È possibile evangelizzare tramite la TV?

La televisione tra scristianizzazione e evangelizzazione (Prima Parte)

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1. La valenza culturale della televisione

Alcune lobbies “educano” tramite i mezzi di comunicazione sociale, e in particolare tramite la televisione, intesa dai sociologi dell’educazione come “scuola parallela”.

McLuhan, più di quaranta anni fa, formulava la sua tesi rivoluzionaria secondo cui “il medium è il messaggio”[1], esprimendo l’idea secondo cui, scrive in proposito Ferrero, “ciascun mezzo di comunicazione produce su che ne fa uso determinati effetti sociali e psicologici, particolari relazioni sociali e una particolare forma di coscienza o modo di pensare, assolutamente indipendenti dal contesto trasmesso. Questi effetti costituiscono il messaggio”[2].

L’uomo odierno vive, secondo il sociologo canadese, nell’ “era di Marconi”[3], caratterizzata dall’interdipendenza elettronica, che riduce l’intero pianeta terrestre alle dimensioni di un villaggio in cui le conoscenze si trasmettono rapidamente tra tutti gli uomini.

Nell’era di Marconi la televisione sta assumendo sempre di più una valenza culturale, perché per suo tramite l’individuo umano acquisisce, in modo irriflesso, una molteplicità di significati di carattere morale, religioso, sociale e politico e tali significati agiscono attivamente nel modo di pensare e di vivere di gran parte dell’umanità.

La televisione è un medium definito da McLuhan “freddo”, che coinvolge in modo partecipativo l’utente e, scrive il sociologo, “ci impegna, ci assorbe”[4], a differenza della radio, definita un medium “caldo”, “che non richiede a chi ne fa uso lo stesso livello di partecipazione”[5].

Riguardo alla distinzione tra media caldi e freddi, Boulding scrive: “Si possono distinguere i media in media ‘‘caldi’’, che non esigono da parte di chi li utilizza una grande partecipazione, e media ‘‘freddi’’, in cui al contrario il processo di comunicazione esige una partecipazione importante dell’utilizzatore. L’effetto prodotto da un medium sulla struttura della società dipende in buona parte dalla sua temperatura”[6].

Bettetini sostiene la tesi secondo cui i media, e in particolare la televisione, non descrivono ma costruiscono la realtà. Scrive in proposito l’Autore: “Qualunque linguaggio, quello del cinema come quello dei media, costruisce la realtà, ne sceglie alcuni elementi, li mette in un certo rapporto, quindi attua una messa in scena. Certamente però la verità nel rappresentare la realtà può subire nei grandi media numerose ferite, soprattutto per l’alto numero di persone cui l’informazione è diretta. Uno dei fattori che in misura più forte oggi influenza la scelta dei fatti da rappresentare e il modo di rappresentarli è che la qualità del prodotto, soprattutto televisivo, è misurata con l’audience[7].

La TV costruisce la realtà in funzione dell’audience e delle lobbies economico-finanziarie che posseggono i mass media.

I messaggi che vengono veicolati dal mezzo televisivo condizionano pervasivamente la visione del mondo degli utenti e, in modo particolare, il pensiero in formazione delle giovani generazioni.

2. Caratteri essenziali del linguaggio televisivo

L’analisi dei messaggi che vengono veicolati dal mezzo televisivo presuppone che venga individuata, nei suoi caratteri essenziali, la struttura del linguaggio televisivo, ed è utile, per evitare fraintendimenti semantici, che venga effettuata una sintetica explicatio terminorum relativa a concetti specifici della linguistica.

Come ogni linguaggio anche quello televisivo è un insieme di segni. Il segno è ciò che signat, quindi ciò che rimanda ad altro da sé. Di fatto, l’uomo vive all’interno di un mondo di segni con caratteristiche specifiche molto diverse tra di loro ma accomunate dall’essenziale rimandatività.

I linguaggi, cioè gli insiemi di segni, sono molteplici e si distinguono tra loro in base alle diverse tipologie semiologiche. Esistono infatti linguaggi verbali, legati al verbum, alla parola, e linguaggi non verbali che invece prescindono dalla parola. Molte differenze esistono all’interno di queste due famiglie linguistiche. Per esempio, si deve distinguere nel linguaggio non verbale quello corporeo da quello iconico e musicale e, nel linguaggio verbale, quello denotativo della scienza e quello connotativi dell’arte.

