Ecologia e bioetica

ROMA, domenica, 21 marzo 2010 (ZENIT.org).- Per la rubrica di Bioetica pubblichiamo l’articolo di prof.ssa Mariella Lombardi Ricci, docente di Bioetica presso la Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale (sezione di Torino).

 

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SINTESI DEL CAPITOLO

Le parole che usiamo evocano un insieme di significati e di suggestioni. Così avviene anche per la parola ecologia. Sennonché la rivoluzione del sapere scientifico, spalancando all’uomo il potere di modificare la struttura del vivente, ha aperto nuove frontiere anche nel rapporto tra l’uomo e l’habitat in cui egli vive. Problematiche nuove sono entrate prepotentemente nell’ambito della questione ecologica, di per sè vecchia quanto l’uomo, arricchendola di prospettive inedite, che ancora non sono immediatamente comprese nel campo semantico del termine ecologia e dunque rischiano di restare esterne ad essa.

L’ecologia è una questione affrontata e dibattuta in vari ambiti: amministrativo, economico, sanitario, politico, giuridico, filosofico-antropologico; è oggetto di una vasta letteratura specifica; è tema ben noto al pubblico, perché frequentemente trattato dai mezzi di informazione.

Per avvicinare il tema dell’ecologia partiamo dalla bioetica, la prospettiva più nuova. Solitamente si associa la bioetica alla medicina, ma se pensiamo alle ragioni che hanno provocato la nascita di questa nuova disciplina appare plausibile riconoscere anche l’ecologia oggetto della riflessione bioetica. L’intendimento proprio della bioetica non è tanto quello di suggerire tecniche per affrontare singole questioni, quanto piuttosto di indicare spunti per una riflessione etica. L’approccio è quello tipicamente interdisciplinare e attento alla concretezza dei fatti che prende in esame, cioè il risultato e le procedure mediante le quali esso si raggiunge. Si presume, in tal modo, che la partecipazione alla conservazione dell’ambiente possa divenire più consapevole.

Il percorso che faremo ci porterà innanzitutto a conoscere le nuove questioni ecologiche che stanno suscitando, tra entusiasmi e timori, anche il bisogno di prendere tempo per capire il significato di quanto sta accadendo nei laboratori di ricerca; quindi cercheremo di valutare aspetti positivi, rischi e prospettive, per accedere a quelle aperture tecno-scientifiche che possono migliorare la qualità di vita. Le tecno-scienze sono e devono restare uno strumento nelle mani dell’uomo per il bene del singolo e della comunità umana tutta. E su questo nuovo settore dell’ecologia, nuovo e in rapida espansione, credo sia importante soffermarci. Esso costituirà presumibilmente uno spazio nel quale molti giovani troveranno lavoro e potranno indirizzare la loro attività pratica o di ricerca; per questo è bene cercare insieme di capire quale sia la posta in gioco.

L’EVOLUZIONE DELLA QUESTIONE ECOLOGICA

Quando l’uomo è apparso sulla terra, è entrato nel mondo dei viventi in condizioni di totale interscambio. Da allora egli ha cercato di modificare l’ambiente per renderlo meno ostile, proteggendo e favorendo forme vegetali e animali ritenute vantaggiose per la sua esistenza. Ha, così, addomesticato gli animali, ha trasformato i prodotti agricoli mediante vari procedimenti, tra cui la fermentazione per ottenere alimenti, quali, per esempio, pane birra e vino; ha cercato di intervenire sulla popolazione di piante e animali, creando innesti e ibridi. Nonostante l’evoluzione culturale sia venuta ponendo l’uomo in posizione diversa da quella iniziale, non è mai stato possibile annullare lo stato di interdipendenza, perché esso costituisce la possibilità dell’esistenza stessa dell’uomo. Di qui l’esigenza di salvaguardare l’ambiente.

Per renderci conto di quanto sia antica la necessità di salvaguardare l’ambiente basta ricordare che già Artaserse ritenne opportuno mantenere controllato l’abbattimento dei cedri del Libano; ma è solo verso la fine del milleottocento che si acquista consapevolezza che dalla conservazione dell’ambiente dipende la sopravvivenza dell’uomo e del pianeta. Con il progredire della tecnica, l’avanzare dell’industrializzazione, e quindi il ricorso sempre più incisivo alle risorse naturali, ci si rende conto che l’intervento dell’uomo comincia ad alterare le condizioni dell’ambiente naturale in modo così significativo da far sorgere il dubbio che la sopravvivenza stessa del pianeta possa essere messa a repentaglio.

La questione ambientale assume tale consistenza che si sente il bisogno di affrontarla in modo sistematico e organico. L’ecologia diviene una disciplina a sè, il cui scopo è individuare la forma del corretto rapporto tra ambiente e singola specie o raggruppamenti di più specie e tra l’uomo e l’ambiente.

