E' possibile credere senza praticare?

Un Arcivescovo brasiliano commenta la frase frequente Credo ma non pratico

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SAN PAOLO, doomenica, 30 ottobre 2011 (ZENIT.org).- E’ possibile credere ma non praticare? Se lo è chiesto monsignor Murilo S. R. Krieger, scj, Arcivescovo di São Salvador da Bahia (Brasile), soffermandosi in un articolo su una frase che si sente ripetere spesso a questo proposito.

“Quando, in un incontro tra amici, la conversazione ruota intorno a questioni religiose, è comune che qualcuno dica, con naturalezza e sicurezza: ‘Credo ma non pratico!’ E’ un’affermazione che sembra tanto ben formulata, tanto logica che in genere nessuno la contesta. Così, qualche giorno dopo, in un altro gruppo, se la discussione verte su questioni religiose, è possibile che qualcuno pronunci la stessa affermazione”, indica l’Arcivescovo.

“Più che essere un’affermazione isolata, questa idea per cui si può credere senza mettere in pratica ciò in cui si crede è così comune che in molti ambienti è già diventata una mentalità”, osserva.

Per monsignor Krieger, “la giustificazione di questo comportamento varia da persona a persona”: “c’è quella che ha messo da parte la pratica religiosa per la delusione nei confronti di una guida della comunità; un’altra, senza rendersene conto, ha abbandonato a poco a poco la sua vita di fede; ha passato tanto tempo senza leggere la Parola di Dio, senza pregare e senza assistere alla Messa domenicale che, quando l’ha notato, aveva già organizzato la propria vita di modo che non c’era più spazio per espressioni religiose”.

Altre persone, invece, “avevano una conoscenza così superficiale della propria religione che l’hanno abbandonata senza farsi tante domande”, così come ci sono “quelle che vogliono il Battesimo dei figli come semplice atto sociale”.

“E’ possibile credere senza praticare?”, chiede l’Arcivescovo brasiliano.

“Certe persone lasciano la pratica religiosa dicendo di cercare una maggiore autenticità. Dicono di non amare norme e riti, di preferire una religione ‘più spirituale’, senza strutture”.

A suo avviso, “dimenticano che siamo esseri umani, non angeli”. “Gli angeli non hanno bisogno di segni, gesti e parole per relazionarsi”.

“Noi, al contrario, usiamo perfino il nostro corpo come mezzo di comunicazione. Traduciamo i nostri sentimenti con un sorriso o una stretta di mano, una parola o una pacca sulle spalle; ci teniamo a riunirci con la famiglia nei giorni di festa e telefoniamo a un amico per fargli gli auguri nel giorno del suo compleanno; regaliamo una rosa alla nostra mamma e restiamo incantati per il gesto del bambino che apre le braccia per accogliere il papà che arriva”.

“Come possiamo allora relazionarci con Dio solo con il linguaggio degli angeli, che nemmeno conosciamo?”, chiede il presule.

“La fede ci introduce nella famiglia dei figli e delle figlie di Dio”, ha sottolineato. “In essa, è fondamentale la pratica dell’amore verso Dio e verso il prossimo. La nostra famiglia cristiana ha una storia, una ricca tradizione e celebrazioni bellissime. Può essere che qualcuno non le capisca. Ma prima di ignorarle semplicemente o, peggio, di disprezzarle, non sarebbe più producente cercare di conoscerle, penetrare nel loro significato e scoprirne i valori?”.

Per l’Arcivescovo di São Salvador da Bahia, “non si può volere una fede senza gesti con la scusa della ricerca di maggior autenticità”.

“Il Padreterno, quando ci ha voluto dimostrare il suo amore, ha tenuto conto del nostro modo di essere, di pensare e di agire. Più che esprimere ‘spiritualmente’ il suo amore, lo ha concretizzato: ci ha inviato suo Figlio, che ha abitato tra noi”.

“’Credo ma non pratico’. La fede (‘credo’) e la vita (‘non pratico’) non possono essere separate. Per loro stessa natura, devono essere unite. Una fede senza opere è morta; le opere, anche se di pietà, senza fede diventano vuote”, ha concluso.

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ZENIT Staff

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