Dopo la moratoria per i Caino serve quella per gli Abele

ROMA, domenica, 13 gennaio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito per la rubrica di Bioetica l’intervento del dottor Renzo Puccetti, Specialista in Medicina Interna e Segretario del Comitato “Scienza & Vita” di Pisa-Livorno.

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L’Occidente è malato, anzi di più, è in preda ad uno shock settico. La cosa ancora più triste è che coloro che si accorgono della malattia, che indicano la necessità di cure urgenti e magari dolorose, sono additati come pazzi visionari da scacciare fuori dall’Italia, dall’Europa, o se possibile fuori dal sistema solare.

Questa piaga si chiama aborto legale, ha colpito l’Inghilterra nel 1967, la Francia nel 1975 e l’Italia nel 1978. Giuliano Ferrara ha il grande merito di avere compreso la situazione e attraverso la sua “dieta speciale” ha spremuto il bubbone richiamando l’attenzione della società civile: dopo la moratoria per i Caino serve quella per gli Abele. 

Come si è visto in occasione del referendum sulla legge 40 e come indicato da alcuni sondaggi (1), nel panorama italiano le posizioni radicali in materia di vita nascente sono assolutamente minoritarie. L’abortismo libertario, il feto come proprietà della donna, è posizione non condivisa nella Nazione e rifiutata anche dalle sentenze che escludono un diritto all’aborto tout court. È però maggioritario quello che Lombardi-Vallauri ha chiamato abortismo umanitario. Secondo questa visione, l’aborto è un male più o meno grande, ma una legislazione che renda l’aborto legale e facilmente accessibile è una necessità dettata dall’intento di ridurre i danni arrecati dall’illegalità.

L’orizzonte morale in cui tale concezione si inserisce è chiaramente quello proporzionalista, una concezione costantemente rifiutata dall’insegnamento magisteriale che ha invece sempre ribadito l’esistenza di azioni intrinsecamente malvagie, che mai, in nessuna circostanza possono diventare buone, includendo tra queste l’aborto volontario (2). 

Dibattere quindi sulla legislazione dell’aborto in termini di utilità, conseguenze e aggiustamenti normativi non può essere indicato come un percorso rigorosamente cattolico; chi lo fa è consapevole di muoversi in un orizzonte laico. Si tratta di un elemento che ingenerosamente viene disconosciuto dal fronte laicista, che in maniera fideistica e talora settaria si sottrae a tale confronto, dogmatizzando la legge e rifugiandosi nel comodo, un tempo efficace, ma ormai logoro schema della mistificazione e dell’invettiva (3) (4).

C’è un’inquietudine crescente di un mondo che aveva creduto di scindere ragione e fede, confinando quest’ultima in un recinto muto, privato e insignificante, ma che ora si trova a fare i conti con i frutti seminati; frutti imbarazzanti e amari, anzi amarissimi, nei cui confronti la società comincia, seppure in maniera ancora indistinta, a scoprire le bugie con cui le piante che li hanno generati erano state seminate e coltivate. 

In questi giorni sono stati attribuiti alla legge 194 una serie di meriti di cui il Ministro della Salute si è fatta garante (5), primo fra tutti quello di aver determinato la riduzione del numero di aborti. Il Ministro è persona colta, è per giunta laureata in Filosofia, e dovrebbe quindi essere attenta a non cadere nella fallacia logica del post hoc, ergo propter hoc. Se uno accende una sigaretta e dopo un minuto una tegola gli cade in testa, non vuol dire che le sigarette facciano cadere le tegole. Dal 1979 al 1982 il numero assoluto di aborti ufficialmente registrati è aumentato, per poi ridursi negli anni successivi, il tutto a legislazione invariata: effetto ad intermittenza? Il Ministro ha stuoli di esperti che potranno spiegarle che difficilmente la riduzione degli aborti è attribuibile alla contraccezione, stabile ormai da anni nel nostro Paese, basata in larga misura su metodi teoricamente poco efficaci, impiegata in percentuali che vedono l’Italia agli ultimi posti in Europa. Basta controllare le statistiche ufficiali per accorgersi che in Francia, Inghilterra, Scozia, Svezia, il ricorso all’aborto è nettamente maggiore nonostante pratiche contraccettive più sofisticate e diffuse.