Inquinamento idrico e atmosferico, effetto serra e buco nell’ozono, piogge acide e scorie radioattive, sono solo alcuni degli attuali problemi ecologici. In tempi più recenti sono state prese in considerazione anche le esigenze ambientali dell’uomo in quanto individuo con abitudini sociali, abitudini che si differenziano a seconda dell’età, del sesso, del lavoro. In altre parole si è sviluppata l’ecologia delle città, dove degrado urbano, droga, violenza costituiscono altrettanti aspetti che devono divenire oggetto di intervento per una valida ecologia umana. L’ambiente intero in cui l’uomo vive, naturale e culturale – peraltro non facilmente separabili, costituisce un patrimonio che va protetto.

L’ATTIVITÀ DELL’UOMO SULLA TERRA

La ricerca di modificare il vivente per renderlo più consono alle proprie esigenze, si diceva, ha accompagnato l’uomo fin dal suo apparire sulla terra; ma questo sforzo restava soggetto più al caso, all’incompatibilità tra specie diverse, alla lotteria genetica che alla sua volontà.

Le cose cominciano a cambiare nel momento in cui, intorno alla metà del XX secolo, l’uomo individua la struttura della molecola di DNA (la molecola della vita in quanto è responsabile dell’essenziale del materiale che passa in eredità) e impara a interpretarne il “linguaggio”. Se già alla fine dell’ottocento grazie agli studi del monaco Mendel era stato possibile conoscere alcuni meccanismi di trasmissione dei caratteri ereditari, la biologia molecolare del secondo novecento apre la possibilità di controllare tali meccanismi.

La cellula diviene oggetto di ricerca e in particolare si studia la struttura genetica di vegetali e animali. Di molte specie si decodifica posizione e funzione dei singoli geni che compongono la molecola di DNA e che costituiscono la parte del patrimonio genetico che si trasmette ai discendenti. Tra le specie di cui si studia il DNA e le sue funzioni c’è anche l’uomo. Un esempio è il Progetto Genoma Umano.

Prende corpo così l’idea che sia possibile alterare un carattere ereditario mediante modificazione genetica o introduzione di materiale genetico proveniente da altra specie.

Contemporaneamente altre novità tecnologiche si impongono; da un lato è necessario che i mezzi che si usano siano adeguati all’oggetto su cui si interviene, ricordiamo che si tratta della cellula, e così divengono biologici anche gli strumenti per “tagliare” e “cucire” il materiale genetico, per immettere informazioni: nascono le biotecnologie. Dall’altro l’informatica accompagna questa ricerca, strutturando programmi per identificare, archiviare, assemblare i dati che provengono dai vari laboratori di ricerca e rendendo in tal modo molto più rapido il cammino della ricerca stessa. Si tratta della bioinformatica.

Questa connessione di conoscenza scientifica e tecnologie nuove, trasforma radicalmente la qualità dell’intervento dell’uomo sull’ambiente: al caso e all’aleatorio si sostituisce la trasmissione ereditaria delle modificazioni volute dall’uomo in quella data specie di vivente: anche le generazioni future avranno la nuova caratteristica immessa artificialmente nel loro DNA.

LE BIOTECNOLOGIE

L’applicazione dell’ingegneria genetica, cioè la tecnica di correzione genetica, riguarda in particolare due situazioni, una è la transgenia, che cons
iste nell’immissione di geni estranei alla specie che li riceve il risultato è quello di un vegetale o di un animale transgenico. L’altra la riproduzione asessuata di animali identici a quello di origine o clonazione, che consente di trasmettere ai discendenti la struttura modificata.

Se il gene viene inserito in una cellula sessuale o in un embrione, l’individuo che nascerà conserverà nel suo patrimonio genetico questa modificazione e la trasmetterà ai discendenti. La trasmissione genetica presenta ancora molti aspetti problematici, che sono punto di partenza per nuove ricerche.

La ragione per cui l’uomo ritiene opportuno introdurre geni estranei in una pianta o un animale deriva dal desiderio di renderlo più consono alle sue esigenze. Qualche esempio: oggi esistono capre che producono farmaci nel loro latte; suini con geni umani, primo passo verso la possibilità di utilizzare organi animali o parti di essi per trapianti umani, in quanto essi sono resi geneticamente più affini alla biologia umana in modo da “ingannare” l’organismo ricevente. Si spera in questo modo di abbattere l’incidenza del fenomeno del rigetto, aspetto critico nella medicina dei trapianti.

Recenti ricerche genetiche sono indirizzate ad alterare i ritmi di accrescimento di alcuni animali (potremmo dire di “condensarne” la durata della vita) in modo da renderne più attiva la funzione riproduttiva; migliorarne l’immunità alle malattie; accrescere il valore nutritivo ai prodotti da loro derivati.