Il linguaggio televisivo viene definito dai linguisti come “linguaggio contornuale”, “quello – scrive Neffari – in cui il segno esprime in forza di una connaturalità tra i contorni di una cosa e i contorni di un segno”[8]. I contorni delle cose, scrive ancora l’Autore, “sono i segni sensibili (visivi, uditivi, olfattivi, gustativi) attraverso i quali le cose che ci circondano […] si manifestano per quello che sono: per es. una sedia si manifesta per ciò che è attraverso la sua forma, quindi i suoi connotati visivi”[9].

Secondo Taddei il linguaggio contornuale della televisione è il “linguaggio dell’immagine in senso ampio, che può essere fatto anche di segni verbali, ma strutturati secondo i criteri del linguaggio contornuale”[10]. In effetti nel linguaggio televisivo segni di carattere iconico si combinano con altri di carattere musicale e verbale per cui tale linguaggio si presenta come una sintesi tecnologica dell’universo semiologico con cui l’umanità è in contatto.

La connotazione fondamentale del linguaggio contornuale televisivo è la comunicazione, intendendo con questo termine un’attività relazionale-linguistica guidata da scopi, impliciti o espliciti.

Ogni atto comunicativo, in quanto tale, si struttura essenzialmente nei seguenti elementi: il mittente, il destinatario, il significato, il significante, il canale, lo scopo[11].

Il mittente è la persona il cui scopo, implicito o esplicito, è quello di comunicare a un destinatario una serie di significati, che si estende dalle pure informazioni conoscitive alla manifestazione dei sentimenti più profondi.

I significati vengono espressi tramite i significanti, cioè veicoli di carattere fisico (dalla parola ai movimenti e alle posizioni del corpo) che hanno la funzione di manifestare i significati.

I significati vengono quindi veicolati dai significanti, e questi ultimi pervengono dal mittente al destinatario tramite canali determinati, cioè vie di comunicazione, come ad esempio il canale uditivo-vocale nel caso della parola o quello visivo-manuale nel caso del gesto.

[La seconda parte verrà pubblicata il prossimo sabato, 16 marzo 2013]

*

NOTE

[1] M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Garzanti, Milano 1976, II ed., p. 11. Il corsivo è nel testo. Così anche in seguito.

[2] B. Ferrero, Mass-media: una sfida agli educatori, in G. Tomolo, S. De Pieri (a cura di), Educare i preadolescenti, Elle Di Ci, Torino 1990, p. 130.

[3] McLuhan individua quattro tappe nell’evoluzione dell’umanità, l’ultima delle quali è definita l’”era di Marconi”. Cfr. in proposito N. Alcover Ibáňez, Los medios de comunicaciόn social, in Aa. Vv., Intrόducion a los medios de comunicaciόn, Ediciones Paulinas, Madrid 1990, pp. 61-62.

[4] M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano 1967, p. 331.

[5] Ibidem.

[6] K. E. Boulding, Il est typique des esprits très créateurs d’enforcer de très gros clous mais de taper toujours un peu à coté, in Aa. Vv., Pour ou contre McLuhan, Ed. du Seuil, Paris 1969, p. 63.

[7] G. Bettetini, A. Fumagalli, Quel che resta dei me
dia. Idee per un’etica della comunicazione
, F. Angeli, Roma 1998, p. 91.

[8] G. Neffari, Vivere i mass media, EDAV, Roma 1990, p. 20.

[9] Ibidem.

[10] N. Taddei, Nuova evangelizzazione nuova comunicazione, Centro internazionale dello spettacolo e della comunicazione sociale, Roma 1994, p. 82.

[11] Riguardo all’analisi dei fattori del processo comunicativo, cfr. P. Poggi, Sguardi, gesti, parole, in “Italiano e oltre”, 1, 3 (1983); I. Poggi (a cura di), Le parole nella testa, Il Mulino, Bologna 1987.

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Maurizio Moscone

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