo le parole di Giovanni Paolo II, quando disse che la chiave dell’ecologia non è tanto nelle cose della natura, il verde, l’azzurro ecc…. quanto nella persona umana, che è più importante. La chiave è la persona umana, lo sviluppo e la valorizzazione della persona.

Pertanto vanno equilibrate tutte le cose in gioco: la persona, lo sviluppo, la crescita, le città che ci sono, la crescita di queste città, le persone che vivono in campagna. E’ un lavoro di dialogo, di rapporto fra le persone, di presenza della Chiesa nel rapporto con tutte le forze della società. La parola che vale per il tempo che stiamo vivendo è “dialogo”: dialogare con tutte le forze in gioco.

Oggi molti ambientalisti puntano apertamente alla decrescita. Dal suo punto di vista, è ancora valida l’affermazione di Paolo VI, che nella Populorum Progressio scrisse: “Lo sviluppo è il nuovo nome della pace”?

Alberto Taveira Corrêa: Lo sviluppo deve esserci e deve essere sostenibile in tutti i sensi. Quando arriva l’educazione, quando arriva l’energia, quando arrivano le strade, noi possiamo aiutare la gente a non correre subito alle periferie delle grandi città, dove aumenterebbero la povertà che c’è già.

Dobbiamo fare entrambe le cose. Portare lo sviluppo, portare le persone ad andare e venire. Le strade ci vogliono, ma le cose vanno fatte con attenzione, non si possono fare senza le dovute attenzioni tecniche. Per esempio, quando si fa un impianto idroelettrico ci sono enti statali che fanno le indagini necessarie per stabilire l’impatto ambientale. E’ una cosa importante, anche se spesso fa allungare i tempi, perché anche questo dice qualcosa sulle persone, sulle popolazioni, sulla natura e sulle cose che ci sono dentro.

Si sa però che dietro ad alcune campagne ecologiste c’è anche un discorso rivolto al contenimento della popolazione.

Alberto Taveira Corrêa: Può darsi che ci siano delle persone che vogliono creare una sorta di “Museo antropologico" per chiuderci dentro la gente, ma sia da parte del Governo brasiliano che da parte della Chiesa non è così. L’eventuale esistenza di gruppi più estremisti non sminuisce il lavoro serio che si svolge, e che fanno anche gli enti governativi. E’ successo in effetti che quando sono venute progressivamente a mancare le levatrici, divenute anziane, e gli indigeni hanno cominciato a portare le loro donne incinte a partorire in città, tante volte, dopo aver partorito, le puerpere si sono trovate ad essere sterilizzate a loro insaputa. Questo è colpa della tendenza culturale di certi responsabili negli ospedali, e anche di certi medici, convinti che occorra limitare le nascite delle popolazioni più povere. Per questo la Chiesa è intervenuta a “coscientizzare”, a formare le coscienze perché diano il giusto valore alla vita.

Così, per effetto del lavoro fatto in Amazzonia anche con una campagna organizzata dalla Fraternità cattolica delle comunità carismatiche intitolata “Scegli la vita”, oggi gli abitanti indigeni della mia Diocesi sono tornati a crescere: da 1800 che erano, dodici anni fa, oggi sono saliti a 3000. Da noi il figlio è una benedizione, una grazia, come lo era nella mentalità antica degli indigeni, che noi abbiamo aiutato a riprendere i valori che avevano già nella loro cultura, una cultura di crescita e di vita, non di morte.

Da dove veniva la cultura di morte che si era intromessa nella mentalità delle popolazioni indigene?

Alberto Taveira Corrêa: E’ una cultura che c’è nel mondo di oggi in generale. E’ bene ricordare al riguardo le parole di Paolo VI, quando disse che non si tratta di diminuire il numero dei commensali, quanto di aumentare la quantità di cibo che si mette in tavola.

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ZENIT Staff

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