In campo agricolo il fine è migliorare la produzione rendendo le coltivazioni più resistenti a condizioni ambientali sfavorevoli (per esempio a climi freddi, aridi, terreni troppo salini); più tolleranti nei confronti di certi componenti chimici (per esempio a diserbanti anche potenti che quindi possono essere usati in dosi minori rispetto a quelle dei tradizionali diserbanti, sebbene questo aspetto sia uno molto dibattuto). Anche per il prodotto finito si rincorre una migliore qualità, regolando il tempo di maturazione a seconda dei bisogni del mercato: il pomodoro, di cui il gene che regola la maturazione è stato “corretto”, marcirà molto lentamente.

PROSPETTIVE, BENEFICI E RISCHI

Le applicazioni dell’ingegneria genetica e i benefici che ne derivano sono ben noti. In campo medico si affacciano nuovi strumenti diagnostici e nuove terapie, la produzione di alcuni farmaci prima rari e/o molto costosi è facilitata, la costruzione di tessuti umani è possibile mediante il clonaggio cellulare. In campo alimentare la prospettiva di rendere coltivabili terreni finora dimostratisi improduttivi apre a risposte inedite al problema della fame nel mondo. In campo agricolo si registra un miglioramento produttivo per quantità e qualità del prodotto. In campo zootecnico è facilitata la selezione e il controllo sulle razze pregiate, la produzione di organismi con caratteristiche rispondenti alle esigenze dell’uomo (si pensi ai batteri i grado di pulire le acque del mare da inquinamento petrolifero).

Neppure il campo economico è esente da benefici: le grandi industrie di biotecnologie come le aziende farmaceutiche che finanziano le ricerche di bioingegneria traggono vantaggi economici dalle applicazioni delle innovazioni a cui hanno contribuito. Proprio in difesa di questo benefico economico è nata la contesa circa la brevettabilità o meno degli organismi manipolati geneticamente.

Lo stato della questione

Il cuore della questione ecologica in riferimento alle biotecnologie riguarda una questione di fondo che successivamente si articola nella concretezza delle singole situazioni. Essa riguarda la difesa di due valori, riconosciuti unanimemente come valori da tutelare, che rischiano spesso di entrare in collisione, da un lato la libertà della scienza e della ricerca a progredire, perché esse costituiscono, se ben usate, uno strumento per il bene dell’uomo, dall’altro la tutela della salute e dell’ambiente.

É questa la ragione del nascere di Comitati di Etica (o Etici o di bioetica)e Commissioni di inchiesta, istituite a vari livelli, fin da quando l’uomo ha scoperto di essere in grado di modificare il patrimonio genetico di un batterio.

Va ricordato che la bioetica non è chiamata ad esprimere giudizi su contenuti scientifici, sono altre le sfere chiamate a questa competenza, ma a capire il senso dell’agire tecnologico dell’uomo. É l’attività umana che ha valore morale, non la conoscenza scientifica in sè.

Rischi interni ai luoghi di ricerca

Inizialmente il timore di rischi riguardava le tecniche e i laboratori di ricerca. Si temeva un’eventuale patogenicità derivante dalla modificazione genetica, donde la necessità di valutare la natura del mutamento indotto nell’individuo transgenico. Così si è deciso di mantenere l’organismo manipolato all’interno dei laboratori e di costituirlo in modo da essere inadatto a vivere in ambiente esterno. Ora la fase iniziale è superata e le biotecnologie sono ritenute sufficientemente sicure; infatti si è raggiunto un consenso diffuso sulle procedure di sicurezza da seguire nei laboratori.

Rischi ecologici

Oggi il problema si è postato dai laboratori all’ambiente esterno, poiché è iniziata l’immissione nell’ambiente di organismi geneticamente modificati. Per quanto riguarda gli animali un problema preliminare concerne le motivazioni e le finalità della ricerca (devono esserci garanzie che la costruzione di animali transgenici sia davvero benefica per l’umanità), che la procedura sia sicura ed efficace (non comporti rischi o effetti secondari indesiderati), che si tenga conto della sofferenza inflitta agli animali, per la quale dovrebbero essere fissati dei limiti.

Il grosso problema etico delle biotecnologie riguarda il fatto che, per vari fattori, non è possibile prevedere interamente gli effetti dell’immissione nell’ambiente di questi organismi. Trattandosi di viventi, entra in crisi la possibilità di controllare rigidamente il processo riproduttivo. Soprattutto a livello botanico il controllo della diffusione della pianta transgenica è molto difficile per il fenomeno dell’impollinazione; nei confronti degli animali transgenici il controllo risulta invece meno complesso. É, quindi, verosimile il rischio di proliferazione dell’individuo transgenico come lo scambio di materiale genetico ad altri organismi. Non solo, ma è anche problematico prevedere quale potrà essere l’equilibrio naturale, dal momento che questi organismi si trovano in assenza di nemici naturali. Ricordiamo che la mutazione genetica induce necessariamente dei cambiamenti fisiologici che non rendono l’organismo riconoscibile dai quelli che dovrebbero essere i suoi naturali nemici. Il rischio di sovrappopolazione di un tale individuo con effetto dannoso sull’ambiente è pertanto reale.