No, deve esserci qualcosa di diverso, tra questi, forse, la riduzione della fertilità maschile, come è stato recentemente segnalato in uno studio danese (6), assieme allo sforzo di migliaia di volontari che con la Chiesa si sono adoperati per sostenere materialmente le donne in difficoltà e impedire, anche culturalmente, che la luce dell’aiuto alla vita fosse ancor più messa sotto il moggio. Ne è una prova il crescente ricorso all’aborto in Paesi come la Francia e l’Inghilterra, che del laicismo etico hanno fatto una bandiera, annullando il contributo sociale della religione. 

Negare, come sostenuto dal Ministro, che l’aborto legale sia strumento che di fatto realizza pratiche eugenetiche è operazione intellettualmente disperata.

Mentre nella popolazione generale italiana il rapporto di abortività è di 241,8 aborti ogni 1000 nati vivi, per i bambini down è di 600 in Campania, sale a 800 nel Triveneto e raggiunge 1600 in Toscana ed Emilia Romagna (7). I bambini down hanno cioè probabilità di essere soppressi prima della nascita 3-6 volte maggiori che i sani. I casi del bambino sopravvissuto all’aborto di Careggi e delle gemelline soppresse al San Paolo di Milano sono solamente la drammatizzazione mediatica di una realtà agghiacciante nella sua routinaria applicazione. 

Si ribatte che la legalizzazione ha sconfitto l’aborto clandestino e ha concorso a salvare la vita di migliaia di donne. Ricordo che nella relazione dello scorso anno si continuava a citare la cifra di ventimila aborti clandestini, segno di una pratica ancora lungi dall’essere esaurita, ma ancor più rilevante è che la mortalità materna non beneficia praticamente per niente della legalizzazione dell’aborto. Chi vorrà consultare le cifre fornite dall’Organizzazione Mondiale della Sanità si accorgerà che la mortalità materna (entro 42 giorni dal termine della gravidanza, portata a termine o interrotta) in Irlanda, dove l’aborto è legalmente limitato ai casi di pericolo per la vita della donna, è minore che in Inghilterra, dove invece è completamente libero. Parimenti il solo fatto di doversi recare all’estero per abortire, un problema non insormontabile visto l’ampia mobilità a cui siamo giunti, è comunque sufficiente a ridurre gli aborti del 70%.

Viene allora da chiedersi se la riduzione degli aborti sia negli anni avvenuta grazie alla legge 194, o nonostante la legge. A coloro che chiedono l’applicazione della legge quantomeno anche nella parte preventiva, il Ministro risponde che essa è “applicatissima”. Difficile dare torto al Ministro. Il fatto che l’attività certificativa per le interruzioni di gravidanza impegni solamente il 10% dell’attività dei consultori, che grazie alla pratica delle dimissioni volontarie dopo le pillole abortive si possa abortire sul tram, che a 30 anni dalla legge non si abbia un quadro delle motivazioni alla base della richiesta di aborto che aiuti a fornire risposte specifiche e adeguate, che non si conservi alcuna documentazione utilizzabile sui contenuti del colloquio con la donna (come avviene ad esempio in Germania), che si persista nell’ostinato ostracismo nei confronti delle strutture di volontariato che si adoperano per la vita nascente, la dice lunga sull’applicatissima reale natura di questa legge. 

Certo, deve esserci consapevolezza che i cambiamenti possono andare non soltanto in senso restrittivo, ma anche ulteriormente allargare l’accesso all’aborto, sia in senso concettuale che pratico; tale consapevolezza deve essere alla base della prudenza nei comportamenti di coloro che ricoprono incarichi di responsabilità, tuttavia tale consapevolezza non deve fare dimenticare l’essenza profondamente iniqua della legislazione attuale. Questa legge è frutto degli umori del tempo che l’ha prodotta;
è comprensibile essere affezionati ai miti giovanili, ma tutto scorre e bisogna dare prova di sapere cambiare idea.

Riferimenti:

(1) SONDAGGIO ISPO “Le questioni eticamente sensibili. Le opinioni degli italiani” http://www.lucacoscioni.it/node/6148

(2) cfr. enc. Veritatis Splendor (tra cui n. 56, 67, 79 e 80)

(3) Barbara Spinelli “Fede e mala fede“, «La Stampa», 30 dicembre 2007

(4) Filippo Facci “Contro la legge 194 una truppa di farisei“, «Il Giornale», venerdì 4 gennaio pag.1

(5) Aborto: Turco, nessuna legge è così attentamente monitorata, http://www.agi.it/politica/notizie/200801031113-pol-rt11026-art.html

(6) Jansen TK et al, Int J Androl. 2007 Nov 1

(7) cfr. Disabilità in cifre, http://www.disabilitaincifre.it/indicatori/nascita/sindrome_down.asp

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ZENIT Staff

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