Valutare i rischi è possibile ma non è sufficiente, perché bisogna attuare misure di prevenzione e correzione. Per questo scopo occorrono certezze nelle previsioni, cosa per il momento difficile perché sono ancora in via di studio sistemi di modello per simulare le dinamiche ecologiche relative al rilascio nell’ambiente degli organismi manipolati geneticamente. Inoltre gli effetti a lungo termine sono poco prevedibili.

MASS MEDIA E OPINIONE PUBBLICA

Dal punto di vista scientifico esiste una buona capacità di identificazione del rischio, pur nella consapevolezza dell’impossibilità attuale di previsione certe. Questo spiega il giudizio di accettabilità delle biotecnologie da parte della comunità scientifica. Perché allora dibattiti, talk show, polemiche su questi nuovi organismi? soprattutto perché sembra serpeggiare tra l’opinione pubblica tanta ritrosia verso le biotecnologie­?

Credo si possa affermare che la perplessità diffusa, sociale e psicologica, deriva dal carattere rivoluzionario – e non soltanto evolutivo – dell’intervento genetico sulla vita e quindi sull’ambiente. Si tratta di un inte
rvento che non soltanto muta la struttura fisiologica e funzionale dell’organismo trattato, ma resta permanente ed ereditario; il che significa che influenza sia la struttura delle generazioni future sia l’ambiente in cui esse vivranno. Si comprende perché susciti non soltanto giusta prudenza e accurata riflessione, ma anche reazioni emotive che rischiano di inquinare il dibattito e, in parte, la connessa attività decisionale.

Si percepisce che in questo settore dell’attività umana, le reazioni dell’opinione pubblica hanno un peso notevole sia nel momento normativo sia nel momento della ricerca.

Nel momento normativo perché la questione ecologica è anche, come buona parte ormai delle questioni bioetiche, questione politica.

Nel momento euristico, da un lato perché buona parte della ricerca oggi si avvale di denaro proveniente da industrie private, le quali guidano una ricerca già finalizzata a dei traguardi da raggiungere per poter recuperare gli alti finanziamenti emessi. Dall’altro, perché l’altra fonte cospicua di finanziamenti proviene da denaro pubblico, pubblico nel senso di denaro donato dalla popolazione (sono note le serate televisive in raccolta di fondi da donare alla ricerca scientifica). Occorre quindi che la popolazione non sia lasciata ad una informazione parziale, magari scandalistica o strumentalizzata, ma che sia correttamente informata, su base scientifica chiara e comprensibile, che si enuncino coraggiosamente i rischi e i relativi programmi di copertura, le prospettive benefiche ma anche i limiti che ora, al momento presente, forse è bene porre, per eliminarli non appena le misure di sicurezza saranno perfezionate.

Questo potrebbe essere un modo per definire indici di priorità nella ricerca e nell’uso delle innovazioni, badando ai benefici nel rispetto dei vantaggi per tutta l’umanità (e non solo per la parte di popolazione che è in grado di avanzare nelle tecno-scienze).

ECOLOGIA E UMANITÀ, QUALE RAPPORTO?

L’identificazione dei rischi biologici e ambientali, di cui finora ci siamo occupati, è essenziale per una valutazione etica delle biotecnologie, ma sarebbe riduttivo limitarsi a valutare la sicurezza per l’ambiente e per l’uomo restando soltanto nell’ambito della sicurezza biologica.

Una tale semplificazione darebbe protezione all’uomo in quanto specie vivente tra le altre specie, come “animale umano”, e non come essere biologico che poggia la sua specificità nell’inserimento in un tessuto culturale e simbolico. Che altro significherebbero espressioni del tipo “essere trattato con umanità” o “dar prova di umanità”? Le rappresentazioni simboliche che costituiscono la trama della cultura umana sono situate esse stesso entro un rapporto ecologico.

Il rapporto tra l’uomo e l’animale non è certo esente da simbolismi culturali; “correggere” la pecora, la capra, il maiale, il toro, il topo è difficile presupporre che non abbiano un’influenza sull’immaginario individuale e collettivo. Forse, in modo magari intuitivo più che consapevole e riflesso, la percezione del rischio di rottura, di perdita di questo simbolismo è alla base delle forti remore sociali a fronte degli aspetti più sensazionali della nuova manipolazione dell’uomo sulla vita. La questione ecologia è ben più complessa di quanto non siamo soliti stimare.

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[Fonte: www.portaledibioetica.it]

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ZENIT Staff

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